La nascita degli stereotipi

Eccoci al capitolo secondo del libro di George L. Mosse dedicato a razzismo.

Sebbene defunto ascrivo l’autore nel novero degli amici per la qualità dei lavori che ha prodotto e di cui sto godendo; questo libro sul razzismo è, come tutti gli altri del medesimo autore, chiaro,documentato, stimolante: ogni pagina fa venire la voglia di proseguire nella lettura.

Ecco dunque la sintesi di un capitolo che tratta della nascita degli stereotipi che ancor oggi hanno un certo valore anche se, magari, trasformati in altre spoglie: la massa ha sempre bisogno di stereotipi (o di religione o di nazionalismo o…).

L’antropologia nacque dalla curiosità per paesi lontani e per i loro abitanti; questa curiosità suscitò anche domande sulle origini dell’uomo, i primordi della cultura, del linguaggio e della religione.

Agli inizi, l’antropologia si preoccupò soprattutto della classificazione delle varie razze, che in quel periodo, erano state scoperte; le discussioni sulla classificazione erano influenzate dalla questione dell’ambiente, cioè ci si chiedeva se l’ambiente potesse e in quale misura influenzare la nascita e lo sviluppo di una razza oppure se le caratteristiche razziali fossero in gran parte ereditarie: la questione era vitale perché si trattava di stabilire se le caratteristiche che distinguevano le razze uno dall’altro fossero permanenti, in quanto ereditarie o mutevoli, perché influenzate dall’ambiente.

Se in passato i popoli esotici erano stati considerati un elemento del dramma biblico, col XVIII secolo si iniziò a sottoporli a ricerche di tipo profano, ciò nonostante essi furono oggetto di giudizi non scientifici circa l’evoluzione della loro razza.

Il criterio più dannoso che fu utilizzato nel XVIII secolo per la classificazione delle razze fu quello basato sulle preferenze estetiche, influenzato dalla recente rivalutazione della bellezza classica; questo aveva contribuito a creare uno stereotipo che non si sarebbe più separato dal razzismo.

Jean-Baptiste-Antoine de Lamarck
Jean-Baptiste-Antoine de Lamarck

Continuarono, tuttavia, anche altri modelli di classificazione basati su fattori materiali ed ambientali; il più autorevole esponente di questa teoria fu Jean-Baptiste-Antoine de Lamarck, da cui lamarckismo, che sosteneva che il carattere e le mutazioni di ogni specie fossero determinate dall’ambiente.

Nell’opera Filosofia zoologica egli sosteneva che ogni specie potesse conservare immutate le proprie caratteristiche in presenza di un ambiente costante e che fosse possibile una trasmissione ereditaria, in costanza dei fattori appena detti; la conseguenza è che nessuna razza avrebbe potuto mantenere in eterno le caratteristiche di cui era dotata in un certo momento.

Lamarck fu anche uno dei più intransigenti materialisti del suo tempo: per lui l’anima era costituita da elettricità, calore e fluido nervoso e riteneva che l’intelligenza si sviluppasse con l’esercizio; le razze venivano da mutazioni casuali, originate da fattori materiali, il che comportava che nelle sue classificazioni non ci fosse posto per presunte superiorità innate.

Determinate caratteristiche quali ad esempio pigrizia e negligenza non erano da lui attribuite a fattori razziali ma all’abitudine a sottomettersi ad una autorità; libertà, uguaglianza, possibilità di mutamento sono sempre presenti nell’opera di Lamarck: la razza non ha per lui nulla di spirituale o mistico, il suo solco era sicuramente illuminista.

Alcuni suoi contemporanei ne rifiutarono il materialismo e iniziarono a introdurre, nelle classificazioni, degli elementi spirituali: essi ebbero la meglio e così nacque una pseudoscienza della razza in cui erano proiettati pregiudizi e speranze del momento.

Un’altra opera famosa contribuì a questo passaggio, la Storia naturale dell’uomo di Georges-Louis Leclerc de Buffon:

Georges-Louis Leclerc de Buffon
Georges-Louis Leclerc de Buffon

egli formulò teorie ambientali, ma sfumate, in cui iniziava ad affermarsi anche l’influenza estetica; la razza era per lui, determinata dal clima, dal cibo, dalle usanze e dai costumi, ma aggiunse che l’esistenza era un’organizzazione di materia e di spirito.

