Monsù Travet o sogno di un pomeriggio di mezza estate

Oggi vorrei raccontare una storia; mi è sempre piaciuta l’idea di darmi alla letteratura (ho detto letteratura non ippica, malevoli), così ho deciso di concedermi una licenza.

Essendo una storia, si tratta di roba di fantasia, pura invenzione: non vi sono riferimenti a persone o fatti reali e quindi nessuno, caro lettore, si senta citato o coinvolto.

Narra, dunque, la leggenda di un baldo giovane, beh insomma quasi giovane, dipendente pubblico, un po’ sgobbone, indefesso lavoratore, uno dei tanti buoni Monsù Travet che, alla fin fine, contribuiscono a far funzionare la gigantesca macchina dell’amministrazione pubblica italiota.

Questo uomo di mezza età, sulla via del tramonto, senza troppi grilli per la testa, all’improvviso si trova di fronte un mostro nero, di quelli che la vita ogni tanto riserva anche ai più miti ed inoffensivi: il nome del mostro, scientificamente, che sembra che sia meno, cattivo (la scienza ammanta di un camice bianco che spersonalizza, sterilizza, rende tutto immacolato) è carcinoma.

Non ce l’ha lui, anche se ogni tanto pensa che potrebbe essere un buon viatico, ma una donna cui tiene molto; donna impossibile, tirannica, fredda, con ideazioni paranoidi,ma pur sempre una donna di quelle che in uomo lasciano il segno per l’intera vita.

Ebbene il nostro impiegatuccio si affanna, angoscia e perde il sonno, si dilacera tra le soluzioni che si prospettano innanzi per poter assistere al meglio l’anziana signora.

La decisione è presto presa: andrà a vivere assieme a lei e le farà, come ha sempre fatto, in gioventù, da cavalier servente; la prospettiva non è tra le più entusiasmanti ma la necessità incombe e, suvvia, è la soluzione più logica.

Ne parla con colleghi, collaboratori e superiori, insomma quasi una comune, tutti condividono, anche il capo appoggia l’idea.

Resta un piccolo neo, una cosa da nulla, in verità: la distanza tra la casa dell’anziana dama ed il posto di lavoro del cavaliere distano alquanto e nonostante la buona volontà del cavallo bianco a quattro ruote, mancando la collaborazione dell’associazione benzinai e quelle dell’ente autostrade, la questione assume toni prosaici: il vil denaro, per un verso, il tempo di trasferimento, le insidie dei continui viaggi, la stanchezza, gli imprevisti, le necessità dell’assistenza… tutte banalità quotidiane che richiedono una minima attenzione.

Monsù Travet non si scoraggia ed intraprende la strada della richiesta, anzi dell’umile petizione: avanza sussiegosa richiesta verbale di poter essere ammesso a colloquio con la Responsabile Suprema dei destini degli oscuri Travet; il povero confida nel buon cuore, baldanzosamente (ma sottotono, per carità) si prefigura di poterle strappare una concessione, una regia patente che gli permetta di avvicinarsi a casa.

Quale allegrezza alberga già nel suo cuore, confidando nella ragionevolezza della propria istanza; tutte le zeta saltellano allegramente, senza incespicare mentre l’omuncolo preconizza un benevolo cenno di approvazione.

Tra lui e la meta, all’improvviso, si erge, oscuro, imprevisto, inimmaginato, un ostacolo: la Legge, il Contratto, i Precedenti.

La risposta, per interposta persona (i Responsabili non hanno tempo da perdere, mica possono concedere a chiunque, per tali inezie, il loro tempo prezioso) è glaciale: NO! NO! NO!

Il nostro, che ormai cullava la dolce idea dell’accoglimento, resta stordito, senza fiato, attonito, non c’è neppure la provvidenziale Adrianaaaaaaa, cui rivolgere un grido disperato, e poi, suvvia, non è il tipo da scenate, abituato all’oscuro lavoro, mantiene anche oscure le proprie emozioni, insoddisfazioni, lamentele, si macera, digrigna ma con dignità, sobrietà, quasi parsimonia.

Prova a lambiccarsi il cervello ancora e ancora e ancora una volta in cerca di un’alternativa, di una soluzione, anche temporanea mentre resta sempre più soffocato tra le pretese tiranniche dell’anziana dama (hai i pantaloni troppo bassi, tieni accesa la lampada sul comodino troppo a lungo, sei disordinato) e gli ingranaggi del POTERE.

Già il POTERE..

I ricordi d’infanzia rimandano ad una famiglia compattamente comunista, tutti lo erano; la domenica mattina si acquistava la copia de “L’Unità”dal volontario che passava, casa per casa.

Da giovane, maggiorenne, anche il nostro fa la sua parte e arriva addirittura ad iscriversi (cambierà poi opinione, ma non pace, almeno politicamente) al Partito.

Chi oggi, in Italia, è propugnatore dei diritti, da quelli degli immigrati, alle donne, ai gay, ai lavoratori, ai disoccupati; chi ha a cuore l’ambiente, la famiglia, gli anziani, i bambini, le donne, i diversi, gli emarginati, i drogati? la risposta è una ed una soltanto: gli eredi dell’allora caro vecchio Partito, la Sinistra (“I bisogni sono tanti, ancora di più in una fase di crisi, i diritti in molti casi fino ad oggi sono rimasti solo teorici, è il momento di realizzare l’Italia giusta proprio a partire dalle diverse situazioni delle persone e delle famiglie”, citazione da una pagina web di un partito importante).

All’improvviso, la speranza balena tra le nebbie dello sconforto: andrò, chiederò, parlerò ai cari compagni, se non difendono i diritti loro… è bastato un attimo e la luce ha squarciato subito la tela: l’Ente presso cui lavori, caro Travet, è amministrato dai SINISTRI, sono loro a sciacquarsi la bocca dei diritti che non hai.

L’amara realtà si erge impietosa contro le illusioni: La Legge, il Contratto, i Precedenti.

La Legge, tuttavia, ti concederà, a certe condizioni, di potertene stare a casa due anni, pagato dalla collettività, a prestare assistenza: il buon Travet vacilla di fronte a tanta generosità: “ma io non chiedevo così tanto, mi accontentavo di avvicinarmi a casa, speravo di poter continuare a lavorare, a rendermi utile alla società, conciliando lavoro ed assistenza, almeno fino a che mi sarà possibile, al momento lo è…”

La Legge, il Contratto, i Precedenti ti permettono, caro Monsù Travet, di startene a casa per due anni, così potrai arrivare alla soglia dei 5 anni, superata la quale potrai chiedere di poterti avvicinare a casa; per due anni te ne sarai rimasto inutile per la società, avrai perso quella poca competenza che avevi costruito nel tempo, dovrai ripartire da zero a creare contatti, a conoscere il territorio, però la legge, il Contratto e i Precedenti resteranno immuni da deroghe ed eccezioni, perfetti nella loro formale legalità, immacolati dalle banali questioni di noi miseri impiegatucci.

Qui finisce il racconto, in sospeso, perché non ho il coraggio di dar forma ad una soluzione che non sia la solita lamentela e recriminazione.

Tutti i racconti ed i romanzi, alla fin fine, terminano confermando l’assunto di partenza; io voglio lasciare al lettore la possibilità di andare altrove rispetto alla conclusione, che sembra trasparire.

Sono possibili altre strade? Credo di si, quali, non saprei dire, d’altronde è solo un racconto, un sogno di un pomeriggio di mezza estate.

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