Ecco il sesto capitolo dell’opera di George L. Mosse sul razzismo.
Si tratta dei contributi che la scienza ha dato, non sempre volontariamente, al consolidarsi delle teorie razziste.
Ne traggo, banalmente e al volo un suggerimento sull’attenzione da porre alle presunte dimostrazioni scientifiche sull’uomo e sul suo pensiero che tanto vanno di moda oggi.
Iniziamo dunque, senza indugi il riassunto:
Nel XX secolo il razzismo portava in eredità due tradizioni provenienti dal secolo precedente: quella idealistica della razza, tutta puntata sul soggettivismo, e quella che, invece, cercava un fondamento scientifico e accademico alla classificazione razziale.
La corrente principale del razzismo fu quella che fondeva assieme antropologia, eugenetica e pensiero sociale: l’unione col darwinismo portò in primo piano l’attenzione all’ereditarietà e all’eugenetica come elementi fondamentali per la sopravvivenza del più forte; questa “scienza” fu denominata dai tedeschi “biologia razziale e sociale”.
Nel 1904 nacque, in Germania, l’Archiv fur Rassen und Gesellschaftbiologie nella cui prefazione si sosteneva che la razza costituisce l’ininterrotta unità della vita e, con riferimento a Darwin, la rivista sosteneva che la sopravvivenza della razza è legata all’eredità razziale e all’igiene razziale e che il concetto di razza è fondamentale per qualsiasi dottrina sociale, dall’economia al diritto, dalla storia alla filosofia morale.
Pur senza intenzioni aggressive il concetto di razza assume una precisa collocazione nella scienza della società, ed anzi la biologia razziale assunse un particolare rilievo probabilmente a causa di un’accelerata urbanizzazione e alla crescita demografica nell’Europa occidentale e centrale temute da molti come fenomeni forieri di catastrofi, se non si fossero applicati i concetti di selezione naturale e di ereditarietà.
Il tanto ammirato dai tedeschi Karl Pearson sosteneva che il principio della selezione naturale non andasse applicato tanto agli individui quanto, invece, alle nazioni: ogni azione che rafforza la comunità è, per ciò stesso, morale.
Secondo Pearson qualunque razza, attraverso l’eugenetica, avrebbe potuto migliorarsi, ma da anziano sostenne la politica razziale nazista considerata come un tentativo, su larga scala, di generare individui adatti; egli condannava la lotta di classe e sottolineava invece una evoluzione graduale guidata da un’elite secondo un’idea di socialismo che egli interpretava come evoluzione della comunità nazionale attraverso la lotta e comunque come opposto all’individualismo e all’indebita concentrazione della ricchezza.
Pearson non fu l’unico biologo razziale a sostenere questa idea di socialismo: in Germania Ludwig Woltmann da marxista, attraverso il darwinismo, divenne una razzista dichiarato, passando da lotta di classe a lotta tra le razze; in un siffatto socialismo i lavoratori avrebbero acquisito uguaglianza di status anche se non di funzioni.
L’atteggiamento più diffuso però fu quello di elogio del capitalismo visto come il più adeguato a favorire la selezione naturale; i capitalisti accolsero, a loro volta, favorevolmente il darwinismo tanto che Alfred Krupp finanziò un premio per il miglior saggio sul tema.
Il vincitore, Wilhelm Schallmayer, un medico, rifiutava il socialismo per l’accento che poneva sull’ambiente; sosteneva l’igiene razziale, era contrario all’incrocio con le razze inferiori della superiore razza ariana ma era pacifista perché pensava che i migliori sarebbero morti in guerra mentre gli imboscati sarebbero sopravvissuti.
La razza, al contrario, avrebbe dovuto incoraggiare la moltiplicazione dei migliori incoraggiando, ad esempio, i matrimoni con generazione di figli e dichiarando illegale il non sposarsi.
Questi “studiosi” non avevano comunque, nè in Inghilterra nè in Germania, l’intenzione di attribuire ad una razza inferiore il ruolo del malvagio nella lotta per la sopravvivenza; ne è un chiaro esempio il fondatore della biologia razziale tedesca Alfred Ploetz.
Se è vero che egli ha esaltato la razza germanica, considerandola come la migliore selezione di competenti e capaci, nondimeno considerava anche gli ebrei appartenenti alla medesima razza superiore.
Ploetz capovolgeva addirittura l’argomentazione antiebraica classica: gli ebrei biblici del vecchio testamento erano normalmente considerati meritevoli di difesa contro gli antisemiti perché avevano comunque partecipato alla storia della salvezza, mentre gli ebrei moderni, avendo ostinatamente rifiutato questa stessa salvezza, dovevano essere condannati; Ploetz ribaltava questa tesi a favore degli ebrei suoi contemporanei.
