Che giornata speciale

Una giornata speciale: i pargoli

Una giornata speciale è quella che permette di realizzare qualcosa che normalmente non è possibile; nel mio caso è quel che è accaduto un bel lunedì di giugno, il 26 per l’esattezza.
Sono andato a Milano ove avevo appuntamento con due baldi giovanotti, le cui età sommate, non raggiungono la mia manco lontanamente.

Di uno sono padrino, egli è dunque mio figlioccio, il che costituisce onore, impegno, responsabilità, dell’altro sono “solo” un amico.

Con loro ho avuto modo di trascorrere alcune ore in lieti conversari, camminando anche per qualche ameno luogo milanese, uno di questi è una chiesa che ho visitato per la prima volta e che si è rivelata come un luogo straordinario.

Non poteva mancare anche il pranzo, sobrio ma giusto, in un localetto vicino al centro dove ci siamo trovati davvero bene, degustando delle ottime pinse annaffiate da deliziose, davvero deliziose birre rosse, dei monaci trappisti belgi che in fatto di birre non sono secondi a nessuno.

Abbiamo parlato di tutto, senza filtri, con estrema libertà come accade tra amici ed è questo che ogni volta che accade mi lascia in uno stato di profonda commozione: che due ragazzi si prendano la briga di dedicare tempo ed energie per trascorrere una giornata in mia compagnia è qualcosa che mi spiazza, mi sorprende ed entusiasma.

C’è stata una libertà di condivisione dei pensieri, una famigliarità, che riscontro raramente: rivedendoli dopo mesi mi sono ritrovato a parlare come se ci fossimo lasciati da 5 minuti ed il parlare non è scontato, noioso, convenzionale.

Sto per dire una sciocchezza perché è un’affermazione illogica ma se potessi avere figli vorrei avere loro due.

Debbo ringraziarli, dunque, per l’ennesima occasione che mi hanno offerto di trascorrere una giornata di non comune piacevolezza: sono stato bene come raramente mi capita.

Nel nostro camminare siamo capitati in una chiesa, molto nota, che ha una caratteristica che la accomuna ad altre molto note, quali Santa Maria della Concezione in via Veneto a Roma: la presenza di centinaia di migliaia di ossa, conservate ma esposte alla vista oppure utilizzate per alcuni decori.

Una giornata speciale: Chiesa di San Bernardino alle Ossa

Si tratta della Chiesa di San Bernardino alle Ossa, che ha una lunga storia legata all’ossario che risale al Duecento, ben prima del secolo del barocco che ha molto puntato su queste forme ” estreme” di vanità delle vanità.

Nella cappella ossario uno dei pargoli si è lanciato nella descrizione delle ossa lunghe e dei crani, con la competenza dottorale dell’aspirante medico, ma il capolavoro che ho scoperto proprio quel giorno è un’altra chiesa, quella di sant’Antonio Abate.

Una giornata speciale: Chiesa di Sant’Antonio abate

Questa chiesa nacque nel XIII secolo grazie ai Canonici Regolari di Sant’Antonio di Vienne, detti anche Antoniani, primo ordine ospedaliero medioevale, dedito alla cura del fuoco sacro o fuoco di sant’Antonio.

digressione suina

E qui necessita una digressione suina.

Narra una leggenda che al mondo mancasse il fuoco, in possesso dell’inferno ove i diavoli (o il diavolo) lo concedevano in cambio dell’anima; sant’Antonio, in compagnia del fedele amico a 4 zampe (non un cane, non un gatto, ma un porcellotto o porcellino) si reca all’inferno ma i diavoli gli impediscono l’accesso.

Fermare un sant’uomo come Antonio difficile non doveva essere per le perfide creature infernali ma bloccare anche il suo amico con la coda a cavatappi, beh quello è risultato troppo arduo anche per loro: il porcellino, entrato nel regno infernale, comincia a scorrazzare da par suo e a seminare scompiglio e confusione tanto da costringere i poco accorti (ed evidentemente alquanto imbranati) diavoli a chiedere l’ausilio del sant’uomo che, a questo punto, entrato nel luogo dell’eterna perdizione, riesce a conservare una scintilla di fuoco nell’incavo del suo bastone, trasportarla all’esterno, beffando così i fessacchiotti cornuti.

digressione medica

Si spiega così il legame tra sant’Antonio abate ed il fuoco ma veniamo ora ad una seconda digressione, stavolta medica.

