il razzismo, una conclusione che non conclude

Eccoci alla conclusione, una conclusione che non conclude come dice l’autore, del libro sul razzismo di George L. Mosse.

Un libro bellissimo, da non perdere; ora ho qualche idea più chiara sul razzismo e qualche dubbio in più.

C’è un lavoro da svolgere, adesso, per far tesoro di quanto elaborato da questo grande storico, ma ecco la sintesi.

L’olocausto ha trasformato la teoria razziale in pratica, ha concretizzato quel razzismo del «mistero della razza» visto come il nemico cui scatenare contro una guerra cosmica, come aveva preconizzato Houston Stewart Chamberlain o le sette di Monaco e Vienna che evidentemente Hitler aveva frequentato con “profitto”.

Due erano gli obiettivi, tra loro connessi, di Hitler mentre preparava il conflitto mondiale: lo spazio vitale per la Germania e la «soluzione finale», ma lo sterminio degli ebrei ebbe la precedenza, perché in loro Hitler vedeva il vero nemico della Germania.

La realizzazione di un simile progetto era impensabile senza la tecnologia moderna, uno stato centralizzato ed efficiente e senza la brutalizzazione delle coscienze degli uomini provocata dalle esperienze della prima guerra mondiale.

Gli assassinii di massa perpetrati  durante la seconda guerra mondiale furono accompagnati dalla ripetuta giustificazione di Hitler e di Himmler: erano stati gli ebrei a provocarla ed essi ora ricevevano la meritata ricompensa.

Ma alla base stavano le idee razziste, covate dagli estremisti del movimento legati  allo spiritualismo, le scienze segrete e le lotte cosmiche; di queste si riempì Hitler che seppe, contemporaneamente, essere un abile politico, capace di adeguarsi ai momenti contingenti per arrivare allo scopo, lo sterminio degli ebrei.

La weltanschauung razzista non fu prerogativa del solo Hitler: il «mistero della razza» non soppiantò mai le altre varietà di razzismo ma il führer  godette di un vantaggio: i miti razzisti riuscivano a spiegare il passato, prospettare un futuro speranzoso e offrivano la possibilità di concretizzare l’astratto; gli stereotipi semplificarono e vivificarono le teorie.

Lo stereotipo della bellezza, che collegava apparenza esteriore e condotta dell’animo, era nato ai primordi della storia del razzismo europeo e rimase immutato fino a quando i nazisti se ne servirono nella realizzazione dell’olocausto.

L’ideologia razzista si strutturava su fattori visivi: la contrapposizione tra l’armonia virile ellenistica e l’uomo deforme e malvagio.

L’immutabilità dello stereotipo permase sia quando il razzismo si legò alla scienza attraverso l’antropologia o l’eugenetica e praticando la sperimentazione e l’osservazione scientifiche, sia quando ha postulato teorie su «sostanze vitali» razziali che niente avevano a che fare con la scienza moderna (Hitler credeva che l’intera scienza dovesse tornare ad essere scienza segreta, mistica), non mancarono mai le prove per rendere gli stereotipo convincenti, sia che lei traesse dall’antropologia, dalla frenologia o dal darwinismo, sia che parlasse di «sostanze vitali» o di «balenio del sangue».

Il razzismo non ebbe un padre e questa fu una delle sue forze; esso si alleò con le virtù apprezzate nell’età moderna: la pulizia, l’onestà, la serietà morale, il duro lavoro e la vita familiare, quelle cioè che durante il XIX secolo assursero a simbolo degli ideali della classe media, ideali che avevano conquistato le altre classi sociali; questo fu il collegamento e non le dottrine di un qualsiasi filosofo o teorico sociale di qualche importanza.

