Bruno Munari alla Fondazione Magnani Rocca

Appuntamento imperdibile, quello con la Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo; di lodi sperticate (e meritate) ne ho già tessute in altre occasioni sebbene credo sia cosa buona, in tempi così cupi, valorizzare queste straordinarie realtà, quindi non mi dilungo e vengo subito alla mostra temporanea dal nome apparentemente pretenzioso, “Bruno Munari. Tutto”.

Di questo poliedrico artista non conoscevo nulla se non vagamente il nome (la mia ignoranza riemerge in continuazione) ma, dopo la visita, ho un’idea di tutto quel che ha esplorato: non ho visto tutto, come si può ben immaginare, ma ho assaggiato un boccone di tutta la produzione munariana.

La prima produzione, quella che ha chiari riferimenti futuristi, mi è piaciuta tantissimo: “Buccia di Eva” mi ha molto colpito perché è la rappresentazione di una nike, sdraiata quasi una marionetta con un che di metafisico, tanto astratta da avere il volto privo di tratti, il che potrebbe voler rappresentare tutte le donne o, come a me pare più probabile, nessuna.

Altre opere che mi hanno incuriosito sono i libri non scritti, le macchine inutili e le scritture illeggibili di popoli sconosciuti: ad un primo sguardo mi lasciava perplesso quello che mi pareva la solita ricerca di origine greca sull’essenza poi, però, ho pensato che Munari utilizzava queste produzioni per rimandare ad altro, per stimolare la creatività cioè per invitare a sviluppare un pensiero non conformista; mi ha richiamato la celebre frase evangelica tanto cara a Giacomo Contri: “l’albero di giudica dai frutti”.

Non esiste, insomma, l’oggetto in sé quanto piuttosto l’uso che se ne fa.

Fantastica la “sedia per visite brevissime”, la cui seduta è inclinata a 45°, messaggio non subliminale e comunicazione non verbale molto efficaci: è sicuramente una provocazione perché è evidente che una sedia siffatta contravviene alla sua definizione di sedia, cioè di oggetto accogliente un uomo che intenda sedersi, è una sedia non sedia, come la famosa pipa di Magritte.

Un inganno per il pensiero o un invito a non fissarsi sulle definizioni consuete?

Tanti sono gli oggetti in mostra, tutti interessantissimi anche quelli dedicati alla pubblicità; a parte il manifesto, molto famoso, dedicato al Campari che è «strettamente collegato all’apertura della linea M1 di Milano, inaugurata nel novembre 1964: è un manifesto infatti che tiene conto di una visione mobile, ed allo stesso tempo parcellizzata, perché, come afferma lo stesso artista, non perde “la sua efficacia di informazione anche se è intravisto parzialmente, anche se gruppi di persone lo coprono parzialmente, anche se visto di corsa dalla vettura del metrò”. Ma l’idea forte su cui si fonda il progetto è soprattutto quello di un montaggio potenzialmente estensibile all’infinito in un’iterazione seriale che prenda a modello il sistema della carta da parati, senza stacchi quindi, in un flusso continuo di immagini, che si concili con il sistema delle affissioni. Sulla campitura rossa del fondo ecco stagliarsi, scomporsi e ricomporsi le icone grafiche della scritta Campari: Munari segnala proprio l’elemento di continuità del marchio, ripercorrendo attraverso il confronto del lettering la lunga e prestigiosa storia pubblicitaria della azienda» (citazione tratta da https://www.csacparma.it/bruno-munari-declinazione-grafica-del-nome-campari-1964/).

A parte quello, dicevo, mi è piaciuto un manifesto della Pibigas che ritrae un uomo, di spalle, pare un tecnico, che consegna a domicilio una bombola di gas con la scritta “il gas in bottiglia cucina illumina riscalda per tutti dappertutto”; il dettaglio curioso è il nome sul campanello che sta per suonare: “chiunque”.

Tante sono le suggestioni che ho tralasciato ma che il visitatore più accorto di me potrà fare proprie; mi resta una bella visita ed una scoperta.

Reitero, con piacere, i complimenti a tutto lo staff della fondazione.

Parma, 28 aprile 2024 memoria dei santi Gianna Beretta Molla, Luigi Maria Grignion da Montfort, Pietro Chanel, Vitale di Ravenna

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