ricordi famigliari di Casaltone e non solo

Questi giorni agostani mi han permesso di recuperare alcuni ricordi, non miei, ma di quelli preziosi perchè a rischio oblio.

Siamo partiti casualmente, da una delle passeggiate di mia madre, che è passata davanti alla lapide commemorativa dell’omicidio di Mario Lupo, avvenuta nell’agosto del 1972 e siamo passati all’omicidio di tal Bragòn (spero si scriva così), funzionario fascista che ogni giorno, verso le 10 del mattino, si recava ad ispezionare il macello di Parma, per verificare la presenza di eventuali personaggi non in regola.

Questo funzionario fu ucciso da un comunista, tal Monello (questo il soprannome), che gli tese un agguato in un angolo del mercato e gli sparò in testa per poi fuggire a bordo di una moto guidata da un complice.

Da questo ricordo ne è uscita una serie, legata alla guerra e non solo: dall’episodio che vide coinvolto il nonno Ermes (che sarebbe più correttamente lo zio Ermes) che si salvò fortunosamente da un bombardamento mentre guidava un paio di mucche verso l’uscita della stalla a quella che vide suo padre, Guerrino, ingiustamente incarcerato con l’accusa di incendio doloso (di cui era responsabile, invece, il padrone di casa per intascare i soldi dell’assicurazione).

La mamma e la zia ricordano il famigerato Pippo, ovvero un aereo che bombardava ogni abitazione di cui si scorgessero luci accese; immagino che non fosse un aereo unico ma il nome che accomunava gli aerei che scaricavano bombe nella zona in cui abitavano allora era quello; ricordano anche i bengala che illuminavano la campagna, mentre scendevano provocando delle belle buche nel terreno (o forse confondevano le buche con quelle delle bombe, chissà).

Dal nonno Ermes scopro che è parente dei martiri di Casaltone della famiglia Pesci, i due Pesci anziani erano fratelli del nonno del nonno Ermes: scopro allora che nella zona di Casaltone si trovava un ponte di legno, infrastruttura importantissima per la fuga dei tedeschi (che l’avevano messa in piedi qualche tempo prima) dopo che i ponti in muratura erano stati danneggiati dai bombardamenti alleati; era intenzione dei tedeschi farlo saltare durante la ritirata; alcuni abitanti della zona tentarono di opporvisi e per questo vennero trucidati o furono vittime della ritorsione nazista, tra questi lo zio e vari cugini del nonno Ermes.

Secondo il racconto fu Gustavo Pesci il primo ad aprire il fuoco contro i tedeschi; lo fece dal campanile della chiesa da cui poi fuggì verso l’Enza dove svolgeva il lavoro di traghettatore; fuga inutile perché intercettato dai tedeschi in fuga fu trucidato  ed il corpo venne ritrovato vari giorni dopo.

Un altro componente della famiglia Pesci, Ercole, si era nascosto sotto il lavandino che si trovava in cucina; rifugio tanto a portata di mano quanto facilmente identificabile e così avvenne: i tedeschi non si presero nemmeno la briga di farlo uscire dalla posizione scomoda in cui si era rannicchiato.

Nel cortile della chiesa di Casaltone erano state radunate varie persone, probabilmente da fucilare, quando il parroco, don Giovanni Morini, si mise in mezzo a loro e disse ai tedeschi che avrebbero dovuto uccidere anche lui: in quel caso andò a finire bene.

Casaltone ha un particolare rilievo poiché rientra nella mia giurisdizione, insomma ci lavoro (anche se spero per poco: mancano 120 giorni all’alba, cioè 17 settimane, 3 mesi e rotti…)

Dalla mamma ho saputo che, da piccola,  era caduta in un fosso, colmo d’acqua a causa del periodo di innaffiatura dei campi, e che dalla corrente era stata trascinata sotto il ponticello, forse di un’abitazione; fortunatamente non rimase incastrata nè impigliata e riuscì ad uscirne dalla parte opposta dove raggiunse la riva, salvandosi.

Sempre da lei, che ricorda il cupo rumore dei bombardamenti, ho saputo che il nonno Angiolino venne costretto da un tedesco a tenere per la cavezza un cavallo al quale il soldato sparò da breve distanza: fino al momento dello sparo non si sapeva chi sarebbe stata la vittima.

Nei giorni della liberazione tutti ricordano una moltitudine di ragazzi giovani e impolverati, a bordo di carri armati che salutavano con due dita aperte, la famosa V di Victory, ai quali mia zia ed uno dei suoi fratelli offrivano da bere il latte delle loro mucche, mentre i soldati lanciavano le famose gomme americane.

Da mamma e zia ho saputo, invece che sono nate, entrambe, in luoghi importanti per Parma: la più vecchia, ormai alla soglia degli ottant’anni, è nata all’interno dell’abbazia di Valserena, ora sede dello CSAC, mentre la più giovane, cioè mia mamma, è nata in quel di Casalora, amena località nei pressi di Ravadese, ove nacque San Guido Maria Conforti (del quale non risulta alcun benefico influsso sulla compaesana, anche se è ancora in tempo per rimediare). Alla fine del conflitto mondiale si recarono presso di loro uno folto stuolo di fratacchioni e prelati (dicono che alcuni provenissero direttamente da Roma, ma non è dato certo); uno di questi aveva sfidato alla lotta il nonno Angiolino, cosa non particolarmente intelligente primo perché un prete mai dovrebbe indulgere in siffatti comportamenti, secondo perché il nonno Angiolino (famoso per la virtù di famiglia, che io non ho ereditato, purtroppo, di non avere timore di nulla), seppur mingherlino (e salviamo così pure la rima) aveva la forza di un … bufalo (ero tentato di proseguire con un ritmico bufalino ma non è il caso).

Dal nonno Ermes scopro che la via crucis della chiesa di San Prospero, dov’è nato, è stata creata da uno scultore francese che ha scolpito anche un Cristo di legno utilizzando come modello un giovanissimo nonno Ermes, retribuito con un franco (unità di misura non chiara ma non meglio precisata dall’incassatore).

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