San Lorenzo in Lucina, Santa Pudenziana, Santa Maria in Aracoeli

Tra le tante chiese di Roma sono ormai poche quelle che almeno una volta non ho già visitato: la Basilica di Santa Pudenziana è una di queste.

Volevo assolutamente visitarla e così ogni mattina ho reiterato il tentativo, riuscito soltanto il 16 al pomeriggio, ma i tentativi hanno avuto l’effetto collaterale di farmi fare colazione nel medesimo posto per due giorni consecutivi, quello stesso bar dove avevo fatto la pessima figura di cui ho parlato in precedenza.

Al bancone c’era lo stesso barista romano de Roma, al quale ho rivolto la medesima richiesta del giorno prima: stavolta ci siamo capiti subito ma, alla mia domanda di avere un cappuccino, l’uomo è scomparso per qualche istante facendomi temere di essere stato protagonista di qualche altra inconsapevole gaffe.

Tornato col cappuccino, mi ha piacevolmente stupito con un cappuccino con uno splendido sorriso beneaugurale, un gesto di squisita cortesia che ho apprezzato tantissimo.

Ad ogni modo la basilica, al mattino, era chiusa tanto da farmi quasi rassegnare.

L’ho trovata aperta di pomeriggio, l’ultimo giorno di permanenza, poco prima di ripartire.

La basilica è molto in basso rispetto al piano stradale ed un po’ sacrificata per questo motivo.

La sua storia è molto interessante: sebbene non vi siano certezze assolute, sembra essere stata edificata sulla domus del senatore Pudente; questi avrebbe ospitato per svariati anni l’apostolo Pietro dal quale sarebbe stato convertito assieme alle figlie Pudenziana e Prassede; queste ultime, sepolte nelle catacombe di Priscilla ed entrambe titolari di splendide chiese, con mosaici, in quel di Roma.

Comunque sia, la basilica è una delle più antiche di Roma ed ha degli splendidi (e poco illuminati ed ancor meno valorizzati) mosaici, risalenti ai primi due decenni del V secolo: questi ultimi davvero i più antichi per una chiesa poiché gli unici più antichi, quelli del Mausoleo di Santa Costanza (figlia di Costantino), risalenti al all’anno 360, sono stati creati per un mausoleo e non per una chiesa.

La chiesa è stata molto rimaneggiata con perdita di una parte dei mosaici e precisamente due apostoli, ne restano, infatti, soltanto 10.

Veniamo dunque al mosaico: troneggia al centro dell’abside il Cristo Pantocrator, seduto su un trono che potrebbe essere quello imperiale.

Sul libro che regge c’è la scritta: “Dominus Servator Ecclesiae Pudentianae“, poiché la chiesa era sopravvissuta alle distruzioni dell’invasione dei Visigoti di Alarico, nel 410, evento traumatico per la Città Eterna.

Ai lati gli apostoli vestiti come senatori romani, Pietro e Paolo sono incoronati da due figure femminili che sono state variamente interpretate come le due sante sorelle Pudenziana e Prassede, oppure, forse con maggior rispetto per la teologia, “la chiesa dei giudei” e “la chiesa dei Gentili”, i due frutti della predicazione dei principi degli apostoli: anche queste due figure sono “ricalcate” sull’iconografia romana, come due “Vittorie” (Nike) che incoronano i generali vittoriosi.

Periodo storicamente molto difficile, quello, per Roma e la Chiesa, quest’ultima, tuttavia, aveva celebrato da poco due importanti concili (Nicea e Costantinopoli) in cui aveva sistemato un po’ di questioni cristologiche.

Tornando al mosaico, oltre agli apostoli ci sono i simboli dei quattro Viventi dell’Apocalisse (che richiamano a loro volta il tetramorfo di Ezechiele), poi una Croce d’oro, sullo sfondo, sopra un colle, il Calvario probabilmente, ed una città che potrebbe indicare sia la Gerusalemme ricostruita da Costantino sia la Gerusalemme celeste.

I molti riferimenti all’Apocalisse si spiegano col fatto che i mosaici furono commissionati dallo stesso Pontefice che prese decisioni in merito ai libri da considerarsi canonici tra i quali inserì l’Apocalisse, Papa Innocenzo I.

Avrete capito che è un mosaico da andare a visitare.

Il resto della chiesa è molto buio per cui non si riesce a goderne come si dovrebbe, peccato.

Da notare che in questa chiesa è sepolto il cardinale Lucien-Louis-Joseph-Napoléon Bonaparte, nipote di Luciano Bonaparte, fratello del più noto arcidelinquente Napoleone (con questa abbondanza di Luciano non potevo esimermi dal citarlo).

Si trova anche il monumento funebre di un altro cardinale, Wladimiro Czacki, polacco, morto prematuramente.

Un’altra chiesa assolutamente da non perdere è la Basilica di San Lorenzo in Lucina.

Lucina potrebbe essere il nome della matrona proprietaria della casa divenuta poi “Ecclesia domestica” col titolo della donna ma potrebbe anche derivare da una fonte dedicata a Giunone Lucina, protettrice delle partorienti, fonte presso la quale le donne romane andavano ad implorare il dono della fertilità.

La chiesa è stata, come tante, pesantemente rimaneggiata ma ci sono un paio di capolavori da non trascurare.

La cappella Fonseca, dove fa bella mostra di sè un’opera del mio amatissimo Gian Lorenzo Bernini, il ritratto del portoghese Gabriele Fonseca, archiatra di Papa Innocenzo X, cioè medico del Pontefice.

