Tra oggi e domani ben due santi protettori col medesimo nome: ebbene sì, è offerta una speciale protezione a chi si chiama come me.
Innanzitutto l’etimologia del nome “che è nato nella luce” mi si adatta perfettamente: da sempre prediligo le stagioni luminose con tante ore di sole, poi due santi protettori, troppa grazia: comincio dal primo in ordine di antichità, San Luciano di Antiochia, fondatore di una scuola teologica i cui adepti saranno chiamati collucianisti e di cui oggi ricorre il 1700mo dalla morte, essendo stato martirizzato sotto Massimino Daia nel 312.
Da alcuni è ritenuto un precursore o comunque molto vicino ad Ario e all’eresia, certo è che in quei tempi difficili non doveva essere semplice mantenere il pensiero nella limpida ortodossia, così come accade anche oggi.
La cosa che sicuramente mi piace è stata la sua tendenza anti allegorica nell’interpretazione delle Scritture: l’avere sottolineato la necessità di aderire al dato scritturale è certamente un merito di non poco conto.
Il secondo è il protettore della città francese di Beauvais di cui avrebbe fondato la diocesi; entrambi martiri, non eroi, non frutto di programmi, sfide o teorie, il cristiano non si preoccupa della coerenza, questa non è il suo fine.
Silvia, da Fidenza, è l’unica che si è ricordata di questa ricorrenza, la ringrazio di cuore.
Ho terminato la lettura, ieri sera, di un libro di Miguel de Unamuno, “Tre novelle esemplari e un prologo”, consigliatomi tempo fa da un conoscente di Bologna.
La lettura è sicuramente piacevole poichè l’autore sa ben utilizzare la penna, questo non può essere negato, così come la vena ironica e sprezzante è rigogliosa e colpisce il segno quando si rivolge ai critici: “La pigrizia mentale, l’incapacità di giudicare se non in base a precedenti, è la più spiccata peculiarità di coloro che si consacrano alla critica”; mi viene alla mente il celebre “ma io vi dico” di Gesù.
Il giudizio non è a partire dai precedenti seppure autorevoli, il pensiero non è storicizzabile.
Non mi è piaciuto, per il resto, forse non ho colto l’ironia ma certe frasi mi hanno disturbato, non ho saputo comunque apprezzarle, ne cito alcune a mo’ di esempio: “Mia sorella ci affiderebbe uno qualsiasi dei suoi figli, lo so, ce lo affiderebbe volentieri. E siccome non mi costerebbe niente averlo, non potrei mai considerarlo mio”, “Un figlio adottatto, adottivo, resta sempre un trovatello”.
Mi fermo qui con le citazioni, prese a prestito dall’opera curata e tradotta da Marco Gabellieri per l’editore Barbès, ma confermo un senso di oppressione, di odio, di fissazione e dominio che permeano gli scritti: non c’è amore nei racconti, non ci sono rapporti, tutto trasuda morte, del pensiero prima ancora che del corpo che seguirà comunque.
Non ci trovo modernità o meglio c’è rappresentazione di una contemporaneità malata, incapace di giudizio: “E così in quel manicomio, iniziò un’altra volta a tormentarsi il cuore e la mente con il logorante dilemma: “M’ama o non m’ama?”. E poi si diceva: Io sì che l’amo! E ciecamente!”.
Ben altro Amore e Psiche, ben diverso il pensiero di Gesù sull’amore.
Proprio oggi leggevo una citazione di un altro autore famosissimo, Tolsoj che, in “Anna Karenina” afferma: “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”, come a dire che il bene è banale, ripetitivo, in fondo sempre uguale a se stesso e che solo nell’infelicità, nell’essere dannato o emarginato possa esserci, in un qualche modo, la possibilità dell’individualità, della distinzione, dell’unicità; sto imparando che è vero il contrario, è nel male che vi è ripetizione schematica per quanto polimorfa (ma neanche poi tanto). Si tratta di meccanismi – si potrebbe dire quasi di leggi scientifiche, predicibili – che obbligano alla coazione, eterna ripetizione che condanna ad una necessaria e (voluta?) infelicità.
Sono possibili altre strade ed altre amicizie, questi non sono, se non per comparazione negativa, amici.