Dei 100 capolavori delle collezioni private bresciane avevo fatto solo un breve cenno: ci torno perchè le opere che ho visto a Brescia sono molto belle ed interessanti.
Una premessa: la zona di Brescia è terra industriosa, di gente che è abituata a lavorare senza tanti fronzoli, quindi terra ricca e dove c’è ricchezza ecco che compaiono cose belle perchè il quadro, la scultura, il libro sono dei privilegi che non germogliano ovunque. Elogio della ricchezza, che non è necessariamente da identificare col denaro, questo avviene solo nelle distorsioni invidioso malinconiche dell’idea di ricchezza; per la sua definizione rimando all’insegnamento di Giacomo Contri che anche recentemente ha ribadito un concetto tanto a portata di mano di chiunque quanto snobbato: “i poveri non sono anzitutto coloro che non hanno soldi, ma che non hanno partner” [post del 22 giugno scorso].
La ricchezza, come un libro, è a portata di mano, non ci sono obiezioni di principio, basta poco: mettersi all’opera, i frutti seguiranno.
Fatta questa premessa, a Brescia mi sono imbattuto casualmente in questa proposta ed ho deciso di entrare e vedere di cosa si trattasse: una visita che ho molto apprezzato.
Lo sviluppo è cronologico e parte dal neoclassicismo, quindi da un periodo che io fatico molto ad apprezzare, ma ho trovato di mio gusto opera di Andrea Appiani, il ritratto del conte Tommaso Lechi in uniforme di colonnello della Guardia Reale dell’Esercito Italiano.
Bello il viso del conte, con simpatici baffetti ed i capelli riccioluti e le basette molto pronunciate, peccato che sia stato un generale dell’esercito napoleonico.
Simpatico anche l’Autoritratto di Domenico Vantini, ambientato in un luogo cimiteriale, forse a richiamare i Sepolcri foscoliani, in un momento in cui si discuteva, a Brescia, della necessità di edificare un cimitero extraurbano; ci sarebbero anche rimandi massonici (le due colonne scanalate e affiancate, senza funzioni strutturali simboleggerebbero l’ingresso alle logge massoniche, con rimando alle due colonne del vestibolo del tempio di Salomone di biblica memoria).
Il pittore, ma anche numerose altre cose, collezionista, miniatore, antiquario, imprenditore edile, è vestito molto elegantemente e rivolge allo spettatore uno sguardo tra l’ironico e il sornione: lasciate da parte le pessime idee politiche, mi piacerebbe molto vestire come lui (ed avere la stessa chioma).
Seguono poi una serie di opere di Luigi Basiletti di contenuto eroico o storico oppure pittoresco (Il tempio di Vespasiano a Brescia dopo gli scavi) o ancora vedutista che mi sembrano molto adeguate alla case dei ben pasciuti nobili e borghesi di metà Ottocento.
Una serie di miniature non mi entusiasma ma una mi attira, il Ritratto del cantante Giuseppe Galante di cui non ho trovato notizie online.
Numerose sono poi le opere di Angelo Inganni, non tutte mi sono piaciute ma di sicuro sono interessanti i ritratti cosiddetti “ambientati” molto borghesi; che cosa sono i ritratti ambientati? l’ho scoperto leggendo il catalogo: sono quei ritratti, in interno, che mostrano dettagli ed accessori che ne definiscono la status e le attitudini, un modo per dire a quale ceto uno appartiene e quali interessi coltiva o professione esercita; cito, in particolare, il Ritratto di gruppo della famiglia Torri, in cui i tre componenti della famiglia sono rappresentati in abiti scuri o neri, con una sobrietà che è contemporaneamente esibizione di un consolidato benessere borghese e coscienza del valore del proprio lavoro ma senza eccessi o sfarzi eccessivi, una Milano ancora ben lontano dalla Milano da bere dei tempi recenti.
Mi colpisce molto l’età dei rappresentati: il nobile Giovan Battista Torri ha, all’epoca, 50 anni e fin qui, quella particolare è la moglie, Antonia Peroni, che di anni ne ha 39 ma sembra decisamente più anziana ed ancor più curioso il giovane, Alessandro Torri, che 16 anni e che tutto sembra men che un adolescente, come si chiamano adesso i giovani: è evidente una distanza siderale rispetto ai miti giovanilisti di oggi, ben sapendo che questi paragoni sono assurdi.