Certo vi furono dei riferimenti anche illustri, Gobineau, de Lapouge, Weininger o Wagner, collegamenti anche a Darwin ma il razzismo era ideologia composita che non si adagiava al pensiero di nessuno e tutti utilizzava per i propri scopi: le virtù, la morale e la rispettabilità dell’epoca erano attribuite ai suoi stereotipi e ritenute qualità innate della razza superiore.

Ciò che non corrispondeva alle virtù del momento era considerato degenerato: non incarnare il tipo-ideale dell’«americano tutto d’un pezzo» o dell’«inglese dalla vita onesta» era segno di razza inferiore.

Nella sua vaghezza si appropriò di tutti i valori della rispettabilità borghese ergendosene paladino; è vero che all’inizio pochi aderirono a queste affermazioni, per la maggioranza degli europei era sufficiente essere un gentiluomo cristiano, ma anche qui il razzismo aveva sparso il suo contagio, tanto che mai vi fu uno scontro aperto tra cristianesimo e razzismo poiché entrambi, in fondo, elogiavano le medesime virtù della classe media e vedevano il nemico negli stessi non conformisti, fossero essi zingari, massoni o ebrei.

Prevalse su tutto il sostegno che il razzismo offriva contro la minaccia di degenerazione e questo prevalse anche sui disaccordi tra questo e il cristianesimo.

Così il razzismo fu abilissimo nel raccogliere tutto quanto gli fosse utile e nell’impossessarsi delle idee altrui, se possibile anche le migliori in modo da essere confermato nella sua rispettabilità.

Darwin, Gall, Lavater, Lombroso e Galton non accettarono il razzismo come visione del mondo  ma le loro idee furono di tale importanza per il razzismo che non si può prescinderne.

I confini del pensiero razziale sono sfuggenti e ingannevoli come l’ideologia nel suo complesso ma nonostante questo il mito venne concretizzato in realtà  non solo durante l’olocausto e nei campi, ma ovunque la gente comune abbia espresso sul proprio simile giudizi basati su una sottintesa accettazione dello stereotipo razziale

L’olocausto è ormai avvenuto e la storia del razzismo ha spiegato la soluzione finale, ma con la fine del nazismo il razzismo non è morto e non è diminuito il numero di coloro che pensano secondo categorie razziali

Non vi è nulla di provvisorio nell’imperituro mondo degli stereotipi ed è questa l’eredità che il razzismo ha ovunque lasciato.

Se il mondo postbellico, a seguito dello choc dell’olocausto, ha temporaneamente sospeso l’antisemitismo, il nero è però in genere rimasto inchiodato in una collocazione razziale che non è mai molto cambiata dal XVIII secolo ai nostri giorni.

Inoltre, nazioni che avevano combattuto contro il nazionalsocialismo hanno continuato ad accettare l’idea dell’inferiorità razziale dei neri ancora molti anni dopo la fine della guerra e non sembra che abbiano compreso che tutti i razzismi, siano essi diretti contro i neri o contro gli ebrei, sono sempre fatti della medesima stoffa.

Sebbene in pratica tutti i sistemi politici e culturali creati dall’Europa durante gli ultimi due secoli abbiano una maggiore consistenza intellettuale del razzismo, ciò non ci deve distogliere dal compito di analizzarlo con la stessa attenzione dedicata al socialismo, al liberalismo o al conservatorismo.

Potrebbe essere che il successo del razzismo sia stato dovuto alla sua banalità ed all’eclettismo e alla capacità di fondere il fattore visivo con quello ideologico.

Anche ora che le forze che si opposero al razzismo si sono molto rinvigorite la lotta continua, ma con maggiore speranza di quanto mai vi sia stata in precedenza. Il primo passo verso la vittoria su questo flagello dell’umanità consiste nel rendersi conto di quale ne sia stata la causa, di quali aspirazioni e speranze esso abbia suscitato nel passato.

 Il bellissimo libro di George L. Mosse ha inteso contribuire alla formulazione di una diagnosi del cancro del razzismo nelle nostre nazioni e persino in noi stessi.

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