Cervelli (o)Scurati

Alcuni passaggi tratti da La leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij credo siano un aiuto per giudicare, tra i tanti episodi di questi giorni, la polemica che ha visto protagonista Antonio Scurati, Serena Bortone e compagnia cantante.

Dio non è morto, anzi gode di ottima salute; non è il Signore dei cristiani ma l’essere supremo della religione ed oggi non siamo meno religiosi di un tempo.

Non abbiamo meno sacerdoti, non ci mancano pompose (e vuote) liturgie, il clero prospera sotto i panni di certa scienza, di certa psicologia: i neo sacerdoti, non hanno minor pretese degli antichi, sono soltanto più raffinati ideologicamente; essi si sono ammantati, in perfetta applicazione della formazione reattiva, di accoglienza, disinteresse, inclusione, altruismo, pacifismo, ecologismo, antifascismo ecc. ecc.

Il 25 aprile, festa della liberazione (sacrosanta), è divenuta una stantia liturgia di questi rancorosi (ancora formazione reattiva) ma apparentemente tolleranti e benevoli sacerdoti: svuotata di significato – si potrebbe verificare il parallelo col Natale, festa ormai evaporata in un’aura di insignificante buonismo zuccheroso – per scoprire che non c’è più nulla di quel 25 aprile cui rimanda.

Questo 25 aprile, coi cortei e le manifestazioni d’ordinanza, cui nessun bravo democratico e antifascista può mancare, mi ricorda il precetto pasquale che veniva irriso da Giuseppe Gioachino Belli, nei suoi sonetti.

Nella Roma dell’Ottocento, i dirigenti dei Ministeri romani erano tenuti a organizzare coattivamente per i propri impiegati nella chiesa del Gesù “Santi Esercizi Spirituali in preparazione alla Solennità della Pasqua per gli impiegati Camerali e Governativi” a cui nessun impiegato poteva sottrarsi («niuno vorrà scusarsi ad intervenire – ammonisce una nota ministeriale del 1864 – e anzi tutti interverranno a gara per dimostrare i sentimenti della loro Religione e cristiana pietà». Perfino in alto loco, come nel “Senato” capitolino, l’equivalente non elettivo del Consiglio Comunale, si ingiungeva, sia pure con eleganti inviti stampati indirizzati ai singoli funzionari con tanto di nome e ruolo, (p.es. «il sig. avv.to Capograssi, minutante della Segreteria Comunale, è invitato nella Cappella Capitolina il 19 corrente alle ore 8 antimeridiane…» a presentarsi per il Precetto pasquale (Droulers P., La vita religiosa a Roma intorno al 1870. Ricerche di storia e sociologia, p.107).

E chi non faceva il precetto? Finiva nella lista nera degli “ostinati” sul famigerato “tabellone” della vergogna in San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dove si pubblicava la «lista degli interdetti per inadempimento al precetto pasquale». E guai per chi non “faceva il precetto”. Al centro della piazzetta,  era stata eretta una piccola “colonna infame”, tuttora esistente, alla quale il 27 agosto, festa di S. Bartolomeo, era attaccato il tabellone dei renitenti che non si erano comunicati a Pasqua, definiti e considerati veri e propri “banditi”, emarginati sociali («banditorum illorum qui in die paschali de Sanctissima Coena non parteciparunt».

Ecco dunque di seguito alcuni brani che non sfigurerebbero in bocca a tanti comizianti di oggi.

