?War is over. ARTE E CONFLITTI tra mito e contemporaneità, al Mar Museo d’Arte della città di Ravenna.
Ho anticipato il mio arrivo nella capitale dell’Esarcato (è un nome che mi è sempre piaciuto, Esarcato, una di quelle parole che, saltuariamente, mi vengono in mente senza un motivo; buon’ultima, di questi giorni: ebdomadario).
Dal sito del MAR ho preso le righe seguenti che spiegano il filo conduttore di un’esposizione che non mi ha convinto del tutto, tanto che ho deciso, contrariamente alle mie abitudini, di non acquistare il catalogo.
“L’esposizione si collega idealmente al centenario della conclusione della prima guerra mondiale, proponendo un percorso che, attraverso l’arte di due secoli, riflette sui conflitti non a livello puramente storico ma in maniera più ampia, artistica e poetica, personale e collettiva, estetica ed etica. Non si tratta infatti di una mostra storico -documentaria ma di un itinerario che suggerisce e testimonia letture molteplici sulla guerra: uno (e non l’unico) tra gli esiti possibili verso cui spinge la necessità antropologica della relazione tra diversi; il più crudele e distruttivo, ma anche il più potente creatore di mitologie.
L’arte si è da sempre misurata col tema del conflitto – o ne è stata condizionata – non solo attraverso la sua rappresentazione ma, spesso, anche attraverso il rifiuto, la rimozione, l’introiezione. Le opere scelte per la mostra intendono illustrare, con media diversi, la tensione che esiste da sempre tra la creatività individuale e l’urgenza di misurarsi con un tema così pervasivo e onnipresente alle coscienze più vigili.”
La mostra racconta come gli artisti si siano confrontati con quell’evento così potentemente disastroso e tremendo che è la guerra, evidenziandone sia gli aspetti “creativi” (Marinetti ad esempio) sia quelli distruttivi e inumani.
Le tre sezioni sono tre: Vecchi e nuovi miti, dedicata ai miti che, da sempre, la guerra la sostengono, Teatri di guerra. Frontiere e confini sui teatri di guerra ed i confini che stabiliscono una separazione, per concludere con Esercizi di libertà dove si investiga ciò che l’arte può offrire per il futuro.
L’inizio è dedicato alla Grande Guerra, con la produzione futurista che pensa alla guerra come igiene del mondo, alla guerra secondo le parole di Marinetti, Boccioni, Carra’, Russolo, Piatti (Milano, 20 Settembre 1914):
“Glorifichiamo la Guerra, che per noi è la sola igiene del mondo (I° Manifesto del Futurismo) mentre per i Tedeschi rappresenta una grassa spanciata da corvi e da iene.
Le vecchie cattedrali non c’interessano; ma neghiamo alla Germania medioevale, plagiaria, baldoria e priva di genio creatore il diritto futurista di distruggere opere d’arte.
Questo diritto appartiene soltanto al Genio creatore Italiano, capace di creare una nuova bellezza più grande sulle rovine della bellezza antica.”
Ma non vi è solo l’esaltazione futurista, c’è pure il vaso greco con scene di guarra tra greci e troiani ed un marmo raffigurante un legionario romano oltre al bellissimo “Il Portabandiera” di Rubens, per restare nell’ambito della classicità.
Sono presenti anche De Chirico con “Ettore e Andromaca” e “I gladiatori” , Picasso con un’opera del 1951 “Jeux des pages”, Lucio Fontana e Alberto Burri, Robert Rauschenberg, Jannis Kounellis, Andy Warhol, Hermann Nitsch, Mimmo Paladino, Marina Abramović, Michelangelo Pistoletto, Emilio Isgrò.
Una sessantina gli artisti presenti per un percorso sicuramente interessante ma non convincente.
Mi ha colpito un’opera, curiosa, delle piccole indistinte figurine in movimento, opera di Michal Rovner: nere e indistinguibili, mi hanno richiamato le piccole figure degli autori fiamminghi che tanto mi piacciono (ad esempio Bruegel); emergeva uno stridente contrasto tra le figurine piccole ma chiare nelle loro individualità dei fiamminghi e queste larve in frenetico movimento, senza identità e senza meta.
Un’opera in particolare mi ha colpito, quella dedicata a Sigmund Freud, intitolata “Partenza di Sigmund Freud per l’Inghilterra e per Londra” di Vettor Pisani: si tratta di una gigantografia (di una foto o almeno credo) che ritrae Freud mentre sale le scalette di un aereo che presumibilmente lo porterà a Londra, nella parte inferiore una scritta “Oh Anna figlia mia! e pensare che ti ho tanto amata … ed ora tu crudele e vendicativa mi frusti”.
A coprire parzialmente la foto c’è una scala, appoggiata al muro, che regge alcune corde cui è appeso un secchio di colore blu, sporco forse di pittura: blu sono i personaggi della foto (Freud e la hostess), blu il secchio, rosse le scritte.
La mia ignoranza mi ha reso impossibile comprendere il senso di un’opera di tal fatta; l’impressione che ne ho ricavato è che l’autore ha intrapreso un percorso che dal padre della psicoanalisi prendeva le distanze.
Non mi è chiaro perché non ho apprezzato questa mostra, ma ripensandoci mi convinco che c’è qualcosa di non concluso, almeno nella parte “contemporanea”, una sorta di ingenuità, ma ammetto che dipende più dalla mia ignoranza che da altri fattori.
Ripensandoci mi è tornato in mente quell’ottimo post di Giacomo Contri del 6-7 ottobre scorsi intitolato “Prossimo, Simile, Sagoma” dove viene ben chiarito chi è sagoma, colui che si trova dalla parte opposta della barricata, chi è simile, colui che mi è vicino e chi è prossimo, colui con cui stipulare affari.
Questa è la strada per un reale giudizio sulla guerra ed è per questo che ho sostenuto, e sostengo, senza nutrire eccessive speranze purtroppo, che Giacomo Contri meriterebbe il Nobel per la pace.
Ravenna, 21 novembre 2018 memoria della Presentazione della Beata Vergine Maria