I terroristi e la terra che vogliamo

Ho ricevuto, giusto ieri sera, una mail che mi ricordava il prossimo appuntamento milanese, cui mi dedico da alcuni anni; il contenuto faceva riferimento al pensiero.

Ne cito alcune frasi che prendo dal blog di Giacomo Contri (http://www.giacomocontri.it/BLOG/2015/2015-01/2015-01-08-BLOG_terra_abitata_oikoumene.htm).

“prendere e trattare la realtà come terra, una terra ordinata dal regime dell’appuntamento…

Quando il pensiero individuale è meditazione cioè cura per la terra come abitata dall’appuntamento, l’individuo come single è la san(t)a sede della Legge (giuridica).

Il pensiero si muove secondo le tre categorie dell’amicizia, dell’ostilità, dell’indifferenza.”

Quel che è accaduto ieri (e stamattina, con l’omicidio di una collega ed il ferimento di un altro, gravissimo) a Parigi, oltre a tutte le analisi politiche, sociologiche e quant’altro che lascio agli opinionisti, studiosi, analisti di ogni ordine e grado mi sembra interessante confrontarlo con quanto ho appena riportato.

Ogni credente nell’islam, ogni cristiano, buddista, totemista, animista, o ateo, ogni uomo, donna, bambino, anziano, insomma ciascun essere umano vivente oggi su questa terra (ed anche gli eventuali astronauti in cielo – che stanno in alto ma su solide basi terrene) può essere trattato e giudicato in base al criterio dell’appuntamento, secondo le categorie di amicizia, ostilità e indifferenza.

Il pensiero di ciascuno può essere, appunto, amico, ostile o indifferente al regime dell’appuntamento.

Riprendo, la uso spesso come orientamento, la parabola dei talenti:

il signore (un sovrano) che ha i talenti da investire, invita alcuni suoi chiamiamoli sudditi, affida loro il denaro e se ne va: non impartisce loro alcun ordine, non ci sono prescrizioni, vademecum, ordini di servizio, li lascia bellamente a farsi i fatti loro.

Quando torna non domanda loro se hanno obbedito ai suoi ordini, ma chiede conto del denaro loro affidato: chi ha saputo farsene qualcosa (ha aumentato il capitale) non riceve un premio, una paghetta o lo stipendio, ma viene associato al regno, ottiene il governo di città.

Direi un caso riuscito di amicizia.

Mi viene in mente anche la frase di Giovanni Battista (dal Vangelo di Luca, 3-8): “Fate dunque opere degne della conversione e non cominciate a dire in voi stessi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che Dio può far nascere figli ad Abramo anche da queste pietre.”

Anche in questo caso un giudizio chiaro: non è l’appartenenza a qualunque confraternita, ceto, elite, religione che garantisce il pensiero; questo nasce dal vivere orientati: essere figli di Abramo è un punto di arrivo, dopo una falsa partenza.

Questi assassini, dunque, come chiunque altro (i giornalisti vittime non meno degli altri, sotto questo profilo avrebbero ben potuto  essere giudicati) sono da sottoporre al criterio: sono amici, indifferenti od ostili al regime dell’appuntamento cioè al fruttificare della parabola dei talenti?

Quale idea di regno, di sovranità, di diritto sostengono?

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