A porte chiuse

Guardando online qua e là, ho trovato un’opera teatrale di Jean-Paul Sartre, intitolata “A porte chiuse”; l’ho letta incuriosito dalla trama: 4 personaggi all’inferno.

Tre di loro, condannati a vivere in una stanza, carnefici e vittime l’uno dell’altro, senza via di scampo.

Anche nel momento in cui scoprono che la porta si può aprire, la scelta è di restare: mi è venuto da pensare che quest’opera fosse una risposta al lavoro freudiano, una lucida, lucidissima presa di coscienza, parafrasando il film di Leni Reifenstahl, mi è sembrato “Il trionfo della coscienza”.

Nel film della regista tedesca “Il trionfo della volontà” la coscienza collettiva del popolo tedesco, ovvero la coscienza di ogni tedesco è sollecitata a coincidere coi dettami del nazionalsocialismo, col pensiero del Führer: la fusione delle coscienze nella massa degli aderenti si materializza in una volontà che possiede il mondo.

Tutto è proiettato all’esterno, in una realtà da modificare e sottomettere.

In Sartre il discorso nazista è spogliato degli orpelli della potenza, della volontà di potenza e ridotto alla sua nuda e cruda realtà: nell’inferno è reso manifesto che la coscienza non dà tregua, non accetta divagazioni o pause – il sonno è bandito – è realmente quella forza che aveva descritto la Reifenstahl, talmente forte da rendere impotenti.

La volontà non è meno asservita di quella nazista: è inflessibile nel rifiutare qualsiasi soluzione che non sia la supremazia della coscienza, la volontà è il braccio secolare della coscienza.

Nessun pensiero, nessuna pausa, nessuna divagazione sono possibili: i personaggi del dramma potrebbero sdraiarsi sul divano di Freud e parlare per l’eternità confinando nel silenzio l’analista anche se nessun analista li accetterebbe mai come pazienti per non cadere nel loro tranello.

L’opera di Sartre è un eterna arringa cui gli imputati si associano, senza che mai si arrivi a una conclusione, a un giudizio: il trionfo della coscienza equivale al trionfo dell’impotenza.

Un’impotenza, peraltro, che è sempre dannosa come sperimentano bene coloro che hanno la sventura di avere a che fare coi querulomani, persecutori senza tregua.

“L’inferno sono gli altri” dice Sartre ed ha ragione nella misura in cui gli altri sono trattati come inutili, c’è stato chi li ha descritti come sagome (sappiamo a cosa servono le sagome anche quando non vengano utilizzati proiettili).

Mi accade con una certa frequenza, di fronte a plateali errori, di essere tentato di farlo notare o di invitare chi di dovere a far notare certe scelte, chiamiamole opinabili, a chi le ha adottate; la lettura dell’opera di Sartre mi ha fatto pensare di quale ingenuità sia vittima.

Far notare a qualcuno i propri errori è del tutto inutile, anzi spesso controproducente perché rendere qualcuno cosciente degli errori commessi non è detto che gli sia utile e salutare, potrebbe, piuttosto, essere carburante alla sua coscienza, come per i personaggi di Sartre, ci si trova di fronte “a porte chiuse”.

Parma, 11 febbraio 2024, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes

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