Primo anniversario della morte di (san) Roberto Mastri

Il 9 marzo dell’Anno del Signore 2023, all’incirca alle 10 del mattino, il mio carissimo amico Roberto Mastri terminava la sua avventura terrena; per me uno degli eventi più dolorosi della mia esistenza.

Quel male di cui mi aveva minimizzato l’importanza, almeno all’inizio, ebbe il sopravvento; non ero presente in quel momento, all’ospedale di Forlì – e questo è un rammarico (e non è la prima volta) che mi rende triste perché avrei desiderato tenergli la mano, fargli sentire che non era solo, in quel momento.

Un altro caro amico di venerata memoria, Don Piero Sancisi, diceva spesso che il lutto per una persona cara non deve superare l’anno: ecco, l’anno è giunto.

Ho pensato, quindi, di togliere l’immagine del caro Roberto, dal profilo facebook, dove linko i post di questo sito, la cui esistenza è dovuta alla sua cortesia e supporto: ho scelto la statua – fantastica – di Bonifacio VIII, in lastre di rame dorato, opera di Manno Bandini da Siena, sia perché mi ricorda il famoso episodio dell’esame di Storia della Chiesa medioevale e dei movimenti ereticali, sia per la visita che feci al Museo civico medioevale che custodisce questo capolavoro, in compagnia dell’allora giovane e pimpante (sto scherzando) Roberto Mastri.

Non viene meno il patrimonio di cui gli sono debitore; parlandone alcuni giorni fa, lo associavo ad antichi studi, all’esame di Storia del Cristianesimo, corso della professoressa Alba Maria Orselli.

Per quell’esame studiai un volume, della stessa professoressa Orselli, in cui si trattava della questione dei vescovi del IV secolo divenuti patroni delle città medioevali, stabilendo una connessione giuridica tra la figura del “protoepiscopo” e quella del patronus romano.

A Roma solo i cives optimo iure potevano adire il tribunale in difesa dei propri e altrui interessi; lo straniero o comunque colui che non godeva dei pieni diritti aveva, di conseguenza, la necessità di un intermediario, un cittadino romano che gli fungesse da patronus, cioè che lo rappresentasse in tribunale: il civis optimo iure aveva la piena cittadinanza, con annessi tutti i diritti del caso, mentre gli altri a questo dovevano ricorrere, essendo o stranieri o comunque soggetti all’altrui tutela.

Questa idea giuridica venne fatta propria dal cristianesimo che la applicò al caso dei santi patroni: i cristiani sono, in terra, cittadini che non godono dei pieni diritti di cittadinanza poiché solo i santi, in paradiso, hanno questo privilegio; dal fatto che i santi fossero i cives optimo iure del paradiso, cioè della città celeste, veniva derivata la necessità (o meglio il profitto) di averli come patroni, quindi difensori e curatori degli interessi delle città terrene che a loro si fossero legate.

Da qui l’idea, giuridica, del santo patrono.

Questa concettosa divagazione perché mi pare che calzi a pennello con la figura di Roberto Mastri, sicuramente civis optimo iure della città celeste ove non ho dubbi che stia trafficando in proprio e altrui favore: tra questi altrui mi inserisco a buon diritto.

Sebbene sia trascorso un anno la presenza di Roberto non è meno vitale proprio perché gli imputo (premialmente) di avere contribuito al mio essere come oggi sono, gli riconosco di avere sempre sostenuto il mio pensiero, di averlo difeso anche dalle mie stesse intemperanze, senza farsi mai distrarre o scoraggiare dalle cadute, dalle incoerenze, dalle infedeltà.

Ricordo una telefonata, di tanti anni fa, ero andato in gita, non ricordo dove, per gli auguri di compleanno; fu una lunga telefonata nella quale, tra altre cose, mi disse che gli piacevano molto i miei post, che li trovava davvero interessanti e mi riconosceva una particolare personalità letteraria (esagero la sua bonaria ironia); di fronte al mio imbarazzo, ribadì che non stava affatto scherzando e mi invitò caldamente a continuare a scrivere.

Quel sostegno è stata un’autentica, inaspettata e insperata benedizione.

Questa difesa ed il sostegno mi rassicurano ancor oggi e, di fronte alle difficoltà, mi viene spesso da pensare ai suoi incoraggiamenti; abbiamo parlato, spesso, ad esempio, della convivenza con persone anziane, entrambi abbiamo vissuto con la mamma, delle difficoltà a trattarle al meglio: in questi giorni di lotta all’herpes zoster, le sue parole sono un balsamo alla mia stanchezza.

Avevo intenzione di fare un salto a Forlì, al cimitero, avevo anche ottenuto un giorno di ferie ma il malefico herpes zoster che affligge pesantemente mia madre mi impedisce un’assenza così prolungata.

Ho scoperto, guardando il sito della scuola cui lui ha dedicato l’intera esistenza, che è stato istituito un premio, in sua memoria: Bravi prof. – premio Roberto Mastri; sono contento che venga ricordato in quel mondo della scuola ove ha profuso le migliori energie (troppe, come da lui stesso ammesso) con una dedizione monastica, benedettina. Mi permetto sommessamente di notare un piccolo neo: Roberto è morto a marzo e non a febbraio, come erroneamente indicato nel sito.

Unico piccolo cruccio: non sono riuscito ad andare a conoscere di persona fra’ Pietro Zauli, alunno di Roberto Mastri e celebrante la sua messa esequiale.

Terminato il lavoro di lutto, continua quello di eredità, secondo la famosa frase di Goethe, ripresa da Freud: “Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero“, che mi permetto di riscrivere per il caso specifico in questo modo: “Ciò che erediti (ogni giorno poiché come nota Glauco Genga “l’ereditare non sia qualcosa di concluso una volta per sempre, ma continui a rinnovarsi nel presente”) da Roberto Mastri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero”.

Sono speranzoso nell’inizio del processo di beatificazione.

Parma, 9 marzo 2024, memoria di santa Francesca romana e di san Domenico Savio

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