Altra opera bellissima è la Crocefissione di Guido Reni, lasciata in eredità dalla marchesa Cristina Duglioli Angelelli, bolognese come il Reni, vedova del senatore Andrea Angelelli, assassinato nel 1643.

Famiglia interessante questa degli Angelelli poiché uno degli antenati di questo sfortunato senatore, tal Alberto, comandante delle armate di Carlo V in Italia, ritirandosi dalla guerra di Parma, fece la guardia di Colorno: correva l’anno 1551 per cui quest’anno ricorre il 470 anniversario (fortunatamente senza coinvolgimento di Federico di Svezia, peraltro si avvicina il 773mo anniversario di quella battaglia).

L’opera di Guido Reni oltre che splendida è curiosa perché Cristo, seppure in croce, non è sofferente, non ha lo squarcio al costato ed il volto diretto verso l’alto, quasi a colloquio col Padre.

Da notare il monumento funebre del cardinale Gabriele della Genga Sermattei.

Ultima, ma non ultima, la basilica di Santa Maria in Aracoeli: l’ho vista di sera, fino alla chiusura, poi ci sono ripassato di giorno perché è un altro dei luoghi magici di Roma.

Sorge sulla Arx, la sommità settentrionale del colle del Campidoglio, dove sorgeva un tempo il tempio dedicato a Giunone Moneta (Giunone che ammonisce) e qui occorre una piccola digressione perché da questa divinità (secondo una ipotesi) deriverebbe proprio il termine moneta come lo intendiamo noi.

Nei pressi del tempio di Giunone Moneta, infatti, sorse la zecca di Roma che prese il nome dal tempio e così il denaro prese nome dall’appellativo della dea.

Quanto a questo appellativo di Moneta, (dal latino moneo: ammonire, avvisare) pare risalga al tempo delle guerre contro i Galli guidati da Brenno (che espugnò la città nel 390 a.C.) quando, durante uno degli assedi al Campidoglio, le oche sacre a Giunone, unici animali sopravvissuti alla fame degli assediati per via della loro sacralità, si conquistarono fama immortale (anche se temo finirono poi arrostite dagli invasori) svegliando i romani ed impedendo la presa del colle (che sarebbe comunque in seguito caduto).

Sul recinto delle oche sarebbe stato poi edificato il tempio di Giunone che avvisa o ammonisce e via dicendo.

Il nome della basilica, che sarebbe stata edificata forse da san Gregorio Magno, dovrebbe derivare dalla volgarizzazione del termine ARX in arce, poi arceli, trasformata successivamente in aracoeli da eruditi che pensarono bene (secondo un uso romano consolidato) di “nobilitare” l’origine del luogo, creando la leggenda secondo la quale una donna con bambino in braccio sarebbe apparsa ad Augusto e gli avrebbe rivolto la frase: “Haec est ara Filii Dei” o varianti similari.

Manco a dirlo , la donna in questione altri non era che Maria Santissima.

La chiesa ha avuto una storia decisamente travagliata visto che è situata in quello che divenne nei secoli il cuore civile di Roma; ne è una testimonianza la figura di Cola di Rienzo che arringò il popolo proprio nei pressi della chiesa e lì venne anche linciato (sulla scalinata da lui inaugurata, secondo la tradizione).

Tra le altre vicissitudini la trasformazione in stalla ad opera dei francesi (sigh) nel 1797 e l’utilizzo del convento come sede del comando della Polizia Locale (doppio sigh).

Splendido, amo molto questo genere, il pavimento cosmatesco nel quale sono state inserite, altra cosa che mi piace tantissimo delle lastre tombali del XIII secolo, un effetto che davvero mi affascina ogni volta.

Nella basilica ci sono sepolture di personaggi famosi, tra i quali il cardinale Matteo d’Acquasparta, di cui parla male il buon Dante: costui, infatti, era sostenitore della linea antirigorista nel conflitto con gli spirituali, poiché ammetteva il possesso comune dei beni dei frati francescani, ordine cui apparteneva.

Amico di Bonifacio VIII, di lui Dante, come dicevo scrisse, confrontandolo ad Ubertino da Casale (esponente degli spirituali):  «ma non fia da Casal né d’Acquasparta,/ là onde vegnon tali alla scrittura,/ ch’ uno la fugge, e l’altro la coarta.»

Altri cardinali riposano nella chiesa ma quel che voglio evidenziare è il contenuto della cappella Bufalini o di San Bernardino (da Siena): oltre al bellissimo pavimento cosmatesco, vi si trovano gli affreschi di Pinturicchio.

Su tre pareti sono raccontate le Storie di San Bernardino, un’opera straordinaria, in particolare la Gloria di San Bernardino, nella parete centrale ed i funerali del santo nella parete di sinistra.

Un santo importante, il buon Bernardino da Siena, che molto ha inciso nella vita civile dei suoi tempi e non solo.

Da notare anche il soffitto realizzato nel 1571 per celebrare la vittoria contro i Turchi a Lepanto ed il trionfo del vice comandante della truppe cristiane, il romano de Roma Marcantonio Colonna.

Chiudo con una nota sul Gesù Bambino miracoloso: secondo i racconti, la statua del Bambino miracoloso era stata intagliata da un frate francescano in legno d’ulivo del Getsemani e battezzata nel Giordano.

Nel 1994 mani sacrileghe se la sono … asportata, insomma siamo messi così bene, in Italia, che ce rubiamo pure le statue del Bambinello.

Tante sono le opere custodite in questa basilica, una più bella dell’altra ma è ora di lasciarci, in attesa di un prossimo resoconto sulla Città Eterna.

 Roma 15 e 16 ottobre 2020

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