movida e religione

Ho letto stamattina della chiusura del Cocoricò, per 120 giorni; l’articolista citava anche la posizione di un onorevole in difesa del locale, Sergio Pizzolante, vicepresidente dei deputati del gruppo Area Popolare (Ncd-Udc), che avrebbe dichiarato: «Penso che la chiusura di un locale non serva per combattere il fenomeno della droga, ma sia soltanto un capro espiatorio».

Ha assolutamente ragione l’onorevole: la chiusura del locale non interromperà il consumo di droga che sarà probabilmente assunta in altri luoghi e circostanze e dunque perché mettere a rischio 250 posti di lavoro, un’attività fiorente e conosciuta nel mondo? Difficile uscire da questi paradossi.

Oso pensare che se l’onorevole andasse in incognito in una discoteca o in certi luoghi della movida, lui, esponente di un partito che si dice paladino dei valori della famiglia (su cui non mi soffermo ora) potrebbe farsi paladino di una profonda revisione di una normativa che non sembra in grado di porre argini allo sfrenato consumo di droghe di vario tipo ed alcol.

Mi chiedo se la movida stessa non sia una “sostanza” stupefacente, la più moderna tra le religioni laiche oggi di moda; credo che questo parallelo movida – religione sia da approfondire.

La cosa buffa della vicenda è che oggi si viene a sapere che la guardia di finanza sta indagando sugli ultimi 5 anni fiscali mentre il questore (che stavolta a quest’ora è in questura, contraddicendo il famoso scioglilingua) ne ordina la chiusura per  120 giorni; perché buffo?

Semplicemente perché il caso è esploso soltanto per via della cassa di risonanza mediatica dovuta alla morte di un ragazzo; come sempre accade, solo quando il sovrano viene sfiorato dal plebeo strepitare della folla (elettorale) si decide a far qualcosa (e di solito per il solo tempo strettamente necessario perché i giornali, non meno folla né tanto meno strepitanti, trovino altro su cui sfamare i famelici appetiti scandalistici).

Ricordo di alcuni miei capi e capetti letteralmente terrorizzati dall’idea di finire sui giornali perché poi i politici di riferimento… rimando, comunque a due ottimi articoli pubblicati dal Corriere di oggi in cui si parla di segnali trascurati da tempo e si racconta di una notte nel locale riccionese.

Sono anni che ho smesso di effettuare controlli sui locali della riviera (e non rimpiango quel periodo) e ne sono contentissimo perché il clima che si respirava era di lotta, guerra coi mulini a vento.

L’amico consigliere comunale a Rimini Stefano Brunori ha segnalato in ogni dove e non so nemmeno più quante volte il degrado di un centro città abbandonato alla movida, con quali risultati?

A Parma i problemi sono forse un po’ meno contenuti ma non credo diversi.

Dei locali dove i minorenni possono tranquillamente bere alcolici sa qualunque genitore di figli in età a rischio.

Quello che si sta sfaldando è il tessuto sociale, la civile, sottolineo civile, convivenza: tra ricorsi e controricorsi (ricordo che per un divieto di sosta si va in cassazione), tra avvocati in esagerato soprannumero sembra che comminare una sanzione non sia mai possibile, che mettere la parola fine ad un accertamento di responsabilità sia uno sforzo titanico.

Forse non sarebbe male ripensare a certe liberalizzazioni: l’apertura di certi locali ed i relativi orari possono avere impatti devastanti per la vita di chi si trova, senza colpa, all’improvviso, un bar sotto casa.

In questi giorni penso con una certa costanza, anche angosciosa, che mi mancano 135 giorni all’alba, ovvero al momento in cui potrò chiedere di terminare il mio attuale contratto di lavoro e trovarmi una (sognata) diversa collocazione professionale.

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