Potere e politica

Sono un po’ di giorni che non riesco a scrivere nulla, il che mi preoccupa sempre ed è chiaro segnale di stanchezza di pensiero altrimenti denominabile ma mi astengo.

Nonostante l’arrivo della primavera e la fioritura delle mie amate piante, i narcisi e le viole in particolare, ma anche le azalee e pure qualche giacinto.

Il lavoro mi ha molto assorbito e la cosa non è buona ma non è solo quello.

Mi trovo ad osservare, i telegiornali ne parlano ogni santo giorno e non sono da meno i quotidiani, una infinita, continua crisi politica, sfibrante nel continuo senso di impotenza che se ne trae di conseguenza.

Dal cosiddetto premier che vanta risultati quantomai discutibili ed ostenta un ottimismo insultante per ogni intelletto normodotato, ai suoi scherani di contorno, agli oppositori che sono la versione invidiosa e biliosa del potentello di turno.

Ampliando o restringendo la lente d’ingrandimento il risultato non cambia.

La politica è impotente e da tempo, salvo cercare di nascondersi dietro improbabili vestiti dell’imperatore; nè quella locale è da meno.

Una differenza, ma neanche tanto poi se si pensa alla deriva populista dell’introduzione dell’omicidio stradale, la noto nel diverso grado di rincorsa agli umori e richieste dei cittadini; più distante nel caso del governo centrale, pressante fino a essere opprimente per quella locale.

I cittadini continuano a pretendere sempre di più, pretendere non chiedere, senza riconoscere ciò che viene loro fornito ma, sopratutto, senza pensare che il vuoto dell’impotenza personale non può essere colmato da una presunta potenza pubblica, che non esiste.

Mi viene in mente una frase, tra altre, rimastami in memoria dalla lettura di un’opera che mi appassionò molto, ai tempi:

“Fare, e poi disfare e spezzare,
questo è il pensiero, già prima mi era venuto,
ed è il disperato esercizio
d’un potere che spesso vien meno.
Sansone in Gaza non poté fare di più.
Ma, se qualcosa c’è da spezzare, devo spezzare me solo.”

Citazione da “Assassinio nella cattedrale” e normalmente questa splendida opera mi si affaccia in occasioni non liete, in cui temo, prevengo qualcosa di cupo e imminente.

Quanto paventavo è giunto: il luogo di lavoro dove presto servizio è destinato a cambiare ancora perchè attorno tutto crolla: “E tutto un sol giorno cangiare potè!”

Ne sono sconfortato, eufemisticamente.

Iniziando la primavera mi dedicherò alla cura dei fiori, decisamente più interessante che non il lavoro che svolgo.

Mi è chiesto un supplemento di lavoro, di difesa del pensiero; mi viene da pensare che l’analisi sia quello che san Bruno diceva della Croce: stat caput dum volvitur orbis.

L’essenza della politica è paranoia ed invidia; se è vero che non se ne può fare a meno (“È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora.”) tuttavia ci sono diverse politiche.

Quella che cerco di praticare mi rimanda a quanto dice Giacomo Contri:

“Che cosa significa amicizia per il pensiero?

È facile, amichevolmente obbligante senza militanza né dogma. Queste due distinzioni attraversano millenni.

     Significa:

  1. un amico ha cura, coltivazione, di ciò di cui è amico, come del giardino (dell’Eden o di Voltaire),
  2. un amico non è indifferente a ciò di cui è amico,
  3. un amico non è ostile a ciò di cui è amico.

     Circa l’indifferenza: la praticano inapparentemente l’oblatività (ossessiva-“amorosa”) e la dichiarazione di “interesse” senza cura. “Interessante!” può essere un’ingiuria.

     Circa l’ostilità: potrebbe non essere un segno tanto cattivo, a paragone della formazione reattiva che ne è il camuffamento anche più efficacemente odioso.”

Questo è il vaglio.

Parma, 15 marzo 2016 memoria di Santa Luisa de Marillac Vedova e religiosa

 

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.