Difetti

Sono mancato per un bel po’ ma la necessità di dedicarmi prima al lavoro, quest’estate davvero pesante, poi allo studio in vista degli orali del famoso, famigerato concorso che domani vedrà la prova orale con lo psicologo, mi hanno distolto da ogni altra occupazione, tra le quali anche quella di aggiornare questo spazio di riflessione.

Riprendo oggi perchè ho avuto la fortuna di trovare il mio buon amico Gabriele (Trivelloni) disponibile a scambiare quattro chiacchiere con me (non sempre ha tempo e voglia, è un uomo assai impegnato). Ha fatto la comparsa, nel corso del colloquio, il tema dei difetti così che Gabriele mi ha invitato a chiedermi cosa fossero mai questi famigerati “difetti”.

Il pensiero è corso all’idea di una mancanza, di una imperfezione rispetto ad un presunto modello di perfezione, insomma una deficienza riguardo ad un ideale così che si potrebbero ricavare i difetti in base ad un semplice raffronto, ad un’attività descrittiva tra il modello e il soggetto da esaminare. Questa operazione è una tipica attività nevrotica, antieconomica e punitiva perchè si limita ad elencare presunte mancanze rispetto alle quali non è possibile altro che, eventualmente, cercare di nascondere o dissimulare: una visione punitiva! Un guidizio su di sè o su altri in base all’essere, ne ho già parlato ma mi ripeto perchè questo tranello lo trovo molto usuale sia nel mio pensiero che in quello altrui per cui è meglio vegliare per non cadere in tentazione.

Una strada è possibile, alternativa e certamente assai più interessante: il difetto potrebbe essere un venire meno agli appuntamenti (di ogni tipo) così che alla condanna che deriverebbe dall’essere difforme dall’ideale, potrebbe subentrare la redenzione, via imputazione degli atti. Non si decreta la morte del peccatore ma lo si riabilita nella sua facoltà di correggere le sue infedeltà agli appuntamenti (“Non voglio la morte del peccatore ma che si converta e viva”, dice la Bibbia). Diceva,  infatti, Gabriele che o il “castigo” è mirato alla correzione o è bene mandare ad un certo paese colui che lo commina; è l’unica via possibile ad un rapporto con un altro, rapporto che non sia schiavo di leggi non poste dai soggetti stessi, leggi che divengono imperativi ai quali adeguarsi (salvo, appunto, essere poi scoperti in flagrante disobbedienza).

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