Sogno, funerale e tanta afa

La giornata in cui si ricorda san Domenico, fondatore del famoso ordine dei predicatori, familiarmente Domenicani, è iniziata con un sogno decisamente particolare, che ha unito due donne di un certo rilievo per la mia vita: la mia augusta genitrice ed una mia non meno augusta superiore gerarchica.

Noto, incidentalmente, che sono condannato ad avere superiori di sesso femminile, non avendo motivo di lamentarmene (eccetto alcuni casi, on rari).

Da dichiarato misogino e misantropo è comunque una bella punizione.

Ma veniamo al sogno: sono con la mamma, al mercato, in una città che non conosco, una come potrebbe essere Urbino o simili.

Arriviamo in un banco dove lei dice che vuole acquistare qualcosa tipo una coperta; le rispondo “va bene, comprala”.

La vuole bianca, così la commerciante, che ha alle spalle un banco di riserva, cerca lì, trova una confezione, gliela mostra e le spiega che proviene da… non ricordo, ma da una manifattura pregiata.

A mia madre va bene, tuttavia, guardandone un bordo, noto che è di colore grigio scuro, così le dico “ma non la volevi bianca?” ma lei risponde “no, no, va bene lo stesso”.

Vado, dunque, a pagare, apro il portafogli avendo intenzione di pagare col bancomat ma, non so perché, pago invece con una banconota da 200 € (di colore blu).

Il figlio della commerciante mi dà il resto, con un sacco di monetine e io forse gli dico che ha sbagliato a darmi il resto, lui risponde che non è così; riguardo il resto e rispondo che ci vedo male o che non ho mai avuto tante monetine.

Questo ragazzo e suo padre prendono questa confezione per portarcela presso l’auto; ci chiedono dove si trovi, glielo spiego aggiungendo che, però, dobbiamo passare anche in un altro luogo.

Scendiamo, io la ma mamma, di fianco c’è una chiesa, in salita, con un colonnato, un pronao.

Camminiamo per andare, forse a prendere dell’altra roba; ad un certo punto siamo di fianco ad una recinzione; qui incontro la mia superiore, dottoressa M., alla quale presento la mia famiglia: “questo è il nonno Ermes, questa la zia Luciana e questa è mia mamma”.

Quest’ultima, molto seria, e forse un po’ arrabbiata, le dice qualcosa del tipo “me lo deve mettere in riga lei”, “mi aiuti a metterlo in riga lei” e lei gli risponde “no, no”, poi mia madre si allontana tutta arrabbiata mentre la dottoressa si rivolge a me: “non mi bruci così” oppure “mi aiuti a non bruciarmi così”.

Mi trovo in difficoltà.

Questo il sogno.

Che segue ad un pomeriggio che mi ha visto partecipare al rosario in memoria di mia cugina Annamaria di cui ho parlato ieri.

Di lei ho scoperto anche un interessante aneddoto: essendosi liberato un posto al quale lei ambiva e potendovi accedere con mobilità, venne richiesta da uno dei tanti politicucci di turno, di prendere la tessera di un certo partito.

Avrebbe potuto farlo e buttarla alle ortiche l’anno seguente, una volta ottenuto il trasferimento, ma lei, a muso duro, rispose che non accettava questi compromessi e così l’ambito posto sfumò.

Poco tempo dopo intervenne la malattia e con essa tutte le sue speranze ed ambizioni iniziarono tragicamente a crollare.

Nel pomeriggio, invece, si è tenuto il funerale, molto sobriamente.

Ho avuto occasione di rivedere alcuni, un paio, dei miei numerosi cugini: me ne sono tenuto alla larga. 

Non ho motivi dir ancore verso nessuno ma non mi andava di fare l’ipocrita e stringere mani che, fuori da quella triste cerimonia non avrei stretto.

Durante il tragitto verso il crematorio, l’auto che trasportava la sorella maggiore di Annamaria, è rimasta in panne e questo ha fatto sì che fossi io a darle un breve passaggio.

Con questa cugina, seppur mai abbiamo avuto rapporti stretti, c’è sempre stata cordialità e simpatia; di lei è famoso, in famiglia un curioso episodio.

Un giorno, uno dei fratelli di mia madre, lo zio Gianni, trovandosi nei pressi, armato di forcone, preso dall’ira e conoscendo i precedenti, mise fine definitivamente alle aggressioni, sanzionando il volatile con un massaggio cervicale che gli staccò il capo dal collo.

Ho conosciuto anche il figlio di lei, mio cugino di secondo grado, altra persona molto cortese.

Correva l’anno … i miei nonni abitavano in quel di Casalbaroncolo, in campagna e questa bambina amava portare il becchime alle galline; la poveretta, però, era entrata in antipatia al gallo che, ogni volta che la vedeva la aggrediva, beccandole le gambe e facendola piangere.

La sala del commiato di Valera mi è parsa brutta come poche, sebbene capisca che il politicamente corretto richiede un’estrema sobrietà in ogni elemento architettonico, tanta sobrietà da rendere squallido l’ambiente.

All’interno c’era un caldo soffocante, un’afa terribile che ha messo a dura prova la tenuta delle due ragazzine che avevo in affido: mia madre e la zia Luciana, che ci tenevano a partecipare ma che hanno sofferto sudando come se fossero sotto la doccia.

La giornata mi ha offerto un’ulteriore occasione per ripensare a vita, malattia e morte; questi due temi ultimi in modo particolare.

Sono temi che da decenni agitano i miei pensieri, ancora senza soluzione.

Giunta la sera ho terminato la lettura di un libro che ho citato spesso, A ritroso, di Joris Karl Huysmans, ma di questo in altro momento.

Parma, 8 agosto 2018 memoria di san Domenico di Guzman.

 

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