Pasquetta alla fondazione Magnani Rocca

Della Fondazione Magnani Rocca ho già parlato in altre occasioni, tessendo meritati e sperticati elogi a Luigi Magnani, il suo creatore.
Tornare alla Magnani Rocca è sempre un piacere perché trovo straordinario questo gioiello incastonato nel nulla della campagna parmense, fatta di prati coltivati ad erba medica (per le mucche da latte e quindi per il parmigiano reggiano),a frumento o a pomodori (siamo nel regno della Mutti, famosissima eccellenza parmense nel campo dei prodotti a base di pomodoro).
Ci sono tornato per visitare una mostra dedicata a Lucio Fontana, una di quelle esposizioni temporanee che puntualmente mi richiamano a Mamiano di Traversetolo.


Conoscevo già alcune opere di Lucio Fontana, famoso presso il grande pubblico degli indotti al quale appartengo, per i tagli (ricordavo con minor vividezza i buchi) ed ero curioso di capirne qualcosa di più.
Premetto che la mostra è piacevole, godibile e va visitata ma la sensazione che ne ho ricavato è, mio malgrado, la solita poca simpatia per l’arte contemporanea che mi sembra sempre il frutto dell’alleanza tra un mercato dell’arte che ha sempre necessità di fare business ed uno stuolo di critici ed artisti che nascondono dietro l’intellettualismo militante contenuti spesso molto labili.

Autoritratto – Lucio Fontana – Fondazione Magnani Rocca

Non so se Lucio Fontana appartenga a questa schiera, quel che ho letto di lui ne fa un artista fondamentale del XX secolo, un innovatore che “rompe” con l’arte tradizionalmente intesa per aprire alla nuova dimensione della quarta dimensione: l’arte è immortale ma non eterna, quel che è eterno è il gesto artistico come proclama il nostro artista assieme a Beniamino Joppolo, Giorgio Kaisserlian, Milena Milani nel primo manifesto spazialista del maggio 1947:

L’arte è eterna, ma non può essere immortale. È eterna in quanto un suo gesto, come qualunque altro gesto compiuto, non può non continuare a permanere nello spirito dell’uomo come razza perpetuata. Così paganesimo, cristianesimo, e tutto quanto è stato dello spirito, sono gesti compiuti ed eterni che permangono e permarranno sempre nello spirito dell’uomo. Ma l’essere eterna non significa per nulla che sia immortale. Potrà vivere un anno o millenni, ma l’ora verrà sempre, della sua distruzione materiale. Rimarrà eterna come gesto, ma morrà come materia. Ora noi siamo arrivati alla conclusione che sino ad oggi gli artisti, coscienti o incoscienti, hanno sempre confusi i termini di eternità e di immortalità, cercando di conseguenza per ogni arte la materia più adatta a farla più lungamente perdurare, sono cioè rimasti vittime coscienti o incoscienti della materia, hanno fatto decadere il gesto puro eterno in quello duraturo nella speranza impossibile della immortalità. Noi pensiamo di svincolare l’arte della materia, di svincolare il senso dell’eterno dalla preoccupazione dell’immortale. E non ci interessa che un  gesto, compiuto, viva un attimo o un millennio, perché siamo veramente convinti che, compiutolo, esso è eterno.

Oggi lo spirito umano tende, in una realtà trascendente, a trascendere il particolare per arrivare all’Unito, all’Universale attraverso un atto dello spirito svincolato da ogni materia. Ci rifiutiamo di pensare che scienza ed arte siano due fatti distinti, che cioè i gesti compiuti da una delle due attività possano non appartenere anche all’altra. Gli artisti anticipano gesti scientifici, i gesti scientifici provocano sempre gesti artistici. Né radio né televisione possono essere scaturiti dallo spirito dell’uomo senza un’urgenza che dalla scienza va all’arte. È impossibile che l’uomo dalla tela, dal bronzo, dal gesso, dalla plastilina non passi alla pura immagine aerea, universale, sospesa, come fu impossibile che dalla grafite non passasse alla tela, al bronzo, al gesso, alla plastilina, senza per nulla negare la validità eterna delle immagini create attraverso grafite, bronzo, tela, gesso, plastilina. Non sarà possibile adattare a queste nuove esigenze immagini già ferme nelle esigenze del passato.

Siamo convinti che, dopo questo fatto, nulla verrà distrutto del passato, né mezzi né fini, siamo convinti che si continuerà a dipingere e a scolpire anche attraverso le materie del passato, ma siamo altrettanto convinti che queste materie, dopo questo fatto, saranno affrontate e guardate con altre mani e altri occhi e saranno pervase di sensibilità più affinata”.