Egli ascriveva loro un altro aspetto positivo, l’essere biondi: la scoperta statistica che un certo numero di ebrei fosse biondo con gli occhi azzurri deponeva a favore della loro appartenenza alla razza ariana.
Ci fu anche chi addirittura designò gli ebrei come razza superiore; fu il caso del botanico svizzero Arnold Dodel che sostenne la loro superiorità in quanto popolo che, avendo subito tante persecuzioni, aveva sviluppato una selezione naturale in favore dei migliori.
La dottrina tedesca ed inglese della “biologia e igiene razziale”, in definitiva, non può essere considerata una diretta progenitrice della politica nazista contro gli ebrei, essa aveva di mira piuttosto i neri la cui separazione dai bianchi, attuata negli Stati Uniti d’America, era considerata come un esempio di corretta eugenetica razziale.
L’igiene razziale arrivò anche a chiedere la sterilizzazione degli inadatti anche se, di solito, si faceva appello all’astinenza volontaria da parte di coloro che presentavano malattie congenite ereditarie: l’interesse era comunque volto all’eugenetica e non all’idea della razza.
Le idee di eliminazione delle razze inferiori e di guerra razziale erano piuttosto un retaggio dei sostenitori della “mistica della razza”, interessati più agli aspetti spirituali che non al darwinismo e alla scienza.
I nazisti, però, seppero riunire queste due correnti di pensiero e fu a quel punto che i vari teorici come Ploetz e Fischer aderirono al nazismo e approvarono la legge del 28 giugno 1933 che aveva lo scopo di prevenire la nascita di bambini affetti da malattie ereditarie e statuiva dei tribunali specializzati nel giudizio sulla sanità ereditaria che avevano potere di ordinare anche la sterilizzazione.
L’idea era quella di creare un’elite che governasse il paese attraverso una selezione naturale favorita dello Stato.
Fu fino al 1935 che la razza inferiore fu considerata quella dei neri; dopo quella data le accuse vennero trasferite agli ebrei.
Centrale fu, nella seconda metà del XIX secolo, l’idea della degenerazione vista come l’incrocio tra varie razze; nell’Ottocento gli antropologi la consideravano una delle possibili conseguenze delle variazioni casuali, mentre i biologi la vedevano come un ritorno al primitivismo; fu nel 1857 che Benedict Augustin Morel detiene la definizione che sarebbe diventata classica: “degenerazioni sono deviazioni dal normale tipo umano, che si trasmettono attraverso l’ereditarietà e portano progressivamente alla distruzione”.
La degenerazione può essere prodotta anche da fattori ambientali, ad esempio intossicazione per malattia o alcol, ma l’infezione più perniciosa era quella, secondo Morel, causata da fattori fisici e morali; questa infezione avrebbe avuto un tale sviluppo: la prima generazione avrebbe visto una famiglia nervosa, la seconda nevrotica, la terza psicotica e la quarta, affetta da cretinismo, sarebbe scomparsa.
Morel sosteneva che i cambiamenti negli atteggiamenti e nei sentimenti si accompagnavano anche a mutamenti fisici; il termine degenerazione, da lui elaborato, divenne di largo dominio grazie alle opere di Cesare Lombroso e di Max Nordau.
Cesare Lombroso era un ebreo, liberale con un passato da socialista ma l’antropologia criminale da lui fondata diede un importante contributo al razzismo anche se egli avversava questo tipo di pensiero.
L’idea che le caratteristiche fisiche rispecchiassero le condizioni mentali sancì la degenerazione come un segno di innata criminalità, un’inesorabile condanna alla perdizione.
Lombroso recuperava per la sua descrizione della degenerazione le idee di Morel ed anche influenze di Lavater oltre agli ideali di armonia e moderazione: sanciva il primato della normalità rispetto al quale era tutto degenerazione, i cui segni fisici erano, tra gli altri, fonte convessa, sguardo sfuggente, naso all’insù, volto asimmetrico cui affiancava, a livello psicologico, esorbitanza di sentimenti, incostanza, mancanza di carattere ed egomania.
Sosteneva, inoltre, che anche il genio sfuggisse all’ordine tipico dei buoni cittadini liberali.
Sotto l’influenza del darwinismo, Lombroso assunse atteggiamenti crudeli e severi verso i criminali abituali che mostravano i segni della degenerazione e di un ritorno ad una razza primitiva barbarica: enormi mascelle, zigomi alti e orecchie a sventola erano caratteristiche tipiche di questi criminali che, a differenza di quelli occasionali o d’impeto, non erano recuperabili e perciò dovevano essere soppressi per tutelare la società.
