La fattoria degli animali

Appartengo ad un’associazione, non dirò di più, alla quale dedico quotidianamente o quasi una buona parte del mio tempo: ieri IL CAPO mi ha comunicato, come agli altri appartenenti, le Sue ultime Volontà ovvero che quel che sotto i suoi occhi di attento supervisore, organizzatore indefesso, coltissimo formatore è sempre stato fatto in questi ultimi anni, a partire dal giorno prima (evabbè anche i migliori capi a volte sono intempestivi) doveva essere documentato con apposito report.

Da due giorni, insomma, devo rendicontare tutto quel che faccio: dalle ore alle ore eccetera eccetera, senza utilizzare descrizioni generiche ma precisando l’attività svolta ed i risultati conseguiti; a fine del servizio devo consegnarlo perchè l’Illustrissimo – sempre ci venga conservato – sappia quel che i suoi scherani hanno prodotto per il Bene dell’Associazione; non contento di ciò, il Nostro ha anche precisato che l’indispensabile report venga compilato pure in caso di assenza per segnalare, alla fine dell’orario prestato, che uno se ne è stato a casa propria a farsi gli affaracci di interesse particolare.

A parte l’oggettiva difficoltà di andare a fine giornata a segnalare che si era assenti, ma il mio buon cuore di filantropo potrebbe anche sacrificarsi a questa richiesta che tanto allevierebbe il gravoso impegno del Nostro, mi è venuto il dubbio che lo spirito di cotanta innovazione volesse portare ad altro. Mi sono riguardato “La fattoria degli animali” ed ho subito capito il motivo della geniale innovazione: è tutta questione di mele e latte.

Eh già, latte e mele, non latte e miele come nella terra promessa, cioè non offerta di un lavoro libero e produttivo (il lavoro libero dell’uomo che trasforma le pietre in latte e miele, cioè imprenditore), quindi partnership ma divisione di latte e mele da riservare al nutirmento dei porci come spiega il buon Clarinetto nella storia: “Compagni, gridò, non immaginerete, spero, che noi maiali facciamo questo per spirito d’egoismo o di privilegio. A molti di noi realmente ripugnano il latte e le mele. Anche a me non piacciono. Il solo scopo nel prendere queste cose è di conservare la nostra salute. Il latte e le mele contengono sostanze assolutamente necessarie al benessere del maiale. Noi maiali siamo lavoratori del pensiero. Tutto l’andamento e l’organizzazione di questa fattoria dipendono da noi. Giorno e notte noi vegliamo al vostro benessere. È per il vostro bene che noi beviamo quel latte e mangiamo quelle mele.”

Vari responsabili intermedi si pongono e propongono come Emmanuele (Dio con noi), lottando, peraltro, tra loro, con le schiere dei devoti equamente divisi sui vari fronti, contendedosi brandelli di pseudo potere a morsi, disposti a vendere la pelle dei più cari congiunti pur di sfoggiare un lustrino in più, capacissimi di accoltellare un qualunque suddito o collega per una paillette da esibire nella prima sfilata di gala.

La critica di un potere imbelle, prepotente perchè impotente (è una delle scoperte che più apprezzo, la prepotenza che maschera l’impotenza) rischia di fissarmi al discorso del capo.

Oltre l’ironia, funzionale, temo, al permanere nello stagno patologico mi si propone una questione: in che termini è vero che “omnis potestas a Deo”?

In Amleto l’usurpatore uccide il fratello, in Macbeth viene ucciso il re legittimo, in Re Lear la figlia uccide il padre: ho ripetuto ogni volta il verbo uccidere per sottolineare che per raggiungere (e difendere) il Potere pare essere indispensabile uccidere il potere, l’atto di inziativa libera di approfittare di un lavoro altrui per una reciproca soddisfazione.

Ecco, alla fine, mi torna alla mente la parabola dei talenti che rappresenta bene l’alternativa: in essa il Signore affida denaro a vari suoi collaboratori i quali, liberamente (senza dover obbedire ad ordini, ordini di servizio…) decideranno come e dove investirli. Il frutto dell’investimento  non è tanto il guadagno monetario (il capitale raddoppiato) ma l’associazione al governo delle città.

Si potrebbe anche dire che non vi è azione che non sia governo di una città, ogni azione, quelle ritenute più intime, come si dice, come quelle più “agite” sono sempre costituzione di una città cioè di un ordinamento giuridico valevole per tutti, per il bene o per il male: per ora faccio, spesso, esperienza di istituzioni basate sul furto, sull’invidia, sul sopruso (l’idea di arricchimento via appropriazione del lavoro altrui con altrui impoverimento), tuttavia il riuscire a giudicarle come tali credo, sia per me oggi, un buon risultato.

Una collega, ieri, mi diceva che se uno viene avvelenato, ovviamente riceve un danno, ma a ben pensarci il veleno funziona solo nella misura in cui non è riconosciuto come tale, il dono del cavallo dei famosi troiani;saper dare i nomi alle cose è questo: nominare le azioni per i loro effetti.

La fattoria, il gruppo, il maso sono la rappresentazione geografica e sociologica di una chiusura: dal potere al Potere, esercizio disperato di lotta contro tutti gli altri per escluderli, miseria per tutti.

Il CAPO è nudo.

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