Seguono le opere di Faustino Joli, molto apprezzate sia per le dimensioni dei personaggi, piccoli come mi piacciono tanto sia per l’abilità di rappresentare quasi in diretta, da reporter, i tragici eventi delle insurrezione bresciane del marzo 1848 e 31 marzo 1849, senza toni trionfalistici e senza celare anche gli aspetti crudeli come il corpo del soldato austriaco calpestato.
Salto a piè pari i vedutisti paesaggisti che, seppur bravissimi, mi attraggono poco per arrivare alla sezione dedicata alla seconda metà dell’Ottocento dove ritrovo i consueti Giovanni Fattori, Domenico Induno e Francesco Hayez, quest’ultimo con uno strepitoso Vaso di fiori cui fa il paio Le violette di Federico Zandomeneghi che firma anche uno splendido Nudo su fondo verde.
Chiaramente non può mancare Giovanni Boldini con un bel Nudo visto di schiena seguito da uno strepitoso Achille Glisenti con La morte di Cleopatra, questo quadro è curioso perchè il pittore rivela un’abilità fantastica nella resa dei dettagli, ad esempio le perle, il bracciale a forma di serpente o i sandali dorati, tuttavia, come scrisse un critico dallo pseudonimo Erulus “il nudo della fatale regina è troppo roseo, troppo fresco per i suoi trentanove anni suonati; e il viso troppo ridente per una sovrana che, dopo aver perduto il trono, rinunzia alla vita” [citazione dal catalogo].
Un dipinto tutt’altro che tragico, insomma, ma molto teatrale in cui la sfortunata Cleopatra si concede agli scroscianti applausi degli spettatori, quasi in attesa che cali il sipario per rialzarsi.
Sempre del medesimo autore Le tre cucitrici è un’altra opera splendida, col sole che illumina ed esalta i volti delle tre signore intente all’arte del cucito.
Altra opera bellissima è La tazza dorata di Emilio Rizzi: la protagonista è la moglie, Barbara Anselmi, che mostra la compiaciuta sicurezza di una borghese che riceve i clienti del marito nel proprio studio abitazione.
Eccoci al futurismo, salto molto è ovvio, con Achille Funi che dipinge Illustrazione per “Lussuria Velocità” di Filippo Tommaso Marinetti: che si rifaccia a influenze cubiste o di Cezanne poco mi importa, mi piace la rappresentazione delle architetture con prospettive diverse che evidenziano il personaggio in moto in primo piano.
Quel che emerge è l’idea di velocità, che sembra risucchiare ogni cosa, lo stesso motociclista che perde ogni connotato personale per ridursi ad un’icona di una presunta modernità lanciata non si sa bene verso dove.
Che dire del Ritratto psicologico dell’aviatore Azari di Fortunato Depero? Dal catalogo ho scoperto che ritratto psicologico perchè l’autore non intendeva riprodurre le fattezze fisiche della persona ritratta ma le sua peculiarità psicologiche: l’aviatore Azari diventa quindi uomo azzurro come il cielo, amante di belle donne, della tecnologia e del futuro, un viveur come era probabilmente concepito negli anni Venti del secolo scorso.
Arriva la sezione metafisica dove non può mancare, preannunciato dallo stesso titolo dell’esposizione Giorgio de Chirico di cui apprezzo, senza entusiasmo, Piazza d’Italia; c’è poi un Otello e Desdemona di Alberto Savinio che mi piace senza che sappia dire come mai, forse è l’effetto straniante, la mancanza di contestualizzazione storica che rende i personaggi eterni, senza tempo.
Alcune opere del Novecento sono particolarmente gradite: Mia madre di Cagnaccio di San Pietro e Piatto di pomodori di Felice Casorati che potrebbe fare al caso di qualche pubblicitario.
Picasso con natura Morta con testa di toro mi avvia alla conclusione, una conclusione scatologica visto che una delle opere esposte è la famosa Merda d’artista di Piero Manzoni che ho già criticato a suo tempo.
Una bella mostra.
Dalle mie escursioni si evince la predilezione per la contemplazione, cioè per la pittura; mi viene adesso da chiedermi se non sia una forma di sublimazione della pornografia: in entrambi i casi è presente un restare immobili a guardare; m’è venuta questa idea, forse bislacca ma da riprendere.
Parma, 24 giugno 2018 solennità della nascita di san Giovanni Battista