Egli sosteneva che l’apparenza fisica rispecchiasse il carattere ed aggiungeva che vi fosse uno stretto legame tra il mondo dello spirito e l’azione dei nervi; le razze erano mutazioni casuali anche se l’autore era interessato ai concetti di bellezza e di aspetto fisico.

Buffon e Lamarck rappresentarono la corrente dell’illuminismo che prevalse nella seconda metà del Settecento, che manifestava fiducia nell’osservazione e nella sperimentazione, ma stava salendo sulla ribalta l’emotività caratteristica del pietismo che avrebbe soppiantato le idee illuministe, non tanto sotto la forma di un ritorno alla fede religiosa, ma come bisogno di afferrare l’aspetto sentimentale e spirituale della natura umana.

Carl von Linné
Carl von Linné

Anche il naturalista svedese Carl von Linné unì osservazione e descrizione a giudizi soggettivi: anche per lui la razza bianca era superiore mentre i neri erano pigri, infidi e incapaci di autogoverno, egli conservava i fattori ambientali e non considerava ereditarie le limitazioni umane, considerava comune l’origine di tutte le razze anche se manteneva vivi principi sociali ed estetici non scientifici; in questo modo i valori tipici della morale della classe media si sostituirono alle teorie sull’ambiente e le valutazioni sociali a quelle scientifiche.

Johann Friedrich Blumenbach, uno dei fondatori dell’antropologia moderna, affermava l’unicità della razza umana e dava rilievo a fattori ambientali per spiegare le differenze, tuttavia faceva anche riferimento a “fattezze piacevoli”: i neri rivalutati avevano riconosciuta l’uguaglianza per un verso, ma la perdevano contemporaneamente per un altro.

Blumenbach citava l’anatomista svedese Peter Camper che deviò molto velocemente verso considerazioni di tipo estetico e questo agevolò la venuta in primo piano dell’ideale tipo, lasciando sullo sfondo e solo vagamente le considerazioni di tipo scientifico; fu Camper, infatti, a elaborare il concetto di “fisicamente bello”  individuabile, secondo lui, col il metodo scientifico delle comparazioni craniche e le misurazioni facciali.

Johann Friedrich Blumenbach
Johann Friedrich Blumenbach
Johann Friedrich Blumenbach
Johann Friedrich Blumenbach

Contemporaneo di Camper, Johann Kaspar Lavater, inventore della fisiognomica, aveva  a sua volta abbandonato ogni criterio scientifico, sostenendo la necessità di addestramento nella intuizione visiva; il percorso dallo scienziato Blumenbach ad uno pseudoscienziato come Camper per finire ad uno come Lavater mostra un microcosmo che si riprodurrà ripetutamente in tutta la storia del razzismo.

Johann Kaspar Lavater
Johann Kaspar Lavater

Camper aveva studiato da pittore e il suo scopo non era dare un contributo alla nuova scienza dell’antropologia bensì istruire i giovani artisti nella storia naturale e nell’amore per l’antichità; la sua “scoperta” più importante fu quella dell'”angolo facciale”,un metodo consistente nella misurazione dell’angolo facciale, determinato da due piani, uno quasi orizzontale che passa per il foro acustico esterno e per la spina nasale, e l’altro tangente alla glabella (arcata sopraccigliare) e agli incisivi che incontra il primo in corrispondenza della spina nasale stessa. La sporgenza della faccia è tanto maggiore quanto questo angolo è più acuto, inoltre, a causa dell’inverso rapporto esistente fra la sporgenza della faccia e lo sviluppo del cranio, l’angolo facciale è tanto più aperto quanto più il cranio è sviluppato anteriormente. L'”angolo facciale” fu messo in relazione con lo sviluppo delle facoltà intellettuali, aventi sede nei lobi frontali del cervello.

 Negli appunti di Camper si legge: “Portando in avanti la linea del viso avevo una testa greca; portando quella linea indietro avevo la testa di un nero; spostandola ancora più indietro avevo la testa di una scimmia; e più indietro ancora la testa di un uccello.”

teriantropo
teriantropo

Gli antropologi utilizzarono l’angolo facciale come misurazione scientifica, così facendo fecero proprio, come riferimento per la classificazione razziale, un punto di vista estetico, legato ad un certo ideale di bellezza.

Nonostante qualche tentativo di relativizzare il concetto di bellezza, Camper tornò all’idea di una bellezza classica principio universale: i canoni classici escludevano ogni imperfezione e quel tipo di bellezza era contigua a quella natura divina che rappresentava la suprema verità di Dio.