Col termine di fuoco di sant’Antonio o fuoco sacro, oggi identifichiamo un’infezione virale, causata dal virus varicella-Zoster, quello della varicella; nell’antichità, invece, lo stesso nome comprendeva anche l’ergotismo, ovvero l’intossicazione da segale cornuta, un’intossicazione prodotta dagli alcaloidi di Claviceps purpurea, un fungo allucinogeno, uno degli alcaloidi, infatti, è il famigerato acido lisergico, ovvero l’LSD.

Ecco spiegato, per sommi capi, il legame tra questi religiosi e la malattia; i canonici antoniani sono comunque scomparsi, per unione con l’Ordine di Malta, in virtù della bolla Rerum humanarum condicio di Papa Pio VI, nel 1776, mentre non è scomparso il fuoco di sant’Antonio anche se, grazie ad un vaccino somministrato gratis agli ultrasessantenni (che io farò se il Signore mi concederà di vivere fino a quella data), la sua diffusione potrebbe essere significativamente ridotta.

digressione personale

Ora un’ultima digressione, personale: da bambino ricordo che mia nonna ebbe il fuoco di sant’Antonio, molto doloroso, come tutti sanno (c’è pure la pubblicità, abbastanza insignificante peraltro, in tv) ma non chiamò il dottore o comunque non subito perché prima era indispensabile farlo “segnare”.

Cosa significa? Che venne chiamata la “Strolga” (una sorta di guaritrice), altro non ricordo se non che anche le distorsioni ricevevano lo stesso trattamento (forse utilizzando la vera nuziale).

Una giornata speciale: rieccoci alla Chiesa di Sant’Antonio abate

Torniamo alla nostra chiesa, evidenziando come da un edificio ecclesiastico possano diramarsi tante digressioni: dai canonici antoniani la chiesa passa poi ai chierici regolari teatini; questi ultimi, siamo nel 1577, la fanno sistemare secondo i criteri della Controriforma, quindi a croce latina, unica navata, volta a botte ed iniziano a farla decorare con cicli pittorici che rendono questo luogo un autentico incanto.

I cicli pittorici sono dedicati alle storie della Santa Croce, anche perché i teatini vi avevano portato proprio una reliquia della Croce, e alla gloria dei santi dell’Ordine.

Notevoli per non dire imperdibili però sono due cappelle, dell’Annunciata o Acerbi e di san Gaetano; nella prima c’è un ciclo pittorico di Giulio Cesare Procaccini dedicato alla Vergine: Annunciazione, Visitazione Fuga in Egitto.

Nella cappella di san Gaetano oltre ad una grande tela dedicata al fondatore dei Teatini, san Gaetano appunto, ci sono delle splendide formelle a losanga, un paliotto, statue varie  in marmo, opere di tal Giuseppe Rusnati, un autore che non conoscevo (uno dei tanti), nordico di origini ma di formazione romana (dove regnava il mio amatissimo Gian Lorenzo Bernini) ma che mi ha conquistato in un batter di ciglia.

Nella Cappella dell’Immacolata, ad esempio la Madonna con bambino che calpestano il demonio è squisitamente barocca, squisitamente movimentata, squisitamente squisita; nella medesima cappella c’è anche uno splendido, commovente Cristo morto sorretto da angeli: questo Giuseppe Rusnati entra di diritto nel novero dei miei preferiti.

Dovrò tornarci con la macchina fotografica (e sarebbe troppo bello se ancora in compagnia dei pargoli).

In ogni caso, una giornata davvero speciale ma non voglio dire irripetibile.

Milano 26 giugno 2023 memoria di San Josemaria Escrivá de Balaguer Sacerdote, Fondatore dell’Opus Dei

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