Un salto a Como

Como era una delle mie mete, nata dall’avere spesso trovato, nei libri che mi capita di leggere, riferimenti al Duomo di questa cittadina. Poi c’è il lago, che è sempre affascinante.

In questo periodo dell’anno è tradizione che mi conceda qualche giorno di ferie e così è stato come ormai da anni; non ho osato andare all’estero per timore di inconvenienti “virali”, né a Trieste, come desidero da tempo, per impegni della fantanipote che volevo portare con me: Como era una meta perfetta.

In auto, partito di buon’ora e fiducioso delle indicazioni temporali del navigatore, ho avuto la prima pessima sorpresa (confermata anche al rientro, con peggioramenti): che siano lavori o incidenti il risultato è sempre il medesimo, lunghe, noiose file; sarebbe utile stabilire la regola per la quale non è dovuto il pagamento del pedaggio in caso di code di durata superiore a 30 minuti, fantascienza, lo so.

In ogni caso sono arrivato; ecco l’altro problema che devo risolvere: essendo contrario alla mia religione il pagamento di soste, ho cercato un parcheggio gratuito, che ho casualmente trovato sulla strada di avvicinamento.

Probabilmente non ho scelto il posto più comodo ma il parcheggio era gratuito e in discesa (al ritorno, ovviamente in salita ho boccheggiato come un tricheco spiaggiato), in quel di via Bignanico S. Pietro.

Da lì sono partito baldanzoso e speranzoso verso il lago e soprattutto verso la Cattedrale; prima tappa, doverosa, è stata Villa Olmo, coi suoi ampi giardini.

Un gran bel palazzo, che ha attirato la mia curiosità: villa neoclassica voluta dalla famiglia Odescalchi, originaria della zona ma con un ramo importante trasferitosi a Roma: l’importanza della residenza estiva dei marchesi Odescalchi è certificata dalle presenze importanti che si sono succedute nel tempo: da Napoleone (bleah) a Ugo Foscolo, dagli imperatori d’Austria Francesco II e Ferdinando I, per finire con un brutto ceffo come Garibaldi Giuseppe che sposò la figlia dell’allora proprietario (erede della famiglia Odescalchi), Giuseppina Raimondi.

Curioso episodio questo perché il giorno stesso delle nozze, poco dopo la cerimonia, a Garibaldi fu recapitato un biglietto (probabilmente ad opera del maggiore Rovelli, amante scaricato dalla Raimondi) che gli rivelava le relazioni illecite mantenute dalla moglie durante il fidanzamento ed anche immediatamente prima delle nozze stesse oltra allo stato di gravidanza in cui la stessa si trovava.

La donna non negò nulla e venne ripudiata con annullamento delle nozze vent’anni dopo.

Villa Olmo era aperta quindi era ovvio entrarci: accessibile, sfortunatamente, il solo piano terra ove era in corso una mostra “METAMORPHOSIS” in occasione della trentesima edizione di MINIARTEXTIL, la storica manifestazione dedicata alla Fiber Art contemporanea.

Biglietto di ingresso 7 €, senza possibilità di pagare col bancomat, ma la curiosità è tanta, come la delusione; copio dal sito visitcomo.eu perché … “Metamorphosis è una narrazione polifonica che disarticola una costellazione di voci, prospettive e saperi differenti. Ibridazione, mescolanza e confluenza di differenze coincidono nello stesso spazio, secondo un’ambiguità categoriale di fondo. Le opere sono parte di un processo di contaminazione tra tecniche e media, tra tradizione e innovazione, riuso e ripetizione.
La mostra è un tentativo di negoziazione con la tradizione e l’abilità di adattarsi e continuamente reinventarsi, misurandosi anche con le invenzioni tecnologiche. Pratiche collaborative, vernacolari e artigianali, che per decenni sono state marginalizzate dal progresso, ritornano nella produzione artistica. Non sono conversioni – trasformazioni singole, né rivoluzioni- trasformazioni socio-politiche. Si tratta, invece, di una soglia dove dimensione intima e dimensione cosmica si incontrano.”

Ho copiato perché sinceramente ammetto i miei limiti in materia d’arte ed in particolare d’arte contemporanea, ma proprio non c’ho capito nulla, anzi anche meno.

Il piano terra di Villa Olmo è comunque bello con il teatrino davvero curioso, da vedere.

Da lì riprendo il cammino verso il centro, fiducioso di trovare qualcosa di più gradevole della mostra.

La passeggiata è molto gradevole, le ville che costeggio sembrano tutte tanto imponenti quanto belle ma c’è qualcosa che attira l’attenzione, anche da lontano, è il Monumento ai Caduti; mentre mi dirigo lì incontro una statua dedicata a Mafalda di Savoia, deceduta nel lager di Buchenwald, opera di Massimo Clerici e dono dell’Associazione Guardie d’Onore delle Reali Tombe del Pantheon.

Nei pressi c’è anche il Monumento alla resistenza europea, ma è quello ai Caduti che pretende la mia attenzione; eccomi alla base: l’opera, ricavata da alcuni disegni a matita dell’architetto Antonio Sant’Elia, caduto anch’egli nella Grande Guerra, è imponente e fortemente stilizzata, essenziale e composta.

Si respira futurismo che io associo sempre (ma non so darmene una spiegazione) alle atmosfere un po’ cupe dei film di Batman; il Monumento ai Caduti è chiuso, quindi inaccessibile, ma mi basta l’esterno, davvero affascinante.

Il famoso Tempio voltiano è a due passi: mi ci dirigo con decisione più interessato alla costruzione in sé che al contenuto, visto che si tratta di materiale legato alle ricerche dell’insigne fisico Alessandro Volta cui è dedicata anche una statua in una delle piazze centrali della città.