Guardando alle opere di Lucio Fontana, alla luce del Manifesto dello spazialismo, mi viene da pensare che quei tagli, quei buchi, aprano ad un al di là che può essere un puro nulla o, invece, l‘ipotesi di un nuovo lavoro, diverso dai vincoli e limiti “ricevuti” in eredità dalla cultura.

Di fronte ai tagli o ai buchi si percepisce che non sono frutto di banale improvvisazione, ma atti di pensiero, di un pensiero smarrito in cerca di soluzione.

Un amico mi ha segnalato la possibile corrispondenza tra i tagli di Lucio Fontana ed il lavoro di analisi: la tela come un già dato, un’eredità indiscutibile cui adeguarsi (col lavoro nevrotico del patirne i vincoli ma ricavandone un guadagno per quanto “limitato” e compromissorio) e, l’alternativa, ovvero l’apertura della superficie, come possibilità di uscita, di lavoro nuovo che sfugge alle maglie della totalizzante censura.

L’analisi, in effetti, approfitta degli squarci del plumbeo cielo della nevrosi.

Debbo dire che questa indicazione dell’amico Gabriele Trivelloni mi è stata di aiuto perché la prima impressione che ne avevo ricevuto era tendente al solito mio pensare, vagamente melanconico: la mia idea rimandava al nulla oltre le tela o al pensiero triste della porta socchiusa delle tombe, bellissime, di

Antonio Canova.

Autoritratto – Lucio Fontana – Fondazione Magnani Rocca

Ho molto rivalutato Lucio Fontana.

Ma la Fondazione Magnani Rocca non è solo questa mostra temporanea e nemmeno quella, carina, di foto che ricordano Pier Paolo Pasolini; le opere che custodisce sono tante ed alcune davvero fantastiche.

Taccio poi dell’oggettistica, tutti quei vasi e arredi, a partire dall’enorme coppa in malachite di Pierre-Philippe Thomire che accoglie sontuosamente i visitatori all’ingresso (assieme al personale, sempre estremamente cortese e disponibile), in stile impero, ovviamente anti sobrietà assoluta, come piace a me.

All’ingresso c’è anche una bella statua “La ninfa del deserto” opera di Lorenzo Bartolini, uno scultore che mi ricordava qualcosa che non riuscivo a mettere a fuoco quando mi si èaccesa improvvisamente la connessione: è opera sua anche un famoso ed importante monumento sepolcrale della Certosa di Bologna, che lo vide contrapposto a Felice Baciocchi, marito della Granduchessa di Toscana Elisa Bonaparte. Bravo il Bartolini, anche in questa Ninfa, sebbene trovi il soggetto un po’ debole, insomma una scusa per ritrarre una gentile donzella in abiti men che succinti.

La ninfa del deserto – Lorenzo Bartolini _ Fondazione Magnani Rocca

Tra i capolavori che amo sempre rivedere ci sono l’immancabile san Sebastiano di Lorenzo Costa, un pittore di origini ferraresi, vissuto a cavallo tra Quattro e Cinquecento ed uno splendido san Pietro martire, figura cui sono particolarmente legato per i ricordi universitari che mi evoca, quando portai come corso monografico, all’esame di storia medioevale col professor Ovidio Capitani, proprio degli studi sull’eresia (sostenni anche un ulteriore esame, sulle eresie medioevali, un tema che mi ha sempre appassionato).

San Pietro martire, le cui spoglie sono custodite a Milano nella cappella Portinari, all’interno della basilica di sant’Eustorgio, in un’arca stupenda, opera di Giovanni di Balduccio, nella fondazione Magnani Rocca è rappresentato da Domenico Ghirlandaio all’interno di una nicchia, quasi fosse una statua, con uno sguardo assorto ed intenso che esprime profondità d’animo e confidenza nel Signore di cui era fiero difensore.

C’è ancora moltissimo altro da vedere nella fondazione Magnani Rocca ma magari ne parlo in occasione della prossima visita che, ne sono sicuro, non mancherà.

Il consiglio è di andare a visitarla: oltre a passare uno splendido pomeriggio potreste approfittare del ristorante e del parco e trascorrere un’intera giornata immersi nella bellezza, esperienza che ritempra il cuore.

Mamiano di Traversetolo, 18 aprile 2022 lunedì in albis

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