La chiesa di San Sepolcro a Milano

Dopo la visita della Biblioteca Ambrosiana, sono “incappato” in questa chiesa che della Biblioteca è parte, almeno per quel che riguarda l’amministrazione.

La chiesa di San Sepolcro mi ha incantato, come spesso chi mi conosce sa che accade di fronte a cotanta bellezza.

La sua storia parte da lontano, da un monetiere, Benedetto Ronzone, che nel 1030, la fa edificare in quello che un tempo era il foro di Milano, quindi il centro della Milano romana (centralità confermata, anche se per altri motivi, da san Carlo Borromeo che la definiva “umbilicus civitatis“, ombelico della città) per devozione privata e la intitola alla Santissima Trinità.

Nota curiosa: venne utilizzata come luogo di cura di Arialdo, uno dei fondatori del movimento patarino, negli scontri coll’arcivescovo Guido da Velate (ai tempi dell’università ero appassionato di eresie medioevali, mi dilettavo di molte letture al riguardo).

Ma arriviamo al 1100: la conquista di Gerusalemme induce l’arcivescovo Anselmo da Bovisio a dedicare questa chiesa al Santo Sepolcro e a concedere l’indulgenza di un terzo della pena per i proprio peccati; l’edificio viene così rimaneggiato in modo da assomigliare alla basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Proprio questa caratteristica attirerà, nel Cinquecento, il cardinale Carlo Borromeo che ne farà la sede della Congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio da lui stessa istituita e la utilizzerà come luogo privilegiato di meditazione e preghiera.

In questa prospettiva ebbe l’idea di creare un sacro monte cittadino, ed è questo che mi interessa (in mancanza della visita alla cripta che mi riprometto di effettuare appena sarà possibile), perché, seppur non realizzato, il progetto ha visto almeno l’inizio con la creazione di alcune delle 24 cappelle originariamente progettate.

La chiesa, dunque, custodisce una serie di statue in legno policromo che raccontano alcuni eventi centrali delle ultime fasi della vita di Gesù: l’ultima cena con la lavanda dei piedi, Gesù davanti a Caifa che si straccia le vesti, la flagellazione ed il rinnegamento di Pietro.

Non sono capolavori ma scenografiche rappresentazioni, ovviamente in ossequio ai dettami della Controriforma, ma probabilmente non originate da questa, destinate a coinvolgere lo spettatore, una riproduzione mimetica che induce il fedele all’immedesimazione: il frutto di un’elaborazione che trova la sue radici nel tardo medioevo con le sue poesie, le sacre rappresentazioni, il teatro religioso.

Opere che testimoniano una fede da vivere nella concretezza di un passato che non è passato ma che richiede un’adesione, personale, nell’oggi.

Seppur non belle, quindi, sono rappresentazioni che a me piacciono sempre molto; nel caso specifico, poi, mi è venuto in mente quanto ho visto in un’altra zona di questa amata Europa, tristemente sempre meno cristiana; sto parlando del santuario portoghese, a Braga si trova, do Bom Jesus do Monte, che ho visitato 7 anni or sono.

Il paragone è scorretto perché si tratta di due opere totalmente diverse, eppure le cappelle della Via Crucis che accompagnano la salita (splendida) al santuario portoghese, coi loro colori vivaci e la drammatizzazione delle scene mi è venuta subito in mente mentre osservavo le statue della chiesa milanese.

La chiesa di San Sepolcro non si limita a queste belle “stanze”, c’è anche un altro soggetto a me carissimo, il Compianto su Cristo morto: in questo caso le statue sono in terracotta policroma, a grandezza naturale.

Non ho trovato notizie né dell’autore né del periodo di realizzazione ma mi ricordano, anche qui un rimando, le splendide creazioni di Guido Mazzoni che ho tanto apprezzato a Modena e non solo (ma vogliamo parlare di quelle di Niccolò dell’Arca?): l’avrete capito, io amo questo genere di produzione artistica, decisamente poco “sobria”, spesso eccessiva.

La chiesa vale la visita, piccolo gioiello nel cuore pulsante della Milano economica.

Milano, 22 maggio 2022 memoria di santa Rita da Cascia

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