“A ritroso” è un romanzo di Joris Karl Huysmans, spesso ne ho trattato perché, al liceo, un’ottima insegnante supplente di italiano e latino ne aveva proposto un brano, di quelli che mi sono rimasti in memoria in modo misterioso.
Ogni tanto mi tornava la voglia di leggerlo integralmente; non volevo accontentarmi del finale, drammatico, in cui il protagonista si vede costretto a rinunciare al suo eccentrico stile di vita per poter guarire dalla nevrosi che lo sta conducendo alla morte.
Avevo sempre rimandato fino a che mi sono deciso ad acquistarlo ed ho inziato a leggerlo, alcuni giorni fa, di sera, prima di addormentarmi.
Ebbene questo libro, che ha segnato in maniera profonda la mia idea di rapporto col prossimo, un’umanità disprezzata ma indispensabile, l’ho concluso la sera dell’8 agosto, giorno del funerale di mia cugina Annamaria.
Non do un particolare significato alla data, le date sono semplice trascorrere del Kronos, mentre quel che conta è il Kairós, ma quella sera volevo terminare quel libro.
Chiudere un capitolo, forse.
Questo libro che, in poche righe, tanto mi ha colpito la memoria, si è rivelato una profonda delusione; un libro da leggere ma da cui prendere le dovute distanze.
Ma partiamo dall’inizio: la prima cosa che mi ha colpito è il troppo; questo libro è decisamente troppo.
C’è troppo di tutto, lo definirei un’opera barocca poiché nasconde e manifesta assieme il vuoto.
Vuoto di pensiero concludente, capace di arrivare a un giudizio e alla conclusione dei moti del corpo.
Pensiero che quell’inconcludenza non vuole vedere ma che non può fare altro che alimentare ossessivamente.
Perché tutto quello che Des Esseintes, il protagonista nonché unico personaggio, elabora non è altro che una ripetizione, vieppiù dettagliata, di un unico pensiero: «Come un eremita, era maturo per l’isolamento, stanco della vita da cui non si aspettava più nulla; al pari di un monaco era sopraffatto da un’immensa stanchezza, da un bisogno di raccoglimento, da un desiderio di non avere più nulla in comune con i profani, che erano, per lui, gli utilitaristi e gli imbecilli. Insomma, sebbene non provasse alcuna vocazione per lo stato di grazia, sentiva una sincera simpatia per le persone chiuse nei monasteri, perseguitate da una società piena di odio che non perdona loro né il giusto disprezzo che hanno per essa, né la decisa volontà di riscattare, di espiare con un lungo silenzio, la vergogna sempre crescente delle sue conversazioni ridicole o sceme.»
Non a caso, a mio parere, non vi sono altri personaggi: Des Esseintes occupa la scena e non lascia spazio per null’altro che le sue elucubrazioni; ogni altro è annullato, qualunquizzato.
Gli unici apporti esterni sono quelli di pittori, come Gustave Moreau, Odilon Redon o Jan Luyken o di letterati, molti dei quali dediti alla teologia, ma tutti funzionali al mantenersi in una posizione di narcisistico isolamento.
L’idea di un altro conveniente viene negata pervicacemente: nessun altro in carne ed ossa è pensabile come partner.
Un brano ne è una sorta di vangelo; Des Esseintes, sta male ed il medico convocato da Parigi gli prescrive, tre volte al giorno, un enteroclisma a base di peptone, ecco come commenta questa cura:
«L’operazione raggiunse il suo scopo e Des Esseintes non poté trattenersi dal rallegrarsi tacitamente con sé a proposito di questo avvenimento che coronava in certo modo l’esistenza che si era creata. La sua inclinazione verso l’artificio aveva raggiunto, ora, e senza che lui lo volesse, il suo supremo esaudimento. Non si poteva andare oltre: il nutrimento così assorbito era certo l’estrema inversione che si potesse commettere.
“Sarebbe bellissimo” pensava, “anche in piena salute, si potesse continuare un così semplice regime. Che risparmio di tempo, che radicale liberazione dalla ripugnanza ispirata dal cibo alle persone senza appetito! Quale definitiva liberazione dalla noia di dover sempre scegliere fra un ristretto numero di vivande! Quale energica protesta contro il basso peccato della ghiottoneria! E infine quale decisivo insulto gettato in faccia a questa vecchia natura deludendone per sempre le monotone esigenze!”
E proseguì parlando a mezza voce:
– Sarebbe facile aguzzarsi l’appetito ingurgitando un potente aperitivo, e poi, … si apparecchierebbe mettendo sulla tovaglia lo strumento magistrale e allora la volgare e noiosa pratica del pasto sarebbe liquidata nel tempo di recitare il Benedicite.»
Come in tutto il romanzo Des Esseintes proclama che l’uomo non è natura, è l’artificio la sua caratteristica, cioè la metafisica: l’uomo non ha istinti ma soltanto un’artificiale legge di moto che a lui stesso spetta co-istituire, nel bene o nel male.
Il protagonista del romando di Huysmans, propende per il male.
Cito Freud: «Dal punto di vista genetico, la natura asociale della nevrosi deriva dalla sua tendenza originaria a sfuggire una realtà insoddisfacente per rifugiarsi in un mondo fantastico assai più attraente. In questo mondo reale, che il nevrotico evita, domina la società degli uomini e le istituzioni che essi hanno creato in comune. La fuga dalla realtà è al tempo stesso una fuga dalla comunità umana.»
Meglio non si potrebbe sintetizzare.
La definitiva sconfitta di Des Esseintes la leggiamo nel finale: «Tra due giorni sarò a Parigi, – mormorò; – coraggio, è finita davvero. Come un maremoto, le onde della mediocrità umana salgono fino al cielo e stanno per inghiottire il rifugio di cui io stesso apro, mio malgrado, le dighe. Ahimè, mi manca il coraggio e il cuore mi si spezza! Signore, abbiate pietà del cristiano che dubita, dell’incredulo che vorrebbe credere, del forzato della vita che s’imbarca solo, nella notte, sotto un firmamento che non è più rischiarato dai consolanti fari dell’antica speranza.»
Trovo questo appello finale al Signore come qualcosa di disonesto e stucchevole, la toppa religiosa sul buco di Narciso, un “finiamola in religione” che non conclude un bel nulla; non pronuncio un’accusa ma constato un’irresoluzione che ritrovo innanzitutto in me medesimo.
Parma, 10 agosto 2018 memoria di san Lorenzo Diacono e martire e dei Beati Edoardo (Edward) Grzymala, Sacerdote e martire, Francesco Drzewiecki Sacerdote orionino martire, Francesco Francois (Sebastiano da Nancy)Sacerdote e martire, Giovanni Martorell Soria e Pietro Mesonero Rodriguez Salesiani, martiri,Giuseppe Toledo Pellicer Sacerdote e martire, Claudio Giuseppe Jouffret de Bonnefont e Lazzaro Tiersot
Sacerdoti e martiri