L’apocalisse della modernità

In treno, sabato 13 dicembre, ho terminato la lettura di un interessantissimo volume di Emilio Gentile, intitolato L’apocalisse della modernità.

Tratta del periodo immediatamente antecedente lo scoppio della Grande Guerra, cioè la prima guerra mondiale; spiega con dovizia di citazioni, il clima culturale che regnava nell’epoca bella della modernità trionfante.

Raccoglie anche le aspettative che l’uomo moderno, europeo, nutriva dopo la fine dell’immane carneficina.

Nulla avrebbe potuto essere più come prima, le aspettative di un uomo nuovo erano fortissime; si trattava purtroppo di una illusione foriera come si vedrà poi di un’ulteriore terribile carneficina.

Ma questa illusione era stata coltivata da tempo; il mito del progresso, cullato non solo dal pensiero positivista, ma anche ben espresso nella cultura dal futuristi italiani, sembrava avere spazzato via ogni limite: “Sotto la nostra mano noi abbiamo visto la forza della natura a servirsi e disciplinarsi. Il vapore, l’elettricità, ridotti alla parte di docili serventi, hanno trasformato le condizioni dell’esistenza. La macchina è divenuta la regina del mondo. Installato da padrone nella nostra officina, l’organismo di ferro ed acciaio caccia e sostituisce, mercè un lento e continuo invadimento, i lavoratori in carne e ossa, di cui fa i propri ausiliari.”

Lo splendore della vita europea viene pagato anche con le ricchezze sottratte ad altri popoli, sottomessi e sfruttati: guerra contro i boeri,  repressione della rivolta dei boxer in Cina, imperialismo coloniale ne sono gli esempi.

Come chiaramente spiega Emilio Gentile: “Negli ultimi decenni dell’Ottocento, nuove teorie, che ritenevano di avere fondamento scientifico, furono elaborate per dimostrare la disuguaglianza fra le razze e il diritto delle razze superiori a dominare sulle inferiori.

L’applicazione della teoria dell’evoluzione di Charles Darwin alla politica e alla società diede origine alle ideologie del darwinismo sociale che furono considerate le più scientifiche, e quindi le più moderne e civili interpretazioni della storia e delle relazioni fra i popoli.

Il darwinismo sociale diede una vernice di scientificità alle teorie razziste, proclamando che la lotta per la vita e il trionfo del più forte erano una legge necessaria della storia e del progresso. La guerra era parte integrante di questa lotta, altrettanto necessaria per la selezione del più forte e per l’avanzare della civiltà.

Il pregiudizio della superiorità razziale, anche quando non era esplicitamente professato, era comunque il tratto distintivo del colonialismo e dell’egemonia europea nel mondo”.

Razzismo e darwinismo sociale sono legittimati dalla scienza, anzi, considerati scientificamente fondati: “A Darwin si richiamarono i medici inglesi Francis Calton e Karl Pearson, fondatori e promotori dell’eugenetica come scienza della preservazione della sanità della razza e dello sviluppo delle sue qualità superiori.”

Non sarebbe male riflettere su quante panzane l’umanità si è sorbita grazie alla scienza: i discorsi scientificamente fondati sono da vagliare come tutti gli altri, non c’è alcun privilegio da concedere alla scienza.

C’è poi il capitolo dell’antisemitismo.

E la degenerazione… “le cause della degenerazione erano lo sfrenarsi delle passioni, la ricerca spasmodica di esperienze sessuali più intense e inusitate, che infrangevano i freni della rispettabilità borghese, la voluttuosa esasperazione delle emozioni e dei piaceri. I popoli civili, contagiati da questi mali, erano votati a una progressiva degenerazione, intesa come varietà morbosa di un tipo originario”, queste le riflessioni di Max Nordau, medico ebreo tedesco.

Ma perchè mai dovrebbe accadere questo? Nordau ha le sue motivazioni: “All’origine della malattia viene il contrasto fra i progressi della civiltà e la difficoltà dell’uomo moderno ad adeguarsi alla complessa e tumultuosa realtà nuova, che la modernità sta creando, e che rischia di travolgerlo. L’uomo moderno era un nevrotico, incapace di far fronte al mondo in cui viveva e propenso quindi a evadere dalla realtà attraverso una morbosa sublimazione della propria nevrosi in forme esasperate di egotismo, di sensualismo e di misticismo”.

Nordau intende difendere la società borghese e liberale, denunciando i pericoli ed evidenziando i segni della degenerazione che ben descrive, come allignanti nelle metropoli, centri nei quali: “La degenerazione morale lasciava le sue stimmate dell’aspetto fisico, con deformità, escrescenze, e difettosità di sviluppo, come l’asimmetria del volto, i padiglioni delle orecchie, che emergono per la mostruosa loro grandezza, staccandosi dalla testa come manichini oppure mancando dei lobi; gli occhi loschi, labbra leporine, irregolarità nella forma e nella posizione dei denti, a lato a sesto acuto oppure piatto, dita unite oppure in numero maggiore del normale. Psicologicamente, il degenerato era un individuo passionale, isterico, nevrotico, mistico, malinconico, avvilito, tetro, che dubita di sé e del mondo, martoriato dal timore dell’ignoto, circondato da pericoli indefiniti ma spaventosi e spesso con una ripugnanza ad agire, propenso a fantasticare muovendosi fra nebulose, embrioni appena delineati di pensieri. I degenerati, specialmente letterati e artisti, tendevano a formare gruppi e scuole chiuse, vestendole con un ismo qualsiasi. L’idea… che è imminente una rivelazione, una redenzione, l’aurora di una nuova epoca, è stata osservata assai di frequente negli alienati: è un delirio mistico.”