L’edificio è chiuso, credo per lavori; riesco a sbirciare dal portone d’ingresso ma è solo una fugace occhiata.

Non ci sono più ostacoli tra me e il Duomo ed eccolo lì, con la sua splendida facciata in stile gotico, con tante statue di santi che mi ricordano il Duomo di Milano, stuzzicano l’indice medio che scatterà tante foto e fanno concorrenza allo splendido rosone centrale ed ai gruppi scultorei delle lunette, sebbene ci siano due statue, ai lati del portale maggiore, che sovrastano le altre per dimensioni e conseguente prestigio: sono Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane, comaschi di origine.

La Cattedrale di Santa Maria Assunta, questo il nome corretto del Duomo di Como è un sapiente sovrapporsi di stili diversi, con un risultato davvero di notevole interesse.

Si offre spontaneamente un euro per l’ingresso (e va bene così) ricevendone una piccola guida quindi la basilica è a mia disposizione.

Giusto per curiosità segnalo il sarcofago del vescovo Bonifacio di Modena, della serie com’è piccolo il mondo e quello che reca tre lucci, del vescovo Giovanni Avogadri Lucini, che a fine del XIII secolo partecipò attivamente alle lotte intestine della città. 

Ci sono opere davvero belle all’interno ma è l’esterno che mi attrae, le tante statue sono come una calamita.

Innanzitutto i due Plinio: sebbene non cristiani hanno ricevuto un rilievo di straordinaria importanza, a testimonianza dell'”affetto” che la città provava nei confronti di questi illustri concittadini.

Tra i vari santi ovviamente segnalo san Sebastiano, presente sia con una bella tela all’interno, sia tra i santi della facciata: è sempre un piacere ritrovare questo caro santo protettore anche se sono ormai anni che non partecipo più alla celebrazione liturgica in suo onore, il 20 gennaio (già chieste le ferie per l’anno 2022).

C’è poi una scena che, se non ho frainteso, sembrerebbe raffigurare San Francesco che riceve le Stimmate: interessante testimonianza, se così fosse, della vicenda che ha ben analizzato Chiara Frugoni (e appena avrò modo dedicherò un post al suo importante contributo): a parere di questa illustre storica San Francesco con le Stimmate sarebbe un clamoroso caso di falso storico.

Circumnavigando il Duomo, passo accanto al Teatro sociale e, a una certa distanza, alla Casa del Fascio, opera dell’architetto Giuseppe Terragni, una bella testimonianza di uno stile, quello razionalista, che, seppur dotato di un certo suo fascino, non può essere più lontano dalla mia sensibilità con quelle linee così sobrie, scarne, quasi fosse una costruzione anoressica.

Dopo il Duomo mi sposto verso il centro città, in cerca di ispirazioni: le chiese che ho incontrato sono tutte chiuse, con mia somma alterazione; non mi resta che spostarmi verso la pinacoteca: qui faccio la triste scoperta che la maggior parte dei quadri non è fruibile a causa della mostra MINIARTEXTIL: rinuncio alla visita salvo per quelle quattro opere esposte per “Capolavori a confronto”, ritratti facenti parte della raccolta di Paolo Giovio (ne aveva circa 400) due ora custoditi agli Uffizi a Firenze e due nella Pinacoteca comasca.

In una saletta sono visibili il Ritratto di Baldassar Castiglione di Bernardino Campi, il Ritratto di Paolo Giovio di Cristofano di Papi dell’Altissimo, quello di Leonardo da Vinci del medesimo artista per chiudere con quello di Niccolò Leoniceno di Dosso Dossi: una bella iniziativa che non mi compensa comunque della delusione di non poter visitare come avrei voluto la Pinacoteca.

Figura molto interessante quella del Giovio, laureato in filosofia e medicina, vissuto per decenni alla corte papale, autore delle Historiae e grande collezionista di ritratti che pretendeva dal vero o copiati da opere che fossero il più possibile conformi al vero.

La considerevole collezione di ritratti non sopravvisse al Giovio e finì dispersa, come spesso accade a queste straordinarie raccolte.

Uscito dalla Pinacoteca mi sono concesso una passeggiata in centro senza una meta precisa, un frugale panino in un bar, un passaggio al famoso Life Electric, un’opera dedicata ad Alessandro Volta, posizionata sulla diga foranea, creazione di Daniel Libeskind e da lui stesso così descritta: “Life Electric si ispira alla tensione elettrica tra due poli di una batteria, il grande dono di Volta all’umanità. La forma dell’installazione trova cardine nella mia costante ricerca sulla rappresentazione architettonica dell’energia. L’opera congiunge gli elementi: luce, vento e acqua.
Un’installazione, una prospettiva fisica e ideale sul ventunesimo secolo”.

Effettivamente è un’installazione simpatica ed  è piacevole starvi seduti sotto, ascoltando lo sciabordio delle acque, un suono per me sempre affascinante.

Arriva, forse con certo anticipo, l’ora del ritorno; lascio Como abbastanza soddisfatto, ma senza particolare entusiasmo.

L’impressione che ne ho ricevuto è certamente positiva: la città è pulita, ordinata, ci sono un po’ di venditori ambulanti abusivi ma niente di troppo invadente, tutto trasmette un senso di tranquilla, sorniona opulenza che mi fa pensare ad una splendida località ideale per gli agi di anziani molto facoltosi, e ricchi magnati in cerca di riservatezza ma anche aperta alle incursioni estive di giovani del nord Europa.

Ennesima provincia italiana che rende questa disgraziata penisola un tesoro unico al mondo.

Como, 25 giugno 2021 memoria dei santi Gugliemo di Vercelli abate, Massimo di Torino e Prospero di Reggio Emilia vescovi

 

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