Al funerale di Attilio

Mi avrebbe fatto piacere presenziare alle esequie dell’amico Attilio Sebastiani ma temevo di non riuscire a causa di un’udienza presso il tribunale di Modena.

Fortunatamente l’udienza si è tenuta in tempo per permettermi di fare un salto in comando a Modena, salutare alcuni amici e amiche e poi, con l’ottimo Matteo Bardelli, verso Rimini.

Siamo arrivati alle 14.58, abbiamo trovato un parcheggio assolutamente clamoroso, visto che la zona era piena d’auto e siamo arrivati giusto al momento d’inizio della cerimonia.

La santa Messa è stata sobriamente celebrata, con un’omelia non troppo banale come si rischia in questi casi.

Non ho pensato a nulla durante la Messa, i pensieri cercavano di scivolarsene altrove.

Su un pensiero mi sono soffermato, stimolato anche dalla parole del celebrante: come ricordare, mantenendolo in vita, Attilio, ovvero quale eredità?

Questo è il punto cruciale: per ricordarlo veramente, per onorarne la memoria e prepararci per rivederlo quando sarà il momento, cosa dobbiamo fare? 

In realtà questa è una falsa domanda, perché mostra una sorta di smarrimento del pensiero che è comprensibile e scusabile in momenti come questi, ma che non può durare troppo nel tempo.

Non intendo parlare di compiti ma riprendere, ancora una volta il concetto dell’abito nuziale di cui ho già parlato; ma questo abito nuziale che servirà per la festa di matrimonio del figlio del re, non è qualcosa di misticamente rimandato in un futuro che chissà se e quando verrà.

No, è un compito dell’oggi, di ogni momento di ogni giornata.

Per onorare la memoria di Attilio dobbiamo, qui e ora, farci belli noi, io per primo e farci belli non è questione estetica ma economica: significa lavoro per rendere più bella la vita, cioè l’intero universo, più vivibile, più fonte di occasioni per ciascuno di noi.

Riflessione che rivolgo per primo a me stesso.

Uscito sul sagrato ho incontrato, con piacere, alcuni vecchi colleghi e amici; primo sempre tra tutti, Umberto Farina poi Fausto Stella,  William Presepi sempre in forma smagliante ed invidiabile, Stefano Muratori (detto Muratorello), Letizia Ferri  e vari altri.

Ho visto anche varie persone che avrei evitato volentieri e questo mi ha fatto riflettere; in quella piazza, con ancora il feretro presente, sentivo voci, chiacchiere malevole e mi tornava in mente quanto diceva il Sovrano Pontefice felicemente regnante: “Le chiacchiere sono quello che più distrugge la fraternità sacerdotale. Il chiacchiericcio è un atto terroristico. Con le chiacchiere butti una bomba, distruggi l’altro, e te ne vai. Sarebbe bello mettere un cartello: ‘Niente chiacchiere’.”

Mi tornava alla memoria anche il famosissimo «Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno».

Parlare è un atto con enorme valenza giuridica (ed economica) tanto che attraverso la parola è possibile riorientare quei moti del corpo che avevano preso una brutta piega, cioè è possibile un lavoro di correzione del pensiero.

Ma come ogni caratteristica umana la parola può essere utilizzata per altri scopi, uno tra questi me la fa ricollegare al barocco: come il barocco soffriva l’horror vacui così il pensiero; gli artisti barocchi riempiono un vuoto, cercando di celarlo con volute e arzigogoli, ogni uomo in modo analogo può, con le parole, riempire un vuoto di pensiero (che è un impossibile): quelle parole sono un discorso, cioè una menzogna.

Ancora: la parola aiuta a capire chi è amico o nemico, il famoso scibboleth permette di individuare gli efraimiti, i nemici di Galaad.

Ma il chiacchiericcio cui si riferisce il Sovrano Pontefice felicemente regnante non è uno scibboleth; esso ricade nel barocchismo, colma un vuoto, nascondendolo, è una forma di chiusura, una istituzione da e del pollaio.

Il chiacchiericcio vive di invidia ed è seminatore di zizzania.

A questo pensavo, applicandolo a me, e mi dicevo che questo sarebbe un bel modo per onorare la memoria di Attilio: porre attenzione a quel che dico.

Ricordando e facendo mio, almeno in parte, quel suo modo di fare e parlare che sapeva aprirsi a chiunque incontrasse.

Con possibili benefici effetti sull’intero universo.

Parma, 25 ottobre 2017 memoria dei Santi Crispino e Crispiniano di Soissons  Martiri

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