Antonello a Milano

Non intendevo perdermi la mostra che Milano ha dedicato ad Antonello da Messina ma gli impegni di vario tipo mi hanno reso impossibile arrivarci per tempo; unico giorno libero era sabato scorso, quando avevo già chiesto riposo per il consueto appuntamento milanese del simposio della Società amici del pensiero.

Ero rassegnato a trovare una fila interminabile e invece, nonostante il dispiacere di avere lasciato l’amico e sodale di viaggio Gabriele Trivelloni, in meno di mezz’ora ho avuto accesso ai locali della mostra.

L’aspettativa ha trovato adeguata conferma: la mostra era non solo meritevole di visita ma un’occasione davvero ghiotta per vedere opere che sono tutte dei capolavori: Antonello da Messina era davvero un grande.

Leggendo il catalogo sto scoprendo che sarebbe suo merito se la pittura ad olio è arrivata in Italia così come la sua sintesi tra capacità di rendere i volumi e le prospettive, tipica degli italiani, ed uso di luca e colore fiamminghi; che abbia introdotto la tecnica dell’olio è leggenda ma l’introduzione di luce e colori fiamminga è sicuramente un merito di Antonello.

Un buon esempio di eredità.

Il logo della mostra è dedicata all'”icona perfetta”, un’immagine della Vergine Annunciata, custodita (e lì l’avevo vista) a Palazzo Abatellis, a Palermo: opera straordinaria, che con sintesi ineguagliabile, rende il momento unico, eterno eppure attualissimo; la mano della Vergine e lo stesso suo sguardo sembrano invitare alla prudenza, come se dicesse: “bando agli entusiasmi, vediamo un po’ di che proposta si tratta e da chi proviene”, un caso riuscito di Donna, di Signora.

Quel che più mi ha colpito sono i volti, straordinariamente coinvolgenti, modernissimi, spesso connotati da un vago senso di ironia.

Tra le varie opere c’è il bellissimo San Girolamo nello studio; si tratta di un dipinto stranissimo poiché il santo è ritratto all’interno di uno studio che si trova a sua volta contenuto in un ambiente più grande, di architettura d’ispirazione gotica, con ampie vedute sull’esterno.

La scena prevede la presenza dell’animale di prammatica, il classico leone, ma ci sono anche un gatto e, in primo piano, una coturnice ed un pavone; altri uccelli indistinti volteggiano all’esterno; il santo è intento alla lettura, in un ambiente che è quasi teatrale: all’inizio delle scale che portano allo studio fanno bella mostra di sé un paio di scarpe mentre a mo’ di quinta c’è una scaffalatura su cui, in bel disordine, giacciono vari libri ed oggetti di uso quotidiano.

San Girolamo è rappresentato da Antonello in solitudine ma non ci sono scomode grotte o bui antri all’interno dei quali è spesso ritratto, tutto è bello, pulito ed accogliente: il santo è un eremita ma, nello stesso tempo, aperto all’arrivo di qualunque ospite si presenti.

Imperdibili i vari “Ecce Homo” E “Cristo alla colonna” che, secondo i dettami dell’allora in voga Devotio Moderna,rappresentano le scene con particolare attenzione all’empatia che le immagini devono suscitare; in molte di queste opere l’Uomo dei dolori è rappresentato con corda al collo, ad accentuare il senso di tristezza, sconfitta e dolore di chi offre la sua vita per uomini che sembrano non approfittare di tale salvifica offerta.

Straordinaria anche la Crocifissione, coi corpi dei condannati che si contorcono sugli alberi capitozzati.

C’è poi tutta la parte “laica” della produzione di Antonello: i volti maschili, una ritrattistica di bellezza stupefacente, espressa con una sobrietà che sottolinea il personaggio, ne esalta la modernissima psicologia, ce lo rende presente e, spesso, ironicamente atteggiato verso lo spettatore.

Conoscevo varie opere di Antonello ma mai avevo visto una mostra a lui dedicata e, devo dire, che l’esperienza è stata totalmente positiva.

Non meno interessante il “contorno” dei disegni di Giovanni Battista Cavalcaselle, un curioso personaggio, mazziniano e rivoluzionario (condannato a morte in contumacia dagli austriaci per i moti del 1848), difetti ben gravi, ma perdonabili vista l’opera benemerita svolta successivamente) che ha studiato, disegnato e attribuito varie opere al nostro Antonello.

Dopo avere goduto questa esposizione ho approfittato della mancanza di fila – inspiegabile – per visitare anche un altro dei miei obiettivi milanesi, la mostra dedicata ad un grandissimo della pittura ottocentesca: Jean-Auguste-Dominique Ingres, ma di lui parlerò a parte.

