Naso nuovo, pagherò da bere

Ho pianificato tutto con estrema attenzione (anche se in realtà avevo richiesto di procedere a luglio ma mi hanno detto che non era possibile), ho giustificato la sobrietà a cena (due soli piatti di tortelli per la serata di san Giovanni, praticamente dieta stretta) con la necessità di non dormire durante il viaggio che il giorno successivo mi avrebbe portato a Palermo ad un convegno…

La mattina del 24 giugno, solennità della nascita di san Giovanni Battista, il mio terzo nome di battesimo è Giovanni, è arrivata così ineluttabile: alle 7.30 ero davanti all’ingresso del reparto di otorino in quel dedalo di nuove costruzioni che è l’Ospedale Maggiore di Parma; mi hanno chiamato verso le 08.10, assegnato il letto n. 17 ed invitato a prepararmi subito perchè ero il quarto nella lista e i primi due erano già di sotto.

Ho prontamente obbedito ed atteso fin verso le 11.00, attesa interrotta da una gentile dottoressa che mi informava che il chirurgo sarebbe intervenuto anche su un’anomalia di cui ignoravo l’esistenza, previo mio consenso che, com’è ovvio, ero lì per quello, ho concesso ben volentieri e immediatamente.

Alle 14.30 sono tornato in reparto, rintronato come se avessi avuto un frontale con un tir, ma la cosa era fatta: un bel naso nuovo infagottato da una bella benda, con due tubicini che sporgevano quasi a ricordarmi una qualche scultura futurista.

Dopo un po’ è arrivato anche il mio compagno di stanza, con relativo padre; un giovanotto manco maggiorenne; non ho stretto particolari legami con loro anche se sono sempre stati cortesissimi; unico problema è stata la televisione che hanno mantenuto accesa ininterrottamente o quasi, sfibrando la mia capacità di sopportazione.

Personalmente non ambivo che a un po’ di silenzio mentre questi hanno lasciato accesa la tv fin verso l’una della notte per riaccenderla alle 6.15 del mattino successivo e tenerla accesa fino alla dimissione del giovane verso le 16.00, un autentico inferno.

Non ho praticamente chiuso occhio per due notti consecutive ma tutto, alla fine è andato via liscio come l’olio; sabato sera cena a base di crema di piselli, hamburger con fettina di formaggio che avrebbe ben potuto essere scambiata per una suola di scarpa ben usata e alcuni fagiolini del tutto sconditi, ma lo spirito era integro anche se un po’ acciaccato dall’anestesia e antidolorifici che hanno fatto il loro giusto dovere.

Domenica mattina la dottoressa si è presentata in camera mentre facevo colazione, dicendomi: “quando ha finito le tolgo la medicazione”; due morsi e due sorsi ed ero scattante come une gazzella, di corsa in sala medicazione dove temevo tanto l’eliminazione di tutto quello strumentario che mi occludeva il naso, imponendomi la respirazione con la bocca con vari multiformi rumori annessi e sconnessi.

Anche stavolta è andata benissimo, un po’ di fastidio più che dolore vero e proprio e in due secondi si è concluso tutto: per la prima volta dopo 52 anni riuscivo a respirare con entrambe le narici, una sensazione davvero gradevolissima durata però un battito d’ali perchè il naso è stato immediatamente riempito di crema e risigillato a dovere.

Voglio ringraziare ed è atto formale, il chirurgo, dott. Gabriele Oretti che è stato davvero ottimo oltre che cortese e ironico come mi aspetto da persone intelligenti come sicuramente è.

Un po’ di attesa per vedere se ci fossero problemi quindi la dimissione; col mio fedele trolley ho ripercorso a ritroso il tragitto con una significativa deviazione: l’ottima gelateria Arnolds.

Qui un attimo di sconcerto: la commessa mi dice che ha pronti solo i gusti alla frutta che per me sono, notoriamente, un surrogato del gelato come il caffè d’orzo lo è della bevanda originale; in realtà qualcosina d’altro c’era, crema chantilly, semifreddo al pistacchio e un altro gusto che non ricordo, così mi sono concesso uno scodellino da 3 euro che mi ha ritemprato le forze.

Alle 9.49 ero fuori dalla gelateria ed alle 9.52 era previsto il passaggio dell’autobus per tornare a casa, tempismo incredibilmente perfetto; autobus in orario e via.

Le frenate hanno messo un po’ a prova l’equilibrio precario ma tutto è andato bene anche quando l’autista ha “seccato” clamorosamente il rosso al semaforo della stazione, ma non ero in servizio, non stiamo a fare i puristi.

Arrivato a casa mi sono preso gli improperi di mia madre che ha finalmente capito che le avevo raccontato un’innocua bugia ma ormai era tardi per rimediare, simile sorte mi è toccata poi da mio fratello e da alcuni amici, il più offeso dei quali è l’ottimo Federico, al quale, è proprio il caso di dirlo, l’ho fatta sotto il naso, visto che lavora come anestesista proprio all’Ospedale Maggiore.

Devo meditare sul perchè, in occasioni come questa, io sia preso dall’idea che è meglio far tutto da soli, in totale solitudine; temo sia un modo per esorcizzare la morte, ma nel contempo, averla sempre davanti agli occhi, cioè al pensiero e non nella versione di san Francesco.

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