Apertura concattedrale di Guastalla

Primo impegno ufficiale e formale nella mia nuova sede di lavoro, Guastalla: apertura della concattedrale di San Pietro ed apertura della porta santa giubilare, che non ho aperto io, lo preciso a scanso di equivoci.

Il celebrante è il vescovo della diocesi di Reggio Emilia Guastalla, nata giusto 30 anni fa, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Massimo Camisasca; concelebravano tre altri vescovi, Monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna Cervia, Monsignor Adriano Caprioli, vescovo emerito di Reggio Emilia e Monsignor  Eugenio Sbarbaro dal quale ho ricevuto l’Eucarestia.

Assisteva alla cerimonia in forma privata Sua Eminenza Reverendissima il signor Cardinale Camillo Ruini.

Già all’arrivo di Monsignor Vescovo mi ha incantato perchè ho visto scendere dall’automobile un prelato vestito come Dio comanda, secondo il cerimoniale dei vescovi:  veste talare di colore violaceo, fascia di seta violacea con frange, anch’esse dì seta, che ornano le due estremità; rocchetto di lino, mozzetta di colore violaceo, croce pettorale sostenuta sopra la mozzetta da un cordone di colore verde intessuto d’oro, zucchetto anch’esso di colore violaceo e berretta del medesimo colore con fiocco. Insomma un vero babà, col dovuto rispetto.

Finalmente, mi sono detto, un vescovo che non si nasconde o vergogna di essere tale.

Conoscevo, si fa per dire, Monsignore dalla lettura dei suoi interessanti volumi dedicati alla storia del movimenti di comunione e liberazione e mi aspettavo molto da lui, come celebrante e non sono rimasto deluso.

Nella prima parte della cerimonia, quella eminentemente “politica”, siamo rimasti in piedi, esterni al recinto ov’erano gli ospiti di riguardo e le autorità, mentre quando è iniziata la cerimonia religiosa ci siamo ritrovati in seconda fila più per farci riempire sedie rimaste vuote che per considerazione dell’istituzione rappresentata ma io non mi formalizzo.

Il rito è iniziato con la lettura della bolla di apertura della porta santa giubilare e poi con la materiale apertura da opera di Monsignor Vescovo, una delle poche celebrazioni che mi mancava, ad un tempo semplice e solenne.

Il mio posto “da imbucato” confinava con le panche dei cavalieri del Santo Sepolcro, in maggioranza anzianotti un po’ decrepiti, uno dei quali è stato letteralmente abbattuto da un cortese addetto al servizio d’ordine che gli è passato accanto urtandolo involontariamente e facendogli perdere l’equilibrio; fortunatamente dietro c’era la panca e la caduta non ha sortito effetti.

Bei canti in latino ed italiano, molto ben eseguiti come non mi capitava da secoli di sentire, ottimo l’uso dell’incenso, insomma una celebrazione lunga ma davvero celebrata con la dovuta solennità.

Encomiabile anche il servizio d’ordine, davvero impeccabile ed efficiente.

Un gran plauso a Monsignor Camisasca.

Al termine della liturgia, durata quasi tre ore, il sullodato prelato ha iniziato a distribuire delle scatole blu che contengono solitamente un oggetto ricordo: le prime sono andate dritte alle autorità poi, evidentemente ne sono avanzate ed è successo che io mi trovassi sulla traiettoria di monsignore mentre cercava qualcuno cui sbolognare quella che teneva in mano; io ho allungato la mia e così, più fortunosamente che meritatamente mi sono portato a casa un ricordo della cerimonia.

Ho avuto anche l’onore di baciare l’anello episcopale di Sua Eminenza Reverendissima il signor Cardinale Camillo Ruini, come si confa ad ogni buon baciapile antimoderno come il sottoscritto; il Signor Cardinale mi è parso malridotto nel fisico ma ben lucido nell’intelletto come traspariva dallo sguardo vivace nonostante la sicura stanchezza dovuta al rito solenne.

Dopo le cerimonia rinfresco nel cortile del palazzo ducale e ritorno a casa; qui mia madre ha visto la scatola ed ha subito chiesto se fosse per lei; alla mia risposta negativa è rimasta un po’ perplessa ma non ha obiettato nulla.

Il mattino seguente è ritornata all’attacco chiedendo: “come mai non c’è scritto il tuo nome sulla medaglia?”: le mie spiegazioni sulla casualità del dono e sull’insignificanza della mia partecipazione non l’hanno del tutto convinta ma questa è un’altra storia.

Questa cerimonia mi ha ricordato i tempi in cui frequentavo una coppia di santi sacerdoti: il parroco era san (per me è santo) don Lino Bin ed il vicario era don Enzo Dei Cas (che ora è un capetto a Sondrio); la parrocchia era la mia storica di san Benedetto, a Parma, nei tempi prima della lunghissima trasferta riminese; dopo di loro la mia frequentazione parrocchiale si è ridotta alla Messa domenicale.

Allora svolgevo informalmente il compito di maestro di cerimonia o cerimoniere e spingevo molto per le celebrazioni solenni, con arcigna pignoleria e qualche incidente di percorso che non starò a svelare, l’ho già fatto in altro luogo, adesso.

Ho sempre apprezzato le celebrazioni curate e solenni perchè le ritengo un modo “formale” per far posto all’ospite che è anche padrone di casa.

La celebrazione eucaristica (ad eccezione della predica, ma questa è una licenza che mi prendo io) in fondo cos’altro è se non un far memoria per attualizzare il “cieli e terra nuova” di cui parlano le scritture?

Niente di mistico.

                                                                Guastalla, domenica 2 ottobre 2016

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