San Bernardino alle ossa è una chiesa milanese, accanto alla chiesa di santo Stefano Maggiore e a due passi dal celeberrimo Duomo, che è famosa (lo è?) a motivo dell’ossario.
Prima di dedicarmi a san Bernardino alle ossa, due parole su santo Stefano maggiore, chiesa che meriterebbe fama solo perchè vide il battesimo di un geniale artista, Caravaggio; all’ingresso della chiesa venne, invece, ucciso il duca Galeazzo Maria Sforza, a soli 33 anni, la festa di santo Stefano del 1476.
Ma torniamo adesso a san Bernardino alle ossa: la chiesa ha vissuto varie vicissitudini ma quel che mi importa accade nel Seicento quando, a seguito di ristrutturazione, viene creato l’ossario così come lo vediamo oggi.
L’ossario esisteva già in precedenza, costituito, non è chiaro, con le ossa recuperate dai cadaveri del cimitero attiguo ad un ospedale esistente in loco o con quelle delle vittime della peste descritta da Manzoni.
Le ossa sono state accatastate in modo da costituire l’ornamento della cappella, una macabra esposizione di resti, in particolare teschi e ossa di grandi dimensioni disposti in modo da formare grandi croci.
Sull’altare campeggia la statua di Nostra Signora Dolorosa de Soledad di fattezze tipicamente spagnole ed infatti venne realizzata durante la dominazione di questi ultimi; osservandola mi tornavano in mente le numerose analoghe rappresentazioni della Madonna, rappresentata spessissimo, in Spagna, addolorata o con le spade nel cuore.
Il ricordo corre ad un’altra chiesa, che potrebbe gemellarsi con san Bernardino alle ossa; una chiesa di Roma, Santa Maria della Concezione dei Cappuccini o Nostra Signora della Concezione dei Cappuccini, in via Veneto la cui cripta, composta di 5 cappelline, è completamente decorata con le ossa dei frati cappuccini.
Curioso modo di recuperare un prodotto di scarto come le ossa e sicuramente comportamento da far impallidire gli sciocchi scherzetti venuti di moda con halloween.
Storicamente non so se sia sostenibile, ma credo che questa pratica sia caratteristica del barocco, una modalità molto scenografica per incutere timore e invitare a meditare sulla vacuità della vita sempre esposta al morso affascinante e angoscioso della morte.
Scriveva Sigmund Freud: “Quando il viandante canta nell’oscurità, rinnega la propria apprensione, ma non per questo vede più chiaro.” (Inibizione, sintomo e angoscia,1925); l’esibizione delle ossa mi pare un modo per cantare nell’oscurità, vincere la paura della morte contemplandola e negandola al tempo stesso, restandone fissati.
Quel che prende il sopravvento è lo stupore che deve vincere lo spettatore: stupore è parola adeguata perchè lo stupore induce ad uno stato di coscienza obnubilata ed alla sottomissione; Giacomo Contri scriveva già nel 2009 (think dell’ 08/01/2009) che “solo uno stupefacente produce stupore”.
Non sono esente da questa tentazione anche se, scrivendone, cioè facendomene qualcosa, utilizzando quel che ho guardato come materia prima per produrre altro (foto e commento per iniziare) sfuggo al rischio della stuporosa autoreferenzialità.
Mi viene in mente anche una critica ad una delle preghiere classiche del cattolicesimo, il “requiem aeternam” che così prosegue: dona ei (eis), Domine, et lux perpetua luceat ei (eis). Requiescat (-ant) in pace. Amen.
L’italiano traduce “eterno riposo […] riposino in pace”: idea di non lavoro; dopo il lavoro compiuto in terra con alterne fortune e molta fatica il defunto meriterebbe un eterno riposo, in contemplazione di Dio.
Prospettiva allettante? Ho sentito da qualche parte, non saprei indicarne la fonte, un aneddoto che riguarda don Giussani, appassionato di ciclismo.
Parlando del paradiso Giussani racconta che, ovviamente, ci sarà la contemplazione del volto di Dio, esperienza fantastica bellissima, ma, chiede, da ciclista, se sia possibile, lì in paradiso, organizzare un giro d’Italia.
Per un aneddoto come questo meriterebbe da subito il titolo di santo: oltre alla contemplazione, il paradiso potrebbe essere il luogo della realizzazione, via lavoro, di ciò che è stato elaborato, desiderato.
Luogo di lavoro finalmente concludente e senza il sudore della fronte, cioè senza la superfetazione del peccato che rende difficoltoso il pensiero del lavoro e la sua realizzazione.
Pensiero che giunge a meta, con soddisfazione dell’uomo e magari non solo dell’uomo.
Milano, 19 novembre 2016 memoria di Santa Matilde di Hackeborn
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