sogno ciellino

Nella notte tra il 16 e il 17 febbraio 2018, dopo una giornata di lavoro allucinante:

Mi trovo a salire un’ampia scalinata (che potrebbe essere quella che conduce alla basilica dei santi Pietro e Paolo all’Eur o forse, ancor meglio al Schloss Sanssouci, cioè al Castello di Sanssouci) in compagnia dell’amico e collega Adamo che mi dice qualcosa del tipo: “Teresa, quando ha le crisi, è insopportabile”, al che io ribatto: “è gelosissima?”, lui conferma (o precisa che è soffocante).

Ci troviamo quindi in un ampio piazzale, isolato e dove si trovano quasi affiancate due chiese (come in piazza sant’Ignazio a Roma, anche se lì non sono le chiese affiancate ma gli edifici, quasi a formare un fondale teatrale concavo).

Credo di voler visitare la prima sulla destra ma forse c’è qualche impedimento (deve terminare una funzione? che comunque non è celebrata in quella chiesa).

Sul piazzale pronuncio questa frase: “sono ciellini, li conosco (o li riconosco dai canti oppure dalla musica)”, mentre credo che i fedeli si accingano ad uscire, dalla celebrazione della Messa, nella seconda chiesa.

Infine penso di trovarmi dentro alla prima chiesa, dove osservo dei lacerti di affreschi medioevali.

Questo quanto ricordo, qualcosa so per certo che mi sfugge, ma pazienza.

Resta il fatto che stamattina, al risveglio, avevo in testa un canto, per le mi corde vocali inarrivabile, intitolato “Maria, umile creatura” le cui parole, lo ignoravo, sono di san Luigi Maria Grignion de Montfort.

La prima cosa che mi viene in mente sono le messe settimanali del martedì che frequentavo ai tempi dell’università, con gli amici (pochi purtroppo) di facoltà. Non rammento nemmeno quale fosse la chiesa, ho scoperto che è la chiesa di san Martino, quel che non dimentico è l’incubo, lo vivevo già allora come tale, della doppia predica, ovvero la consuetudine del sacerdote di raddoppiare la dose, a fine Messa: confesso sinceramente che le prediche sono una delle cose per me più insopportabili, salvo rarissime eccezioni, tanto che normalmente non le ascolto proprio; beccarmene due è una prova da far vacillare la fede.

Della piazza di sant’Ignazio, che non era nel sogno, ricordo la bellissima scenografia, teatrale come dicevo sopra, e dunque barocca, che lego sempre all’affermazione di Giacomo Contri,  “non è vero niente”.

Le chiese gemelle mi ricordano quelle romane di piazza del Popolo mentre gli affreschi mi fanno pensare alla cappella di san Silvestro che si trova presso la chiesa dei Santi Quattro Coronati, sempre a Roma ed anche quelli della basilica di san Clemente (chiesa romana nota perchè negli affreschi c’è pure una parolaccia “traite fili de puta”).

Roma sempre nel cuore, insomma.

Potrebbe dipendere dall’idea di Urbs, che è anche Orbis, dove si abita nella città che è anche l’intero universo.

Un pensiero ricorrente è l’opposizione tra civitas e pollaio, che ritrovo spesso e malvolentieri sia nel mio pensiero che nella società.

Nel mio pensiero ogniqualvolta esso vada in crisi, cioè abbia la tentazione di chiudersi ed infatti la chiusura è una delle cartine di tornasole che mi fanno accorgere dell’insorgere della difficoltà: la perdita di iniziativa, di idee, la chiusura ai rapporti sociali sono subito indizio che la civitas si sta riducendo a pollaio.

In questi giorni sperimento, al lavoro, la potenza, pre-potenza, im-potenza del pollaio: non c’è mai l’unico potere interessante, quello dell’Io posso, della facoltà.

Parma, 18 febbraio 2018 memoria del Beato Giovanni da Fiesole (detto Beato Angelico)

 

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