Camper poi stabiliva che anche l’anima dell’uomo partecipasse a questo ideale totalitario di bellezza: l’apparenza esteriore rispecchia la grazia interiore, con particolare risalto per l’ormai solita moderazione il cui riferimento, come in Winckelmann, era Laocoonte.

Laocoonte
Laocoonte

Nonostante i riferimenti al tipo ideale, Camper non pensava a nessuna nazione europea in particolare e in questo egli continuava ad essere un uomo dell’illuminismo; egli non attribuiva nemmeno un ruolo allo sviluppo storico come altri stavano iniziando a fare e non sapeva nemmeno come considerare gli ebrei che, alla fin fine erano europei: il concetto di razza superiore abbracciava ancora tutti gli europei e non era stato assunto da nessun monopolio nazionale.

La fisiognomica diede, a sua volta, un importante sostegno nella valorizzazione dell’apparenza esteriore: è almeno a partire dal XVI secolo che si trovano tentativi di spiegare il carattere umano attraverso l’osservazione del volto, delle membra e dei gesti; capelli crespi o nasi adunchi erano già considerati segni di indole malvagia, ma queste caratteristiche erano considerate conseguenze di fattori accidentali come la malattia o il cambio d’aria.

teriantropo
teriantropo

La svolta intervenne con la pubblicazione, nel 1775-78, dei Frammenti di fisiognomica, di Lavater, teologo protestante, uomo dell’illuminismo, intimo amico di Goethe: egli non aveva propositi razzisti, era un sostenitore della rivoluzione francese e non era un reazionario né in politica, né in religione ove propendeva verso la spiritualizzazione del cristianesimo.

Sostenitore dei soliti ideali di bellezza, classificò le razze in ordine gerarchico, usando di questo criterio visivo ed è bene ricordare ancora una volta l’insistenza del pensiero razzista sul fattore visivo. L’osservazione del volto, secondo Lavater, era questione di impressione immediata, dalla quale si poteva ricavare  un giudizio perché l’armonia tra interiore ed esteriore permetteva di cogliere l’animo nell’aspetto.

Com’era dunque descrivibile un bel volto e quindi una bella anima? Omogeneità del corpo e della faccia, uniformità del contorno, dimensioni della figura e “onestà” manifesta nel ciglio e nella fronte, cioè il modello greco.

Il viso in particolare, doveva avere le tre sezioni principali in cui è suddiviso – fronte, naso, mento – regolari; fronte orizzontale (i 100 gradi dell’angolo di Camper), folti sopraccigli quasi orizzontali, occhi meglio se celesti, naso largo e quasi diritto ma un po’ curvo all’indietro, mento rotondo e corti capelli neri.

Per Lavater i greci, pur senza Dio, erano il popolo più bello mai esistito, ma con la fede i suoi contemporanei avrebbero potuto superarli.

Giambattista della Porta
Giambattista della Porta

Lavater elabora uno stereotipo assolutamente irrazionale, seguendo il suo lontano precursore napoletano Giambattista della Porta, che già nel 1583 aveva sostenuto nel De humana physiognomonia, che la rassomiglianza tra volti umani e facce animali stabilisse anche similitudini caratteriali; le analogie tra uomo e animale non avrebbero, poi, mai abbandonato il pensiero razzista.

Le teorie di Lavater influirono non solo su Goethe ma anche su sir Walter Scott che la utilizzò nei suoi romanzi ed offrì quindi loro quella diffusione che gli stava contemporaneamente fornendo anche  la letteratura popolare.

Giambattista della Porta
Giambattista della Porta

La lettura dei visi ebbe paludamento pseudo scientifico grazie ad un’altra sedicente scienza, la frenologia di Franz Joseph Gall che si fondava su tre principi: il cervello come sede dell’intelletto, il cervello è costituito da gran varietà di organi ciascuno con specifiche  funzioni, il cervello determina la forma del cranio.

La lettura del cranio, quindi, avrebbe potuto individuare e giudicare le varie funzioni cerebrali; Gall, comunque, respinse l’idea di crani nazionali, negò che i neri avessero meno cervello, insomma non fu un razzista anche se la frenologia fu subito utilizzata per la classificazione razziale.

Franz Joseph Gall
Franz Joseph Gall

In Svezia Anders Retzius ideò una formula per esprimere il rapporto tra lunghezza e larghezza della testa, cioè l’indice encefalico e chiamò dolicocefale le teste lunghe e strette e brachicefale quelle larghe: questa terminologia fu utilizzata dal razzismo che considerava belle le teste lunghe e strette e caratteristiche, manco a dirlo, dell’europeo.