Pur condividendo le teorie del movimento eugenetico egli offriva una soluzione radicale: alla selezione naturale affiancava anche una “selezione volontaria” che doveva rafforzare la prima e in cui ricomprendeva la pena capitale.
I nazisti fecero propria parte della psicologia lombrosiana: l’eutanasia che loro applicarono era fondata sull’idea di degenerazione considerata come uno stato definitivo strutturale; alla criminalità abituale e alla follia, derivati della degenerazione, aggiunsero, però, anche l’appartenenza alla razza ebraica.
Max Nordau, amico e allievo di Lombroso, fu il vero divulgatore del concetto di degenerazione; fecondo pubblicista e ardente sionista ebbe molto maggior successo di Lombroso perché offriva semplici interpretazioni della scienza.
Egli era, al pari del suo maestro, un liberale, non un razzista, che identificava la normalità in quella borghese; fondava le sue teorie sull’idea che sia l’uomo che la natura fossero guidati da leggi fisiche “irresistibili ed immutabili”, compito dell’uomo era scoprirle mediante disciplina mentale e osservazione.
Il positivismo scientifico era, quindi, il rimedio contro la degenerazione che aveva come corollari abitudini di lavoro, aspetto esteriore e moralità sessuale adeguati allo scopo, qualità che mancavano invece a molti prodotti dell’attività artistica; l’assenza di questa qualità arrivava a manifestarsi anche attraverso anomalie fisiche.
Secondo Nordau l’impressionismo derivava dal deterioramento del sistema nervoso mentre il naturalismo pittorico aveva origine da una certa stanchezza dovuta all’età avanzata: tutta l’arte e la letteratura moderna erano frutto del lavoro di incapaci di “convincimenti razionali conseguiti con duro lavoro dell’intelletto”; si salvavano solo le forme tradizionali dell’arte perché frutto di un’evoluzione sistematica, in analogia con i principi naturali di selezione del darwinismo.
La degenerazione era così la nemica della moralità della classe media cioè quella che ha permesso la sopravvivenza e il predominio della razza: i tipi ideali, da Camper a Nordau, sono stati sempre tipi ideali borghesi; il razzismo, infatti, si era appropriato della moralità delle classi medie che si erano imposte nell’Europa del XIX secolo, così come si era appropriato del nazionalismo e, comunque, di tutte quelle idee che sembravano avere un futuro, e questa fu la sua vera forza.
Morel, Lombroso, Nordau non furono sicuramente razzisti ma le loro idee divennero il nucleo centrale del pensiero razzista; quest’ultimo ebbe sempre la tendenza a scivolare nell’irrazionale, a costituirsi come religione laica: sebbene la biologia razziale abbia tentato di impedire questa fuga verso l’irrazionalità, una buona parte dell’eugenetica aveva costituito una vera e propria mistica, né avrebbe potuto essere diversamente visto che la biologia razziale, nonostante le sue pretese di scientificità, era essa stessa soltanto un mito.
Un esempio particolare lo si trova in una parte dei darwinisti tedeschi e in particolare Ernst Haeckel, uno zoologo che sosteneva l’idea dell’evoluzione come forza cosmica in cui si manifestava l’energia creatrice della natura.
Riprendendo idee romantiche egli proponeva una soluzione monistica e panteista dell’evoluzione che scivolò ben presto nel patriottismo: i tedeschi erano i più evoluti rispetto a tutti per sviluppo mentale e civiltà, mentre all’opposto si trovavano negri ed ebrei.
Haeckel fu un precursore dell’eutanasia nazista poiché sosteneva che la eugenetica dovesse essere utilizzata a vantaggio della razza superiore per preservarla dalla degenerazione e che, com’è ovvio, prevedeva la conseguente eliminazione dell’inadatto e quindi, ad esempio, dei malati oppure, come sosteneva Lombroso, dei criminali abituali.
Egli fornì anche un altro contributo al pensiero razzista attraverso la formulazione di una “legge biogenetica” ovvero la teoria secondo cui lo sviluppo biologico dell’individuo doveva ripetere in forma abbreviata lo sviluppo ideologico dei suoi antenati che sarebbero stati sempre presenti, non solo nella mente, ma nella realtà biologica, potendo così assicurare la continuità della razza.
