24 maggio

Se un anno fa mi avessero detto che avrei dato tanta importanza ad una  data come il 24 maggio 2015 mi sarei messo a ridere ed invece…

Domenica di lavoro ed in particolare mattinata dedicata alla celebrazione, a Colorno, del centenario dell’entrata in guerra italiana, nel primo conflitto mondiale.

Partecipanti pochi, pochissimi, a dispetto delle lamentele, senza costrutto, che sento ripetere ad ogni occasione (vedi il 25 aprile); anche stavolta ho fatto il cerimoniere, gran ciambellano con buon esito, avendo anche in regalo un volume sulla guerra dei colornesi, dono del Sindaco, che ringrazio per la squisita cortesia (non è piaggeria, tanto so bene che non mi legge, come nessuno degli amministratori dei tre comuni dell’Unione).

Ma veniamo alla Grande Guerra.

Cito due canzoni tipiche del periodo, Il testamento del capitano e La leggenda del Piave, emblematici di un pensiero diffuso un secolo fa.

Inizio dal Piave:

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l’esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti
tacere bisognava andare avanti.

S’udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l’ onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: Non passa lo straniero!

Ma in una notte trista si parlò di un fosco evento
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha vista venir giù, lasciare il tetto;
poiché il nemico irruppe a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i ponti.

s’udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio de l’ onde.
Come un singhiozzo in quell’autunno nero
il Piave mormorò: Ritorna lo straniero!

E ritornò il nemico: per l’orgoglio e per la fame
volea sfogar tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora!
No, disse il Piave, no, i fanti,
mai più il nemico faccia un passo avanti!

Si vide il Piave rigonfiar le sponde
e come i fanti, combattevan l’ onde.
Rosso del sangue del nemico altero,
il Piave comandò: Indietro va, straniero!

Indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento
e la Vittoria sciolse le ali al vento!
Fu sacro il patto antico, tra le schiere
furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
Infranse alfin l’ italico valore
le forche e l’ armi dell’ impiccatore!

Sicure l’ Alpi, libere le sponde
e tacque il Piave, si placaron l’onde.
Sul Patrio suol vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri.

Sul Patrio suol vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri.

Mi fa sorridere il “presagio dolce e lusinghiero”, pensando ai morti, tanti e inutili, come sempre è inutile la morte precoce.

Canzone impregnata di nazionalismo che tanti danni ha fatto e che è, purtroppo, un pericolo sempre risorgente, leggendo i giornali di questi giorni e le polemiche con gli Schützen del sud Tirolo o comunque coi loro epigoni.

La seconda canzone, di cui ho trovato alcune varianti, è ancor più interessante

E il capitan della compagnia
e l’è ferito e sta per morir
e manda a dire ai suoi alpini
perché lo vengano a ritrovar

E i suoi alpini ghe manda a dire
che non han scarpe per camminar
“o con le scarpe, o senza scarpe
i miei alpini li voglio qua!”

“Cosa comanda sior capitano?
che noi adesso semo arrivà”
“E io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia taglià”

“Il primo pezzo al Re d’Italia (variante: alla mia patria)
che si ricordi del suo alpin,
secondo pezzo al battaglion
che si ricordi del suo capitan,
il terzo pezzo alla mia mamma
che si ricordi del suo figliol

Il quarto pezzo alla mia bella
che si ricordi del suo primo amor
l’ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior”
l’ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior”.

Qui non manca nulla: nazionalismo (alla patria o al Re d’Italia), patria (al battaglione – comunità dei fratelli, surrogato della famiglia e comunque il Re è padre o la patria è madre e quindi i commilitoni sono tutti fratelli), famiglia (dalla famiglia allargata del battaglione all’immancabile mamma); giovinezza e ardore giovanile (alla mia bella, non ancora sposata temo, ricordo doloroso ma conferma della maschia virtù dell’eroico capitano; chiude la natura che dona la pace, rasserena e promette immortalità.

In una variante i pezzi diventano 7: al Re (o patria), al reggimento, al battaglione, alla mamma, alla bella, alla montagna e ai confini.

Il capitan de la compagnia
l’è ferito e sta per morir.
E manda a dire ai suoi alpini
che lo vengano a ritrovar.

I suoi alpini gli mandan a dire
che senza corda non si può passar.
“O con la corda, o senza corda
i miei alpini li voglio qua”.

E cò fu stato a la mattina
i suoi alpini sono rivà.
“Cosa comandelo Sior Capitano
che noi adesso siamo arrivà”.

“E io comando che il mio corpo
in sette pezzi sia taglià”.
Il primo pezzo al Re d’Italia
che si ricordi dei suoi alpin.

Il secondo pezzo al reggimento
che si ricordi dei suoi soldà.
Il terzo pezzo al battaglione
che si ricordi del suo capitan.

Il quarto pezzo alla mia mamma
che si ricordi del suo figlio alpin.
Il quinto pezzo alla mia bella
che si ricordi del suo primo amor.

Il sesto pezzo alla montagna
ché fiorisca di rose e fior.
Il settimo pezzo alle frontiere
che si ricordino dei bravi alpin.

Queste canzoni sono state uno straordinario strumento di propaganda, ma di cosa? della religione civile della patria, del senso del dovere, della sofferenza rischiarata dal sentirsi parte della comunità dei soldati e della patria.

Canzoni commoventi, che hanno accompagnato alla morte una generazione; mi sconvolge il fatto che dopo una orrenda carneficina come quella della Grande Guerra non sia stato possibile trovare una soluzione politica adeguata.

Tanti cattivi maestri hanno predicato, D’Annunzio uno per tutti e tanti ci sono cascati

Quando avrò tempo cercherò di individuare i paralleli tra il clima culturale dell’immediato anteguerra e l’Isis.

Nel frattempo mi viene in mente che il nazionalismo è una teoria, una superfetazione sostitutiva di altro.

Rammento uno dei miei motti preferiti: ubi bene ibi patria.

La patria da cosa è data? dalla madre patria? dal Re,  padre della patria? dai fratelli, figli della nazione?

Con tutti gli allegati: lo straniero – nemico, il diverso – nemico, il dissidente – nemico: prevale l’idea del nemico.

Se invece si pensasse alla patria come  un’unione creata da una costituzione, cioè da un rapporto giuridico, quindi legame sociale che nasce dall’adesione ad una legge che si ri-pone ogni volta, nel confermarne l’adesione, anche nella sua violazione.

I cristiani non sono rimasti immuni all’idea nazionalista, in fondo totalitaria, anzi ci si sono buttati a capofitto (padre Gemelli ad esempio), nonostante avessero a portata di mano Uno che parlava con autorità e aveva un pensiero costituente e costituzionale, senza avere pretese di comando.

Una nota autobiografica: 50 anni dopo l’omicidio di Sarajevo venivo battezzato; 50 anni sono un niente o quasi nella storia dell’umanità; per quanto lontano è come se mi sentissi ancora vicino ad eventi così terribili e che oggi si ripropongono, in diverse vesti.

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