Non passerà molto tempo che ben altro utilizzo verrà fatto di queste tesi.

 A questo ordine di pensieri si aggiunge la tradizione antiedonista e la “grande depressione” (erano burbe, ai tempi) tra il 1873 e il 1896, terminata la quale, restano, comunque, pensieri cupi e pessimisti, fondati sull’idea che la degenerazione è più viva che mai: movimenti artistici e letterari, di emancipazione femminile, omosessuali, tutto sembra aggredire e corrodere l’idea della società borghese ben ordinata e retta da norma morali intangibili.

La Fin de siècle, per la prima volta fa capolino una compiaciuta attenzione alla fine del  secolo che suscita pensieri cupi e pessimisti, vede la nascita anche del pericolo giallo (il Giappone imperiale si affaccia sulla scena mondiale come potenza) e quello americano. In Russia (che 5 anni dopo sarà umiliata dal Giappone) Vladimir Sergeevic Soloviev termina, durante la Pasqua del 1900, un’opera famosissima, il Racconto dell’anticristo: la pace universale non è raggiungibile abbandonando Cristo, l’umanitarismo senza Cristo è, in fondo, intollerante e guerrafondaio. Il Racconto dell’anticristo termina con la battaglia di Armagheddon.

Gli anni a cavallo dei due secoli vedono un importante scontro di idee tra gli ingenui (dico io) sostenitori del progresso, visto come emancipazione dalle “istituzioni dogmatiche e autoritarie del passato” (e della religione tradizionale) e destinato a giungere alla costruzione di un mondo migliore e gli oppositori all’idea, nata dalla rivoluzione francese che “vedevano la deviazione blasfema, rapinosa e rovinosa di un uomo moderno pervertito dall’ambizione di poter vivere senza Dio, ribellandosi contro le gerarchie e le tradizioni millenarie di un’organizzazione della società sancita dal volere divino interpretato dalla Chiesa”.

Gregorio XVI pubblica l’Enciclica Mirari Vos, con la quale condanna i mali moderni:

“Venerabili Fratelli, diciamo cose che voi pure avete di continuo sotto i vostri occhi e che deploriamo perciò con pianto comune. Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza, licenziosa la sfrontatezza. Viene disprezzata la santità delle cose sacre: e l’augusta maestà del culto divino, che pur tanto possiede di forza e di necessità sul cuore umano, viene indegnamente contaminata da uomini ribaldi, riprovata, messa a ludibrio. Quindi si stravolge e perverte la sana dottrina, ed errori d’ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti, non istituzioni, non discipline, anche le più sante, sono al sicuro di fronte all’ardire di costoro, che solo eruttano malvagità dalla sozza loro bocca. … Le Accademie e le Scuole echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni, con le quali non più segretamente e per vie sotterranee si attacca la Fede cattolica, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti le si muove un’orribile e nefanda guerra. Infatti, corrotti gli animi dei giovani allievi per gl’insegnamenti viziosi e per i pravi esempi dei Precettori, si sono dilatati ampiamente il guasto della Religione ed il funestissimo pervertimento dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della santissima Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si mantengono ferme la forza e l’autorità di ogni dominazione, si vedono aumentare la sovversione dell’ordine pubblico, la decadenza dei Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. … Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di tali libri (At 19,19). Basti leggere le disposizioni date a tale proposito nel Concilio Lateranense V, e la Costituzione che pubblicò Leone X di felice memoria, Nostro Predecessore, appunto perché “quella stampa che fu salutarmente scoperta per l’aumento della Fede e per la propagazione delle buone arti, non venisse rivolta a fini contrari e recasse danno e pregiudizio alla salute dei fedeli di Cristo” [Act. Conc. Lateran. V, sess. 10]. Ciò stette parimenti a cuore dei Padri Tridentini al punto che per applicare opportuno rimedio ad un inconveniente così dannoso, emisero quell’utilissimo decreto sulla formazione dell’Indice dei libri nei quali fossero contenute malsane dottrine [CONC. TRID., sess. 18 e 25]. Clemente XIII, Nostro Predecessore di felice memoria, nella sua enciclica sulla proscrizione dei libri nocivi afferma che “si deve lottare accanitamente, come richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi impuri di pravità non periscano bruciati” [Christianae reipublicae, 25 novembre 1766]. Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del retto diritto e osano negare alla Chiesa l’autorità di ordinarla e di eseguirla.”

Ne sono soltanto alcuni stralci ma significativi di un pensiero che vede nella modernità un nemico da combattere (il che era probabilmente giusto), ma con armi spuntate: la Chiesa si avvia a diventare sempre più ininfluente.

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