Ammazzatragedie

Capita di vivere alcuni avvenimenti come delle tragedie, con corollario di angoscia in massicce dosi.

Ne sono un esperto così come un estimatore.

Quando si entra nel clima di tragedia diventa difficile uscirne perchè tutto viene costruito “logicamente” all’interno del sistema, che tuttavia ha una base logica errata, un circolo vizioso insomma.

Nel caso che mi interessa, invece, si tratta di drammatizzazione, cioè di esasperazione come se ogni singolo episodio, magari banale, diventasse una disputa tra Bene e Male, tra vita e morte, il che comporta, tra i vari corollari, un dispendio di energie psichiche spaventoso.

Di fronte, ad esempio, ad una telefonata, arrivata verso le 11.30 del 13 giugno (memoria di sant’Antonio di Padova) che smentiva il contenuto di analoga chiamata delle 8.30, il destinatario reagiva pensando a due autori, tra loro abissalmente distanti ma uniti da un tratto comune: il senso di catastrofe o comunque di tragedia.

Il primo è il Giuseppe Verdi del Rigoletto; il gobbo, scoperta la vergogna della figlia, amaramente commenta:

“Compiuto pur quanto a fare mi resta… lasciare potremo quest’aura funesta. … (E tutto un sol giorno cangiare poté!)”, insomma tutto è perduto per l’onore della figlia e per la vita di lui stesso ed infatti sappiamo come andrà a finire.

La seconda citazione (peraltro da me molto amata) richiama T.S. Eliot di “Assassinio nella cattedrale” (e sono due a dire il vero), la prima di un sacerdote che così commenta la politica:

“Non vedo proprio nulla di conclusivo

nell’arte del governo temporale,

Se non violenza, duplicità e frequente malversazione.

Comanda il  Re  o comandano i baroni :

II forte con la forza e il debole col capriccio.

Essi hanno una sola legge afferrare il potere e tenerlo,

Il forte può manovrare la cupidigia e la voglia degli altri,

Il debole è divorato dalle proprie.”

La seconda è direttamente dell’arcivescovo martire:

“Fare, poi spezzare, questo pensiero è; già venuto prima,

Disperato esercizio d’un potere che vien meno.

Sansone in Gaza non fece di più.”

Tanto drammatiche citazioni avevano a che fare con alcuni politicucci il cui comportamento è tale da far impallidire i famosissimi capponi di Renzo:

“Lascio pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe a capo all’in giù, nella mano di un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. (…) e dava loro di fiere scosse, e faceva sbalzare quelle teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.”

La drammatizzazione ha un secondo corollario: trasformando in palcoscenico mondiale l’evento lo rende farsesco, ridicolo tanto da farmi pensare a questa scena:

in teatro, si recita Amleto e mentre questo amatissimo e disgraziatissimo giovane uomo sta  morendo mi ci vedo entrare in scena, vestito da scolaretto con tanto di fiocco azzurro al collo, pronunciare, con fare scanzonato: “and the winner is … il principe Fortebraccio di Norvegia!!!”.

C’è stato che chi ha detto, un po’ oscuramente: “Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.

La farsa è un’occasione, quindi, per tornare a guardare le cose nelle loro dimensioni.

Tuttavia non è l’ironia la strada … o almeno non è sufficiente.

Freud ha proposto un lavoro, di pensiero, che può fungere da ammazzatragedie.

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