Il concerto

Dopo circa 8 anni che non mettevo piede in una sala cinematografica, venerdì scorso, 19 marzo, sono andato, accogliendo l’invito di Don Piero (che sempre mi è stimolo ad iniziative che da solo non prenderei se non molto raramente) ed in sua compagnia, a vedere la pellicola intitolata “Il concerto”. Ne sono uscito soddisfatto, emotivamente soddisfatto, tuttavia riflettendoci trovavo sempre meno motivi per esserlo così che mi sono chiesto cosa, davvero mi fosse piaciuto di questo film. Due cose, in particolare: la protagonista, Mélanie Laurent, la giovane violinista, è meravigliosa, stupenda, bellissima, fantastica; chi conosce la mia sobrietà quanto ai giudizi sulla bellezza femminile, credo resterà stupito, in ogni caso mi sento di elargire tanti complimenti perchè ha un viso espressivo, intenso che mi ha colmato di allegrezza al vederla.

Il secondo motivo di gradimento l’ho trovato nel pensiero del direttore d’orchestra ridotto a  uomo delle pulizie, che approffitta dell’assenza del cerbero comunista, per impossessarsi di un fax e prendere una certa iniziativa che poi si svilupperà lungo tutta l’opera. Il direttore d’orchestra avrà successo … questo mi ha fatto pensare al personaggio di Aragorn (“Il signore degli anelli”) che, dopo anni passati come ramingo, diventa, infine, sire di Gondor.

Questo è un tema che, da tempo, mi gira per la testa e, fino ad ora, senza che ne comprendessi il valore; oggi credo di averne chiarito almeno una parte; il passaggio, per me ossessionante, da persona sconosciuta, ignorata, insignificante, a sovrano rappresenta il pensiero (il mio innanzitutto), pensiero maltrattato e dregradato, svilito e non difeso.

Così, credo, di poter considerare il mio pensiero, appunto, che non ho saputo difendere correttamente, lottando contro tutti con l’ironia e, più spesso, il sarcasmo, come forma di difesa dagli attacchi (difesa preventiva ed eccessiva: si potrebbe definire un eccesso di legittima difesa preventiva che, perciò stesso, diventa illegittima, cioè auto ed etero dannosa). Un pensiero che, ridotto in qualche maniera ad essere impotente, ha reagito buttandosi nell’eccesso, diventando anche prepotente (la prepotenza dell’eccesso di difesa) tanto che è ben nota la mia fama di persona puntigliosa che corregge ogni minimo errore e che cerca di dire sempre l’ultima parola, quella definitiva.

Come se l’avere ragione fosse un obbligo, una forma patologica, perchè coatta, di difesa del pensiero da ogni avversario.

Ed ecco che Aragorn diventa sovrano, cioè manifesta a tutti che aveva ragione lui, rende pubblico quello che era stato ignorato e svilito.

Ho individuato alcuni errori: l’idea di sovrano come qualcuno che detenga un potere (di rendere efficace ciò che dice) ad esclusione di ogni altro; ho paragonato la mia idea di Aragorn a quanto Freud dice in “Totem e Tabù”: un padre che comanda, che detiene tutto il potere, invidiato dai figli che, alla fine, lo uccidono e si trovano nella situazione di dover stabilire chi sarà il nuovo capo (da invidiare), perchè nella mia idea c’è un solo sovrano per volta.

Ho smascherato, oggi, l’errore di considerare il pensiero come da difendere da eventuali nemici (con inevitabilità della guerra, il mio motto potrebbe essere la rielaborazione del più famoso “si pacem vis para bellum”, adattato in “si pacem vis vince omnia bella”) e da affermare contro tutti in una sorta di lotta per la sopravvivenza.

Credo che la strada per uscire da questo stato di guerra permanente possa essere quello di passare alla posizione di difesa di (al posto della sopra descritta difesa da) lasciando perdere l’idea di un solo sovrano (che non è, appunto, quel che comanda – contro tutti ed è invidiato perchè “invidiogeno”) per pensare a rapporti tra sovrani (cioè persone capaci di rendere efficace il loro pensiero).

Ho anche scoperto che la mia idea di verità è sempre stata, negli anni, un tentativo di adeguamento ad una ritenuta esistente Verità ed alla derivante dottrina teorica che ne consegue, salvo poi scoprirla inconsistente. Così negli anni ho cambiato varie posizioni culturali, sempre mantenendo vivo un senso di ricerca e di volontà di appartenenza inappagati; come diceva Battiato “cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente…”, insomma un lavoro inesauribile di adeguamento al superio di tuno.

La verità non è teoretica, filosofica, politica o teologica, essa è imputativa il che significa che non ci sono guerre da fare per sostenerla e che non è esclusiva (cioè appartenente ad un qualche sedicente detentore che possa stabilirne un’ortodossia alla quale adeguarsi – la vecchia gnosi), cioè alla portata di tutti e può assumere diversi aspetti che tra loro possono convivere pacificamente.

Questi mattoni mi sono in buona parte forniti, pur non conoscendomi, dal Dottor Giacomo Contri, al quale manifesto la mia riconoscenza per il blog al quale spesso e volentieri vado ad attingere.

Da anni, pur non comprendendo sempre  tutto quel che dice ho iniziato ad utilizzare i materiali che offre a chunque voglia approfittarne ed ho anche smesso di considerarlo un genio (tentazione molto comune di fronte a personaggi di rilievo) per passare a considerarlo una miniera o un deposito, cioè un’occasione per prendermi quel che, a seconda dei momenti, mi è utile per riutilizzarlo a mia volta.

A lui come, al carissimo Gabriele Trivelloni, la mia riconoscenza, il che a dire che riconosco in loro (come in Don Piero) degli avvocati, difensori del mio pensiero nel suo divenire di nuovo legittimo.

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