Sguardi sul femminile

“Sguardi sul femminile” è il titolo di una mostra temporanea tenutasi presso Palazzo Bossi Bocchi, sede della Fondazione Cariparma: mi sono strappato letteralmente la visita, quasi di corsa tra una somministrazione e l’altra di antivirale contro il famigerato herpes zoster.

Sabato pomeriggio, 9 marzo, mi sono costretto ad uscire e fare un salto in questo palazzo in cui non avevo mai messo piede, per vincere il senso di tristezza che ha caratterizzato questo giorno, primo anniversario della morte del mio amico di venerata memoria, (san) Roberto Mastri.

Il “boccone prelibato” della mostra è un’opera curiosa di Elisabetta Sirani,“Porzia che si ferisce alla gamba” di Fondazione Carisbo.

La storia è nota: Porzia, figlia di Catone l’Uticense, sposa il famigerato Marco Giunio Bruto, il cesaricida, di cui è profondamente innamorata; intuendone i progetti, per ottenere dal marito di essere messa a conoscenza del progetto di uccidere Cesare, la virilissima Porzia si procura una profonda ferita alla coscia per dimostrare la sua forza d’animo.

L’episodio è riportato anche da Shakespeare, che fa pronunciare alla donna alcune frasi molto significative.

“Lo ammetto, sono una donna; ma anche

una donna che il nobile Bruto prese per moglie.

Lo ammetto, sono una donna; ma anche

una donna di buona reputazione, la figlia di Catone.

Credi che io non sia più forte del mio sesso,

avendo un tale padre e un tale marito?

Dimmi quel che ti passa nella mente, non lo rivelerò.

Ho messo a dura prova la mia risoluzione,

facendomi una ferita, di mia volontà,

qui, nella coscia. Posso sopportare questo con pazienza,

e non i segreti di mio marito?”

Aggiungerà anche questa: “Ho lo spirito di un uomo, ma la forza di una donna”.

Un’opera che oggi credo faccia sbavare di rabbia e livore la cultura woke, ma questo è un altro discorso.

Tornando a Porzia, la nostra eroina, che si suiciderà ingoiando carboni ardenti, che gareggia col marito nel dimostrare la forza d’animo, diviene la protagonista dell’opera di Elisabetta Sirani che, evidentemente, intendeva proporre un modello di donna non subalterna all’uomo.

Purtroppo la morte ha stroncato questa virtuosa artista a soli 27 anni, probabilmente per un’ulcera gastrica, anche se sono circolate con una certa insistenza voci di un presunto omicidio per avvelenamento.

Chissà, resta il fatto che eppur così giovane Elisabetta aveva già conseguito un bel successo ed aveva fondato pure un’accademia per artiste, niente male per una giovane donna in pieno Seicento.

La mostra prosegue con opere dedicate alle donne secondo 5 criteri: il corpo della donna come elemento di decorazione; come oggetto di desiderio; come portatore di innocenza e candore; dal corpo di donna a quello di madre ed infine, grazie ad autori del secolo scorso, rappresentazioni del corpo femminile liberato dai 4 criteri appena descritti.

Criteri discutibili, soprattutto l’ultimo ma ho guardato con interesse alle opere della collezione della fondazione Cariparma, che meritano comunque, così come è da non perdere la visita all’intero palazzo, cioè all’intera collezione permanente (ma di questo scriverò a parte).

Ho scoperto che la Fondazione Cariparma possiede una splendida acquaforte di Parmigianino che rappresenta, tra altro, Giuditta e Oloferne, con Giuditta che ha una posa quasi da eroina francese della rivoluzione.

Non mancano, come potrebbe accadere? le opere degli artisti parmigiani, quali Amedeo Bocchi, con tre tele di grandi dimensioni “Bagnanti”, “Il tè” e “Figure femminili”, tutte di squisita fattura ma che mi suggeriscono una certa suggestione di voyeurismo (non le “Figure femminili”), probabilmente a causa dei miei pregiudizi.

Ci sono anche Cecrope Barilli con “La medicina” e “La mamma e il bambino” opere di genere ma squisite nella resa dei sentimenti dei due personaggi, e Daniele de Strobel di cui ho apprezzato “Pigmalione e Galatea”.

Una bella esposizione, insomma, che mi ha soddisfatto.

Parma, 9 marzo 2024 primo anniversario della morte di (san ) Roberto Mastri

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