Terminata la visita anche di questa bella esposizione, rimanendomi un po’ di tempo, ho pensato di dedicarlo ad una curiosità e precisamente la scoperta di un curioso “oggetto” che fa bella mostra di sé in via Serbelloni 10 (il cognome mi ricorda la famosa contessa fantozziana Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, ma la via è dedicata a Gabrio Serbelloni, III duca di San Gabrio che ebbe ospiti, presso la sua residenza, personaggi del calibro di Carlo Goldoni, Pietro Verri e Giuseppe Parini).

Ma torniamo alla mia curiosità: in via Serbelloni 10 c’è il famoso (ne ignoravo l’esistenza fino a non molto tempo fa, scoperta dovuta all’amica Silvia Sangiorgi) citofono a forma di orecchio, tanto che l’abitazione ha presso il nome proprio da questo: Ca’ dell’ureggia (con le varianti ca’ de l’orègia, o ca’ dell’oreggia).

Opera di un grandissimo artista messo in disparte per, credo, le sue simpatie mussoliniane, Adolfo Wildt che io trovo davvero un maestro (visitai una mostra a Forlì che me lo fece conoscere ed apprezzare); di lui ho visto a Milano, l’edicola Korner, nel cimitero monumentale (altro luogo magico della città) e il monumento a Sant’Ambrogio che calpesta i sette vizi capitali, visitabile presso il Tempio della Vittoria – il Sacrario dei caduti milanesi – in Piazza Sant’Ambrogio a due passi dalla Basilica di Sant’Ambrogio.

Per arrivarci mi sono affidato al navigatore del cellulare che ha il pessimo difetto di fornire indicazioni utili per chi si sa orientare; riesco a capire che devo percorrere piazza Duomo in direzione opposta a quella che avevo intrapreso e mi ci avvio di buona lena quando, orrore e sgomento, mi imbatto in una pattuglia di colleghi, in tuta operativa che avevano i pantaloni infilati negli anfibi: per lo shock ho rischiato il classico coccolone.

A fatica sono riuscito ad oltrepassarli senza mettermi a rimbrottarli come avrei dovuto, troppo importante era la meta che mi attendeva.

La camminata è stata ben compensata dalla visita all’orecchio, che è davvero un singolare citofono con la funzione, simbolica, di mettere in contatto l’intera città con l’ascoltatore ovvero con l’allora padrone di casa (siamo negli anni Trenta del secolo scorso).

Due ragazzotti stavano comodamente seduti sulle scale lì a fianco ed al mio passaggio mi hanno chiesto un accendino; ho risposto di non avere mai fumato in via mia al che mi sono sentito rispondere che anche loro non fumavano, infatti quelle erano canne: gli avrei ridotto (anzi gonfiato come il citofono)  le orecchie a suon di ceffoni, ma ero ormai esausto per lo stress di prima e me ne sono andato scuotendo tristemente il capo.

Il treno mi attendeva, col suo caldo torrido, al binario 21, la gitarella era ormai conclusa ma, ancora un agguato alle coronarie si celava inatteso proprio all’interno della stazione: una pattuglia di agenti della Polizia di Stato si muoveva nella mia direzione ed uno dei due aveva, udite udite, il pantalone destro non aderente a differenza di quello di sinistra, uno spettacolo davvero tristemente sconcertante.

Poiché non pensiate che sono impazzito, citerò un pezzo tratto dal bel libro di Emilio Gentile, “25 luglio 1943” da cui capirete come sia ben vero che “the devil is in the detail” e la storia passa spesso attraverso dettagli che possono modificarne il corso per l’intera umanità.

Veniamo, dunque, all’ottimo Emilio Gentile: “Mussolini non aveva gradito la visita, e addirittura  aveva commentato come un’offesa personale la varietà d’abito dei presenti: «Sono venuti da me un gruppo di signori malvestiti per farmi un pronunciamento.  Chi indossava la divisa fascista, chi quella ministeriale, chi l’abito civile. Alcuni avevano i pantaloni bianchi, altri bleu, altri ancora gli stivali… » (pag. 161).

Questi avvenimenti portarono alla fatale (per Mussolini) seduta del Gran Consiglio del 25 luglio, dal che si può trarre la morale che il regime è crollato anche per via dei pantaloni, meditate gente, meditate.

Milano, 1 giugno 2019, memoria di san Giustino e di Beato Alfonso Navarrete Martire, Sant’ Annibale Maria Di Francia Sacerdote e Fondatore, Beato Giovanni Battista Scalabrini Vescovo e fondatore, Beato Giovanni Battista Vernoy de Montjournal  Martire, Beato Giovanni Storey Laico coniugato e martire, San Giuseppe Tuc Martire

 

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