“Ma sappi che adesso, proprio oggi, questi uomini sono più che mai convinti di essere perfettamente liberi, e tuttavia ci hanno essi stessi recato la propria libertà, e l’hanno deposta umilmente ai nostri piedi. Questo siamo stati noi ad ottenerlo …

Essi sono viziosi e ribelli, ma finiranno per diventar docili. Essi ci ammireranno e ci terranno in conto di dèi per avere acconsentito, mettendoci alla loro testa, ad assumerci il carico di quella libertà che li aveva sbigottiti e a dominare su loro, tanta paura avranno infine di esser liberi! Ma noi diremo che obbediamo a Te e che dominiamo in nome Tuo

… eterna ansia umana, dell’uomo singolo come dell’intera umanità: “Davanti a chi inchinarsi?”. Non c’è per l’uomo rimasto libero più assidua e più tormentosa cura di quella di cercare un essere dinanzi a cui inchinarsi. Ma l’uomo cerca di inchinarsi a ciò che già è incontestabile, tanto incontestabile, che tutti gli uomini ad un tempo siano disposti a venerarlo universalmente. Perché la preoccupazione di queste misere creature non è soltanto di trovare un essere a cui questo o quell’uomo si inchini, ma di trovarne uno tale che tutti credano in lui e lo adorino, e precisamente tutti insieme. E questo bisogno di comunione nell’adorazione è anche il più grande tormento di ogni singolo, come dell’intera umanità, fin dal principio dei secoli. È per ottenere quest’adorazione universale che si sono con la spada sterminati a vicenda. Essi hanno creato degli dèi e si sono sfidati l’un l’altro: “Abbandonate i vostri dèi e venite ad adorare i nostri, se no guai a voi e ai vostri dèi!”.

E così sarà fino alla fine del mondo, anche quando gli dèi saranno scomparsi dalla terra: non importa, cadranno allora in ginocchio davanti agli idoli.

Oh, quest’opera è finora soltanto agli inizi, ma è cominciata! Ancora a lungo si dovrà attenderne il compimento e molto ancora soffrirà la terra, ma noi raggiungeremo la mèta, saremo Cesari, e allora penseremo all’universale felicità degli uomini.

Con noi invece tutti saranno felici e più non si rivolteranno, né si stermineranno fra loro, come facevano dappertutto nella Tua libertà. Oh, noi li persuaderemo che allora soltanto essi saranno liberi, quando rinunzieranno alla libertà loro in favore nostro e si sottometteranno a noi. Ebbene, avremo ragione, perché ricorderanno a quali orrori di servitù e di turbolenza li conducesse la Tua libertà. La libertà, il libero pensiero e la scienza li condurranno in tali labirinti e li porranno davanti a tali portenti e misteri insolubili, che di essi gli uni, ribelli e furiosi, si distruggeranno da sé, gli altri, ribelli ma deboli si distruggeranno fra loro, mentre i rimanenti, imbelli e infelici, si trascineranno ai nostri piedi e ci grideranno: “Sì, voi avevate ragione, voi soli possedevate il Suo segreto e noi torniamo a voi, salvateci da noi medesimi”.

Permetteremo o vieteremo loro di vivere con le proprie mogli ed amanti, di avere o di non avere figli, – sempre giudicando in base alla loro ubbidienza, – ed essi s’inchineranno con allegrezza e con gioia. Tutti, tutti i più tormentosi segreti della loro coscienza, li porteranno a noi, e noi risolveremo ogni caso, ed essi avranno nella nostra decisione una fede gioiosa, perché li libererà dal grave fastidio e dal terribile tormento odierno di dovere personalmente e liberamente decidere. E tutti saranno felici, milioni di esseri, salvo un centinaio di migliaia di condottieri. Giacché noi soli, noi che custodiremo il segreto, noi soli saremo infelici. Ci saranno miliardi di pargoli felici e centomila martiri che avranno preso su di sé la maledizione di discernere il bene dal male”.

Si potrebbe cambiare il titolo del brano di Dostoevskij: da “Il grande Inquisitore” a “Il grande cattocomunista”, quasi identico è il contenuto di pensiero.

Analisi rozza, lo ammetto ma, credo (e temo) con qualche barlume di verità; altri meglio di me svelano le contraddizioni e ipocrisie di questo raffinato clero contemporaneo, ad esempio, lo fa magistralmente, Giovanni Cominelli con gli articoli pubblicati su libertàeguale e Sant’Alessandro, imperdibili.

Parma, 25 aprile 2024 festa di san Marco evangelista e di santa Franca badessa

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