Commiato di Nando detto Bercy

Martedì 29 novembre è l’ultimo giorno di onorato di lavoro, dopo ben 43 anni, di un caro collega, quella vecchia cozza di Nando, al secolo Fernando Berciga che io chiamo affettuosamente Bercy o Scorfy.
Personalmente lo conosco da 5 anni, da quando ho iniziato a lavorare in quel di Parma: il mio primo giorno di lavoro, la sera dell’ultimo dell’anno, venni destinato al concerto di non ricordo nemmeno chi; non conoscendo nessuno sarei stato del tutto inutile in servizio esterno (anche interno a essere sinceri) così l’ottimo Bercy si offrì per sostituirmi e prestare servizio esterno al posto mio, che rimasi chiuso in centrale operativa.
Degli inconvenienti (premonitori?) di quella notte ho già detto; di questa nota positiva, invece, non avevo fatto cenno: è raro che un collega sconosciuto, nemmeno richiesto, si offra per un servizio disagiato e potenzialmente fonte di problemi.
Andò tutto bene.
Essendo Bercy il mega capiscione dell’ufficio servizi, non ho mai avuto occasione di collaborare con lui sia nei primi tempi in cui ero aggregato al reparto territoriale, sia a maggior ragione una volta destinato all’ufficio in cui bazzico attualmente, tuttavia ho avuto modo più e più volte di apprezzarne la serietà, la disponibilità, la lealtà e la generosità.

Come un altro suo quasi coetaneo, l’ottimo Luca Mendogni, il buon Bercy è uno degli anziani storici che non esito a definire come un vero signore (come Luca), proprio in virtù della squisita cortesia con cui tratta tutti indistintamente, una razza in via di estinzione.

Trattandosi di persona simpatica, è stato spesso vittima dei miei impertinenti frizzi e lazzi, come capita a tutti quelli con cui trovo qualche affinità positiva.

Con Bercy ho avuto modo anche di scambiare opinioni su viaggi, libri e di un po’ di quel che ci veniva in mente; con lui avevamo pensato anche di rinverdire la bella consuetudine (che io non ho vissuto) di organizzare qualche gita in giro per l’Italia: il volantino pubblicitario da noi elaborato ed esposto in bacheca è durato meno della vampata di un flash: chiaro messaggio di malevolo disinteresse, per cui lasciammo subito perdere.

Nonostante ultimamente mi abbia apostrofato con un astioso appellativo che non ho per niente gradito – ma si è scusato varie volte per cui, contrariamente alle mie abitudini, l’ho perdonato di cuore – non vi è stato giorno in cui non lo abbia incrociato volentieri per i corridoi o le scale del comune luogo di lavoro.

Tra le sue passioni anche quella di indossare l’uniforme storica del corpo, con la quale non sfigura nonostante l’età ormai avanzata: con la mia tradizionale acribia ho sempre stigmatizzato questa scelta per via delle sue alte responsabilità derivanti dall’elevatissimo grado nella gerarchia del nostro comando, ma ben volentieri gli concedo questo vezzo narcisistico in fondo del tutto innocente.

Abbiamo in programma, non appena sarò ristabilito, una trasferta in quel di Milano che avevamo già programmato da tempo e che saltò a causa della pandemia: manterremo, quindi, i rapporti, e lo spero vivamente per la stima che nutro e spero vorrà ricambiare nutrendo il mio stomaco con gli ottimi manicaretti che sa cucinare da autentico gourmet.

Non gli auguro di godersi la pensione, pensiero malinconico, ma di godere di tutte le occasioni che gli capiteranno o che saprà propiziarsi in questa nuova fase della vita in cui il lavoro cui potrà dedicarsi non è quello stipendiato (chiamiamolo servile).

Il mio augurio è che voglia creare ancora condizioni di lavoro e guadagno, perché il pensiero non va mai in pensione (se non nella rinuncia malinconica).

Per me è stato un piacere ed un onore averlo come collega, con la speranza che resterà come amico.

Parma, 29 novembre 2022 memoria di san Saturnino di Tolosa

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