satira e parabole

La questione di Charlie Ebdo apre alcuni interrogativi interessanti: quali sono i confini, se ve sono, della satira?

Certamente le vignette del giornale satirico francese sono ritenute blasfeme, cioè bestemmie.

Bestemmiare, in Italia, è punito da sanzione amministrativa pecuniaria, in base all’art. 724 codice penale (depenalizzato dal Dlgs. 507/99); non ho il codice aggiornato sottomano ma il testo in vigore dvorebbe essere questo:

“Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la divinità o i simboli o le persone venerati nella religione dello Stato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309.

La stessa sanzione si applica a chi compie qualsiasi pubblica manifestazione oltraggiosa verso i defunti”.

Ovviamente non c’è più una religione di stato, eliminata dalla Consulta, per cui  la fattispecie si ritiene applicabile a tutte le religioni.

Tecnicamente, insomma, i vignettisti di Charlie Ebdo sarebbero bestemmiatori e quindi sanzionabili ai sensi del C.P. con una cosiddetta multa.

Dunque bestemmiare è vietato.

La satira che sconfina nella bestemmia è illecita anche se sanzionata soltanto con una sanzione amministrativa pecuniaria, nè più nè meno di un divieto di sosta (in Italia).

Quella che invece non se la prende coi simboli religiosi, e dunque non è bestemmia, è sempre e comunque lecita?

Mettere alla berlina i difetti fisici, le attitudini personali, l’appartenenza razziale o geografica è sempre e comunque lecito?

Secondo Charlie Ebdo limiti non ce ne dovrebbero essere, la satira deve essere sempre libera.

Se traggo le giuste conclusioni questo comporta che si possa scherzare sui meridionali, chiamati terroni, i gay, gli ebrei, i tappi, i ciccioni, le donne…

Nessuno potrebbe invocare il razzismo perchè il diritto di satira travolgerebbe tutto e tutti, con buona pace di omofobia, razzismo, islamofobia ecc ecc.

Leggo che, in Francia, hanno arrestato il sedicente comico Dieudonné per apologia di terrorismo dopo che questi ha dichiarato «Je suis Coulibaly», cosa che si giudica da sola…

Sono contrario all’arresto, le affermazioni di questo poveretto non istigano alla violenza, sono soltanto (!!!sic!!! soltanto) affermazioni di sostegno a cosa?

Ho già parlato del criterio di giudizio cui sottoporre ogni atto (e i pensieri sono atti): quale pensiero, dunque, è alla base delle affermazioni di Dieudonné?

Amicizia, indifferenza, ostilità all’idea di partner, di guadagno, di legittimità del possesso: se guardo in controluce la parabola dei talenti (laicamente, non mi interessano le elucubrazioni pretesche), quale ruolo occupa questo misero individuo?

Mi viene una diversa parabola, quella dei vignaiuoli omicidi, presa dal Vangelo di Marco, capitolo 12:

« Vineam pastinavit homo et circumdedit saepem et fodit lacum et aedificavit turrim et locavit eam agricolis et peregre profectus est.

2 Et misit ad agricolas in tempore servum, ut ab agricolis acciperet de fructu vineae;

3 qui apprehensum eum caeciderunt et dimiserunt vacuum.

4 Et iterum misit ad illos alium servum; et illum in capite vulneraverunt et contumeliis affecerunt.

5 Et alium misit, et illum occiderunt, et plures alios, quosdam caedentes, alios vero occidentes.

6 Adhuc unum habebat, filium dilectum. Misit illum ad eos novissimum dicens: “Reverebuntur filium meum”.

7 Coloni autem illi dixerunt ad invicem: “Hic est heres. Venite, occidamus eum, et nostra erit hereditas”.

8 Et apprehendentes eum occiderunt et eiecerunt extra vineam.

9 Quid ergo faciet dominus vineae? Veniet et perdet colonos et dabit vineam aliis.

10 Nec Scripturam hanc legistis: “Lapidem quem reprobaverunt aedificantes,

hic factus est in caput anguli;

11 a Domino factum est istud

et est mirabile in oculis nostris”?».

Tradotto in italiano:

«Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano.

[2] A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna.

[3] Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote.

[4] Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti.

[5] Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero.

[6] Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!

[7] Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l’erede; su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra.

[8] E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.

[9] Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri.

[10] Non avete forse letto questa Scrittura:

La pietra che i costruttori hanno scartata

è diventata testata d’angolo;

[11] dal Signore è stato fatto questo

ed è mirabile agli occhi nostri”?»

Ancora una volta una splendida e per nulla religiosa descrizione di amicizia per che cosa (un uomo piantò una vigna…)? e regime dell’appuntamento ed anche della sua opposizione.

Gesù faceva satira?

Ascoltando un programma su Radio24, l’altro giorno, sentivo un tipo che diceva più o meno che della satira non se ne può più.

Effettivamente, cos’è la satira? o meglio ogni persona che intenda farla che cosa ha a cuore secondo i criteri di amicizia, indifferenza, ostilità di cui parlavo prima?

Non è un bene in sè la satira, non è nemmeno il motto di spirito di cui parlava Freud; oggi almeno mi sembra che corra il rischio di ridursi al puro sbeffeggiare di chi è afasico. Graffio perchè non so criticare; demolisco perchè non ho l’idea di costruire.

Gesù sapeva scherzare, sicuramente anche ironizzare ma le sue parabole, anche quelle più “abrasive” non possono essere definite satiriche: il suo mettere a nudo la fallacia del sistema di potere religioso o politico non mirava a far ridere, melanconicamente, ma indicava un’alternativa di pensiero e di civiltà.

La satira come derivato di scarto della mancanza di critica.

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