un episodio choc a Rimini

Ho scoperto casualmente una notizia che ha attirato la mia attenzione per via del luogo, la mia amata (da lontano) Rimini e per il titolone che faceva supporre un terribile evento, da nove colonne in prima pagina.
Il titolo dell’articolo, il giornale è uno di quelli che non riesco nemmeno a far utilizzare a mia mamma per per raccogliere gli scarti della pulizia dei radicchi, è: “Rimini, il vigile calcia lo scooter. Il video choc”.
Capisco benissimo che i titoli servono per attirare l’attenzione ma da parte di un professionista delle parole, da un alfiere della serietà dell’informazione libera e verificata, come tanti scribacchini si autodefiniscono, mi aspetto anche un certo senso di responsabilità sociale, il che equivale a dire che se certi episodi possono essere da stigmatizzare, ci sono molte e varie sfumature per raccontare ciò che accade e forse, ma davvero forse, la parola choc è un poco (poco poco) fuori luogo, vagamente eccessiva.
La scelta del registro non è indifferente.
Ma veniamo ai fatti: una pattuglia di agenti della Polizia Locale interviene in una via di ritrovo di ragazzini che scorrazzano con gli scooter, creando disturbo alla quiete dei residenti e probabilmente anche qualche preoccupazione per la loro incolumità; con molta probabilità ci sono anziani e bambini (più primi che secondi) ed il fastidio del rumore e la confusione sono difficilmente tollerabili a una certa età (esperienza personale).
Un operatore scende dall’auto e fa il gesto, più simbolico che reale, di tirare un calcio verso uno dei ragazzotti che sfreccia a distanza ben più che di sicurezza.
Il comportamento dell’agente è da burbetta emotiva quindi assolutamente infelice e questo senza se e senza ma.

Analizzando il comportamento del collega – che non sono stato in grado di riconoscere dal video, ma tanti sono i nuovi assunti dai tempi in cui bazzicavo in Romagna – non posso esimermi da alcune considerazioni: il gesto di tirare un calcio all’aria è assolutamente riprovevole perché innanzitutto inefficace e fuori luogo in quel contesto.

Mi spiego meglio: gli istruttori di tecniche operative credo che criticherebbero duramente la scelta di intervenire con una mossa avventata come quella messa in atto nell’occasione perché non idonea ad ottenere alcun risultato ed anzi controproducente: non si prende a calci, nemmeno come gesto simulato o tentato e seppur da lontano, poiché il gesto è sproporzionato allo scopo – non si trattava di fermare un assassino in fuga da un flagrante omicidio – e in caso di perdita di controllo del mezzo e conseguente caduta, il conducente avrebbe buon gioco a chiedere indennizzi proprio per la sproporzione sopra evidenziata.

Come si sarebbe detto alcuni decenni fa, nei film d’investigazione americana, un agente così è da rimandare (con ignominia interna al corpo) a dirigere il traffico o, se già a quello addetto, a controllare i veicoli in sosta e gli bloccherei un avanzamento nel grado e una progressione orizzontale.

L’interessante dell’articolo, però, non sta nel comportamento del poco avveduto collega, ma nella lettera inviata al giornale dalla madre del povero piccolo ragazzino coinvolto nell’episodio.

“Mio figlio mi ha detto che si trovava a passare di lì perché invitato da amici e che non aveva la più pallida idea di chi fosse quell’uomo. Solo per un miracolo è riuscito ad evitarlo e solo perché è stato aiutato dallo scivolo del marciapiede, altrimenti avrebbe urtato lo spigolo e sarebbe stato sbalzato a terra. Mio figlio è tornato a casa tremante e, piangendo, mi ha fatto vedere i filmati. Sono comportamenti che non devono più avvenire”.

Ovviamente il Comando ha avviato subito un’indagine interna (vedi sopra la punizione che propongo).

Mi immagino la scena straziante, il povero pargolo indifeso che torna a casa a confidarsi con la mamma, che è notorio che gli adolescenti si confidano con la mamma, specie quando combinano qualche marachella; si confida e le confessa, squassato da lacrimoni che a vederlo il cuore di mamma sanguina di dolore, che no, non ha messo di nascosto il dito nel vasetto di Nutella ma soltanto che, comportamento molto meno riprovevole, lui lì, in quella via, assieme agli altri ragazzi, c’è capitato per caso.

Sicuramente non ne sapeva nulla di motorini che scorrazzano, lui ci è andato perché i suoi teneri e candidi amichetti l’hanno invitato per giocare a canasta e bersi un estratto di alga spirulina, nell’ameno panorama di un quartiere artigianale che il mare della Sardegna in confronto è una squallida spiaggetta inquinata.

Povera stella, quasi mi sono commosso anch’io a immaginare la scena del video, col candido agnellino in fuga dai bruti, del tutto inconsapevole del perché quei bruti fossero capitati a rompere le uova nel paniere a quel gruppetto di angioletti e mi vedevo la preoccupatissima genitrice correre, in preda ad una crisi mistica, ad accendere una candela per grazia ricevuta, perché il suo innocente pargoletto solo per miracolo, ma proprio solo per miracolo, si era salvato da chissà quale immane catastrofe.

Tornata dalla chiesa in pace con Dio, però, alla vista dell’indifeso bambinello, deve avere pensato che lo choc lo segnerà per tutta l’esistenza e chissà, anche oltre, e che è bene condividere con l’universo mondo che il cuore di mamma osa sfidare anche il ridicolo pur di proteggerlo.

Ecco che nasce la lettera ai giornali, ultima puntata, contemporanea del libro “Cuore”.

Fossi nel figlio chiederei al tribunale per i minori di essere affidato ad altra famiglia perché mi vergognerei ad uscire di casa dopo che la mamma mi ha esposto al pubblico ludibrio facendomi passare per … beh lascio a voi riempire i puntini di sospensione.

Nella civilissima Europa abbiamo una guerra in corso, lì ci sono ragazzi che all’età dello scatenato giocatore di burraco (ops forse era canasta) su due ruote imbracciano un fucile e vedono e compiono azioni da far tremare le vene e i polsi, e in questo sventurato paese che chiamiamo Italia stiamo a scrivere ai giornali che il figlio si è salvato per miracolo da un terribile incidente ed è tornato a casa tremante e piangente?

Il senso della misura e del ridicolo sono emigrati (se non morti).

Una considerazione generale, che prescinde dal caso specifico: a forza di considerare l’essere umano come incompetente (non è colpa sua, è l’ambiente, è la società, la burocrazia …) si crea un corto circuito con profezia che si autoavvera: se sono incapace (o irresponsabile) sarà sempre colpa di qualcun altro e ci sarà sempre un motivo di recriminazione e pretesa perché ogni ente deve riempire il buco dell’incompetenza, buco nero, da colmare ma, per definizione, incolmabile. Ne sono un esempio giudiziario le numerosissime sentenze di molti giudici di pace, ma di questo ci saranno altre occasioni per parlarne.

Parma, 4 maggio 2022 memoria dei santi Giovanni Houghton, Roberto Lawrence, Agostino Webster e Riccardo Reynolds Sacerdoti e martiri

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