Quattro anni e sei mesi: Roberto e Federico

 

12 novembre 2019: morte di Federico Buzzi.

9 marzo 2023: morte di (san) Roberto Mastri.

Pochi giorni separano queste due dolorose commemorazioni.

Sono trascorsi già 4 anni dal decesso del caro Federico, sembra un’eternità.

Pochi giorni fa mi è capitato di scambiare alcune battute con un operatore del 118 – la mia sede di lavoro è in condivisione col 118 – si parlava di ospedale, pronto soccorso ed ameni argomenti collaterali; non ricordo a quale proposito ma ho richiamato alla memoria Federico ed ho trovato che il mio interlocutore ha reagito manifestando una stima rivelatrice di quanto egli abbia ben operato e seminato.

Ha lasciato tracce, cioè frutti.

Non provo più dolore per la sua scomparsa ma un senso di tranquilla complicità: sono certo che stia lavorando per correggere quel che non era riuscito a fare in questa vita (chiamasi purgatorio, da depurare dagli aspetti masochistici cui Dante ci ha abituati) oppure potrebbe averlo già concluso ed allora potrebbe essere intento a farsi gli affari suoi, tra i quali affari suoi potrebbe ricadere quello di intercedere per coloro che gli hanno voluto bene.

A pochi giorni di distanza è caduto anche l’anniversario del sesto mese dalla morte di (san) Roberto Mastri: ogni volta che penso a lui mi vengono in mente due immagini, una reale ed una di fantasia.

Quella reale: la sua bara calata nella tomba, quella frutto del mio pensiero: la sua figura che mi affianca e prende per mano, per accompagnarmi, che mi fa pensare al cammino dei discepoli di Emmaus.

Vorrei andare a Milano a parlare con fra’ Pietro per chiedergli di prendere l’iniziativa di dar inizio al processo di beatificazione, è un pensiero che mi accompagna sempre.

Mi accorgo solo adesso che, in realtà, i mesi dal decesso di Roberto non sono 6 ma 8, un lapsus di cui trarrò profitto.

Stamattina, alla messa domenicale, la seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Tessalonicesi:

Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.
Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.
Confortatevi dunque a vicenda con queste parole”.

Il Vangelo, invece, trattava delle vergini sagge e di quelle stolte; ci sarebbe da parlarne con più calma ma qui mi limito ad osservare che il regno dei cieli, come Gesù lo descrive – non è l’unica volta – è descritto come un evento nuziale: “venit sponsus, et quae paratae erant, intraverunt cum eo ad nuptias” ovvero “arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze” (Mt 25,10).

Roberto lo aveva intellettualmente chiarissimo, Federico qualche fatica in più l’ha fatta ma non si è sottratto a questo lavoro ed infatti si era ben preparato: entrambi avevano pronto l’abito adeguato.

L’idea del riposare in pace (che è una buona idea), della preghiera dell’Eterno Riposo, andrebbe integrata con quella del festeggiare in pace, comprensiva anche del riposo.

Buona festa di nozze miei cari amici, miei carissimi Roberto e Federico.

Parma, 12 novembre 2023, XXXII domenica del tempo ordinario

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