Anders Retzius
Anders Retzius

In Germania Carl Gustav Carus, verso la metà del XIX secolo, tentò di dare alla frenologia un fondamento idealistico: i criteri di giudizio erano i soliti, il canone greco ma unito anche alle idee recuperate dal Della Porta, cioè le analogie tra uomini e animali.

Dopo questa teoria passò ad una più spiccatamente irrazionalistica e romantica: tra popoli superiori ed inferiori vi sarebbe un rapporto come tra sole e luna da cui si ricavavano popoli diurni (come i sempre apprezzati biondi con occhi azzurri) e notturni come i neri o crepuscolari come gli asiatici e gli indiani d’America.

Il miscuglio tra romanticismo e nuove scienze trovò in Carus un valido esponente che seppe unire razzismo e pseudoscienze anche se il suo atteggiamento verso gli ebrei non fu ostile, visto che li classificava tra i popoli diurni nonostante il naso adunco.

Carl Gustav Carus
Carl Gustav Carus

Il naso adunco divenne una caratteristica degli ebrei già dal XVIII secolo quando venne descritto da Johann Schudt; Winckelmann lo riprese e gli contrappose il naso greco, simmetrico, ma la notorietà arrivò dai  manifesti e vignette pubblicati in Inghilterra, in occasione del tentativo di emancipazione degli ebrei che li  portò alla ribalta: in effetti il “Jew act” fu approvato nel 1753 e immediatamente ritirato sotto l’onda delle proteste popolari ma rappresentò il più serio tentativo di emancipare gli ebrei in Europa.

Fu in questa occasione che si iniziò a raffigurare gli ebrei con caratteristiche  caricaturali.

Il naso godette sempre di attenzione: Lavater aveva una teoria completa sui nasi (e quelli all’ingiù connotavano i crudeli) ed i frenologi la fecero propria individuando vari tipi di naso: romano, greco, ebraico, camuso.

I nazisti valorizzarono il naso, seguito dalla fronte, inserendosi nella tradizione della frenologia.

Lo stereotipo che nacque si basò quindi sull’estetica piuttosto che sulla scienza: i criteri illuministi di osservazione scientifica e di importanza dell’ambiente rimasero in vita ma asserviti ai giudizi estetici e morali molto più vicini allo spirito romantico.

naso adunco
naso adunco

Notevole importanza ebbe anche Immanuel Kant che sostenne l’immutabilità e la permanenza delle razze: la sua definizione di razza, che comprendeva ovviamente anche gli uomini, prevedeva che fossero tali quegli animali che conservavano la loro purezza nonostante le migrazioni e la tentazione di mescolarsi ad altri animali.

Egli distinse tra specie e razza sostenendo che le specie sembrano svilupparsi in base ai climi locali e che quindi non sono altro che mutazioni casuali; egli dimostrò che Dio aveva creato gli uomini per tutta la terra e che erano liberi di vivere dappertutto: le razze avrebbero proprie dimore specifiche perché i fattori geografici li spingerebbero in quella direzione.

Sebbene insistesse sulla comune origine dell’umanità, per evitare critiche al racconto biblico della creazione, il concetto di razza che Kant formulò attribuì al carattere razziale una sostanza immutabile, fondamento di ogni aspetto fisico e sviluppo, compresa l’intelligenza: le razze non possono mai mutare.

Questa qualità è molto importante perché si è pensato che il razzismo fosse parte del darwinismo sociale: se è fuori di dubbio che le razze lottano contro i propri nemici e si sforzano di mantenersi pure per sopravvivere, è anche vero che, contro quello che Darwin sosteneva, esse devono rimanere immutabili e quindi fuori dal tempo.

Immanuel Kant
Immanuel Kant

Lo stereotipo che stava nascendo aveva radici profonde: ad esempio l’ideale di bellezza raccontato nella letteratura inglese dei secoli XIII e XIV sembrano anticipare i modelli di Winckelmann, la bellezza fisica cantata nei romanzi medioevali si accordava con quella greca e a questo modello di bellezza venne attribuita anche la bontà.

È possibile che la rinascita del classicismo del XVIII secolo sia venuta incontro ad una profonda esigenza europea di definizione dei concetti di bellezza e bruttezza, tuttavia quello che poi si trova è un ideale sottratto al mutare storico, qualcosa di permanente.

