Il Galata Morente e il vino

Ho cambiato look, mi piace farlo, ogni tanto: passato da uno stile anni ’70, con quadrati colorati, ad uno stile più sobrio, che permette la lettura di buona parte di ciò che ho scritto.

Lo spunto mi è venuto da una malintesa affermazione dell’amico Gabriele, che criticava siti con coloracci; il riferimento non era alla mia precedente versione, ma tant’è, m’è venuta voglia di cambiare.

Ho scelto, almeno temporaneamente, un’immagine che caratterizza il sito: il Galata morente, custodito ai Musei Capitolini, a Roma.

Inutile invitare alla visita di questo museo, già giustamente famoso senza bisogno che io lo sponsorizzi: i capolavori che custodisce permettono di vivere un’esperienza fantastica, come anche tante altre possibili in questo martoriato paese (non solo Roma, ma anche Palermo, Firenze, Siena, Lucca, Perugia, Parma, Bologna, Caldarola, San Gemignano, San Galgano, Sant’Antimo, Monte Oliveto maggiore, Assisi… potrei continuare ancora per non so quanto).

Il Galata morente perchè? manco a dirlo per la sua bellezza mozzafiato, per la compostezza di un uomo sconfitto, che perde libertà e vita con una dignità commovente, per il pathos che suscita nell’essenzialità della scena.

Aggiungo che una tale opera non può che essere il frutto di un enorme lavoro di elaborazione e realizzazione, insomma frutto di una tecnica che ha saputo trasformare un masso indistinto di marmo (l’originale era in bronzo, ma ciò poco importa) in una straordinaria rappresentazione di un’esperienza tragica come la sconfitta e la morte.

Il dottor Giacomo Contri ha parlato spesso dell’acino d’uva e del vino.

Non c’è niente di più artificiale (cioè non naturale) del vino, così come per il Galata: in entrambi i casi siamo di fronte a frutti del pensiero.

L’ignoto inventore del vino non è stato meno artista dello scultore del Galata: per apprezzare vino e Galata serve gusto, cioè pensiero.

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