Le sue teorie partivano da un’accurata esegesi biblica con una prospettiva storica e sostenevano che il racconto biblico fosse non vero e non convincente; Haeckel accolse favorevolmente le idee di David Friedrich Strauss e Ernest Renan secondo cui Cristo era un uomo e non il figlio di Dio e si trovò d’accordo anche con Houston Stewart Chamberlain che sosteneva che la religione dell’amore predicata da Cristo fosse incompatibile con gli ebrei e le loro visioni tipicamente orientali; per lui gli ebrei erano una razza inferiore che aveva contraffatto il pensiero di Cristo a proprio vantaggio.
La religione vera era di tipo panteistco e fondata sull’amore del quale è pervasa la materia per cui doveva essere liberata dalla zavorra del vecchio e nuovo testamento.
Non tutti i seguaci di Haeckel seguirono questa evoluzione di tipo razzista, ci fu chi pensò che la natura potesse orientarsi in una direzione umanitaria e liberale in cui l’uomo nuovo avrebbe incarnato l’amore e la razionalità, ma le idee di Haeckel orientate verso fondamenta nazionaliste diedero al razzismo una ulteriore giustificazione pseudoscientifica.
Anche l’antropologia non si sottrasse dal fornire contributi al razzismo ed anzi, probabilmente, fornì quello più importante in virtù dei suoi tentativi di dimostrazione.
Come la eugenetica aveva attecchito in Inghilterra e la biologia razziale con il monismo in Germania, l’antropologia prese piede in Francia.
L’atteggiamento di questa dottrina fu ambivalente poiché se da un lato riconosceva la distinzione tra le razze dall’altra affermava che queste costituissero un gruppo armonico in cui l’oggetto di studio fosse soltanto l’uomo in quanto tale.
Paul Broca e William Frederick Edwards, pur credendo nell’esistenza della razza, esaltavano i benefici effetti degli incroci tra razze diverse; l’antropologia francese aveva, insomma, una tradizione liberale che non escludeva nemmeno i neri.
L’esempio tipico è dato da Joseph Deniker che negava la coincidenza tra razza e nazionalità e rifiutava le idee di superiorità di una determinata razza; non diversamente la pensava anche un altro esponente autorevole della Società antropologica francese Armand de Quatrefages de Breau che sosteneva l’utilità degli incroci razziali e negava l’inferiorità dei neri, anche se dopo la guerra franco prussiana del 1870 il suo pensiero scivolò in elaborazioni del tutto fantasiose.
Questi autori non erano, però, esenti da ambiguità poiché consideravano la razza bianca quella dotata del più alto sviluppo intellettuale e quindi quella capace di mescolare il suo sangue con le altre, per migliorarle; venivano, di conseguenza, esaltati i matrimoni misti, con grande scandalo per la maggior parte dei razzisti.
Gli ebrei erano considerati appartenenti alla razza superiore, mentre quelle più bisognose di erano quelle gialla e nera.
In Germania l’antropologia vide tra i fondatori Rudolph Virchow che confermava, a sua volta, la tradizione dell’antropologia francese dell’assenza di razze pure; egli fu famoso per un’indagine razziale che fu condotta tra gli scolari tedeschi e che venne poi imitata in Austria, Olanda e Belgio.
Vennero compiute indagini nelle scuole tedesche relativamente alle conformazioni craniche, al colore dei capelli e degli occhi; la società antropologica tedesca decise di effettuare la ricerca separando i bambini tedeschi da quelli ebrei, spiegando che si stava cercando quanto restasse della razza originaria per valutare le peculiarità dei popoli e delle culture.
Solo la città di Amburgo rifiutò di collaborare perché riteneva questa inchiesta come lesiva della libertà personale, mentre nel resto della Germania furono esaminati 6.760.000 bambini: l’indagine mostrò che non esistevano tedeschi razzialmente uniformi e men che mai prevalentemente biondi e con gli occhi azzurri; le conclusioni di Virchow miravano a eliminare definitivamente il mito della razza grazie a questo tipo di ricerca scientifica.
Questa ricerca, che avrebbe dovuto mettere fine alle controversie sull’esistenza di ariani puri e gli ebrei puri, non ebbe invece che scarsa influenza, troppo avanzate ormai erano le convinzioni mitologiche e gli stereotipi.
L’ideale della razza pura superiore e il concetto clinico razziale risolvevano troppi problemi impellenti per poter essere eliminate agevolmente e la stessa indagine statistica era difficilmente comprensibile per la parte meno colta della popolazione che preferiva i volumi di Haeckel.
Virchow venne pesantemente attaccato e insultato ma rimase fermo sulle sue idee che gli ebrei fossero una nazione e non una razza ribadendo l’inesistenza del puro tedesco, ma rimase inascoltato.