giovanotto tedesco a Berlino

A Berlino, nella stazione di Friedrichstrasse, ho incontrato un giovanotto, sui trent’anni, completo blu, camicia azzurra, giacca marrone abbottonata all’ultimo bottone, come si conviene a chi rispetti gli stilemi della moda maschile, insomma un vero figurino.

Mi ha colpito, però, perchè aveva in testa quello che io chiamo cerchietto, cioè quell’aggeggio che usano le donne per tenere fermi i capelli; lo portava con molta nonchalance non avendone nessuna necessità; l’ho perso subito di vista, sui vagoni dell’U-Bahn 6.

Vicino a me, invece, si è seduto un altro baldo giovane, di media altezza, capelli castani non troppo scuri, con qualche ciuffo ribelle, un po’ di barbetta, appena accennata sul mento, vestito semplicemente con una felpa marroncina chiara, pantaloni grigi, uno zaino. L’ho notato perchè aveva le vene delle mani, fino alle ultime falangi, talmente evidenti da sembrare quasi scolpite, livide, nel marmo bianco, un reticolo di incroci e deviazioni che mi faceva pensare ad una cartina geografica. Queste mani così curiose giocavano con un cucchiaio, un oggetto che non aveva alcun senso che si trovasse in quella situazione.

Le mani tamburellavano il cucchiaio, di quelli da cucina, poi lo faceva girare su se stesso come se fosse uno spiedo;si era messo comodo, seduto col volto leggermente piegato indietro, evidenziando la poca barba, il naso un po’ appuntito, pronunciato ed i ciuffi ribelli dei capelli: avrei voluto fotografarlo perchè sembrava uscito da un quadro di un pittore olandese; mancava soltanto la cornice per trasformarlo in uno di quei capolavori che hanno dettagli enigmatici: “il ragazzo col cucchiaio” avrebbe potuto essere un titolo adeguato, banale e misterioso nel contempo, come taluni titoli di opere di Vermeer.

Una bella persona che ispirava un senso di pacata tranquillità: è sceso a Leopoldstrasse, disperso nella folla.

Di fronte avevo un altro uomo, capelli biondi, insignificanti, persona assolutamente anonima se non per il fatto di avere una bottiglia di birra tra le mani (dettaglio non particolarmente significativo in Germania) che ha terminato di bere, una volta seduto; una bottiglia di almeno 50cl di capienza ma oserei dire qualcosa anche di più.

Termina di berla, dicevo, e subito, senza aspettare nemmeno che gli ritorni la sete, estrae dallo zaino una seconda identica bottiglia, da una seconda tasca l’apribottiglie ed eccolo già pronto: non l’ha bevuta subito, ha atteso un po’ di tempo, ma, evidentemente, non riusciva a stare senza una bottiglia tra le mani.

Anche il giovanotto cui ho chiesto informazione per arrivare alla Gemäldegalerie era biondo, alto, coi capelli mossi, oltre che cortese.

Queste persone mi sono tornate in mente leggendo i libri di George Mosse in cui tratta dei “tipi ideali” della razza gemanica: vedendo questi giovani pronipoti dei tedeschi di allora mi viene un moto di simpatia a vederli così, almeno per me, teneri, con questi volti molto dolci, proprio non ce li vedo come truci dominatori del mondo (ed è un bene che sia così, meglio averlo come leader economici come accade in questi anni).

Resto curioso, mi sarebbe piaciuto conoscere la vita di questi ragazzi e uomini tedeschi, conoscerla e raccontarla.

Come avrei voluto immortalarne il profilo (da tempo sogno di poter mettere in piedi una galleria di volti, ma la mia inettitudine fotografica unita alla naturale timidezza rendono questo pensiero irrealizzabile): restano queste poche parole, quasi un ritratto fugace sulla sabbia.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.