La classificazione razziale fece propri simboli che indicavano tranquillità e quiete, contro il mondo caratterizzato da mutamenti e inquietudine.

Il razzismo si occupava delle origini perché erano queste a stabilire la qualità della razza: verso la fine del XVIII secolo l’interesse per la storia aveva assunto rilievo e questo sostenne l’attenzione per le origini dei popoli e delle nazioni.

Chi divideva l’umanità in razze trovò nelle opere di Johann Gottfreid von Herder un importante sostegno, grazie alle sue teorie sulle origini, anche se personalmente egli sosteneva la continuità storica e non la razza.

Johann Gottfreid von Herder
Johann Gottfreid von Herder

Gli studi di Herder erano dedicati alle leggende, alle saghe e ai racconti fiabeschi considerati il patrimonio eterno di un popolo; lo stesso interesse per le origini era condiviso anche da Rousseau che, nelle Confessioni di 1782 sosteneva che le istituzioni create dalla storia dovessero essere eliminate in favore del sentimento della natura.

Tornare alle origini voleva dire avere a che fare con l’origine delle razze; Kant e la maggioranza di chi si occupò di classificazione razziale rimase fedele al racconto della Genesi che affermava l’origine comune dell’umanità; solo dopo il diluvio Sem, Cam e Iafet avevano fondato nazioni separate.

Dal XVI secolo alcuni autori sostennero che bastasse la maledizione di Dio contro Cam e suo figlio Canaan a spiegare la pelle nera del nero e per giustificare la sua inferiorità: i capitoli 10 e 11 della Genesi potevano comunque essere interpretati per spiegare la differenza razziale nonostante la figliolanza da un unico padre.

Sem, Cam e Jafet
Sem, Cam e Jafet

Questi, che furono chiamati monogenisti, potevano conciliare le differenze razziali e l’unica creazione divina; ci fu anche chi, detto poligenista, come Christoph Meiners, sosteneva la creazione autonoma delle diverse razze; la razza europea sarebbe discesa da Adamo, le razze nere invece, da eventi indipendenti dal racconto biblico: per i monogenisti le razze potevano essere le mutazioni casuali, al contrario per i poligenisti le differenze razziali non erano meno che assolute.

Le teorie poligeniste, contrastando l’ortodossia religiosa, attirarono vari filosofi come Voltaire e trassero alimento dalla classificazione delle specie viventi dall’animale all’uomo (come aveva fatto Camper con l’idea che i neri fossero più simili alle scimmie che agli uomini).

Monogenismo e poligenismo si svilupparono parallelamente durante il XVIII secolo ma la poligenesi ebbe importanza relativa fino alla seconda metà del XIX secolo quando venne recuperata dagli antropologi come Paul Boca in Francia; questa teoria, tuttavia, fu quasi subito schiacciata dal concetto darwiniano di evoluzione: Darwin sosteneva un unico atto creativo per tutte le specie viventi, che si sarebbero poi sviluppate secondo un grande piano originario, si trattava di un monogenismo di origine non biblica ma che ebbe grande influenza scientifica.

Il poligenismo ebbe successo presso i viaggiatori e gli esploratori ma lasciò poche tracce nel pensiero razziale europeo; in realtà la nuova coscienza nazionale che si stava diffondendo nella seconda metà del XVIII secolo, stava seppellendo il cosmopolitismo illuminista e rendendo superflua la discussione tra poligenismo e monogenismo.

Il nazionalismo aveva alle sue fondamenta la storia, la lingua e i sentimenti comuni, restringendo così tutto alla comunità nativa di ciascuno: l’homo europeus di cui avevano trattato gli antropologi del Settecento stava diventando il tedesco, lo slavo, il francese.

Fu la metà del XIX secolo che vide l’inizio della fusione tra razzismo e il nazionalismo e il completamento dello stereotipo umano ideale: dal XVIII secolo erano state fissate la statura, le proporzioni del corpo e della faccia, verso la metà del XIX, grazie particolarmente a Carl Gustav Carus, il quadro si completò con il colorito: nasceva finalmente l’ariano biondo, con gli occhi azzurri e simile alle statue greche di Winckelmann.

A dire il vero le origini di questo connubio erano già state poste da tempo, da quando, nel XVIII secolo, all’antropologia, alla fisiognomica e alla frenologia si erano aggiunti l’interesse per la storia e la linguistica, nato tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo e ben presto fatto proprio dal risveglio della coscienza nazionale

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