Il Museo Barracco, in quel di Roma

Il Museo Barracco è stata una delle tappe di un’altra impegnativa giornata romana iniziata col fallimento del primo obiettivo, la Basilica di Santa Pudenziana.

Detta basilica era mia intenzione visitare assolutamente, così di buon mattino, mi sono subito portato nei suoi pressi, non prima di concedermi una lussuosa colazione a base di cappuccino e cornetto.

Il bar prescelto, nell’itinerario, aveva l’invitante insegna di Neapolis caffè; ho scoperto solo una volta entrato che si trattava di un bar gestito da cinesi: ammetto la prevenzione ma mi aspettavo una “sola” e invece… innanzitutto ho pagato 2,20 € cappuccino e cornetto (a Parma diremmo brioche), cifra del tutto equa, poi ho pagato col bancomat ed il cassiere non ha battuto ciglio ed infine, eccomi con la figuraccia del giorno.

Il barista, un romano de Roma, mi ripete per conferma: “cappuccino e cornetto alla crema?”, sarà stato l’accento strascicato, la mascherina, l’ora e l’età (mia) ormai avanzata, ma io convinto come un pompiere gli ho risposto “no non un cappuccino corretto crema, ma un cappuccino e brioche alla crema”; il buon uomo mi ha guardato vagamente stranito per poi darmi quel che gli avevo chiesto mentre io mi rendevo conto della gaffe e sprofondavo nel rossore cutaneo ben mascherato dalla mascherina.

Cappuccino e brioche (o cornetto) deliziosi!

Riparto ritemprato verso l’agognata basilica, giunto presso la quale ho trovato il cancello di accesso al cortile sbarrato e bloccato da importante catena e lucchetto: basilica chiusa, chiusissima, serrata, con mia grande disperazione.

Mi sono consolato tornando a visitare, stavolta alla luce del sole, la Basilica di Santa Maria in Aracoeli, in attesa di scapicollarmi al Museo Barracco che apre alle 10 (per chiudere alle 16).

Eccomi, dunque, preciso come un orologio romano, alla mia meta, il Museo Barracco o, più correttamente, Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco.

Ingresso gratuito, visita in quasi totale solitudine, salvo la compagnia saltuaria del medesimo addetto conosciuto il giorno prima (che mi ha riconosciuto), persona cortese e squisita di modi.

Il Museo nasce come donazione del barone Giovanni Barracco, una curiosa figura di politico, mecenate e filantropo, senatore del regno d’Italia, collezionista d’arte classica e del vicino oriente.

Non sto a raccontare la storia della sede del museo, ora si trova in quella che è conosciuta come piccola Farnesina ai Baullari.

Le collezioni spaziano dall’arte egizia a quella assira e sumera, etrusca, cipriota, greca, ellenistica, italica e pure medioevale, insomma un bel gruzzoletto di opere che è possibile godere gratuitamente.

Ad esempio c’è la bella Stele di Nefer, un dignitario egizio cui il sovrano concede un’enorme quantità di beni per la sua vita nell’oltretomba, tra i quali 1000 oche, altrettante gru, giovani antilopi e vitelli, poi una splendida testa barbata di un sacerdote risalente all’epoca tolemaica (ma acquistato da Barracco come testa di Giulio Cesare) ed una di Sethi I; c’è poi una curiosa stele con scena di mungitura, un episodio di vita quotidiana decisamente curioso e la stele di Memi (il nome della defunta), una finta porta di una mastaba della necropoli di Menfis.

Cos’è una mastaba? lo ignoravo totalmente per scoprire poi che si tratta di una tomba a tronco di piramide.

Poi ci sono gli arcieri elamiti in alta uniforme e con copricapo piumato che mi ricordano analoghe rappresentazioni viste a Londra e Berlino: guerrieri  che anche solo a vederli nelle steli incutono un certo timore ed in effetti proprio per questo scopo erano pensati.

Gli elamiti sono protagonisti di un’invettiva del profeta Geremia (cap. 49) ed alcuni di loro erano presenti durante la Pentecoste (Atti, 2).

C’è una testa, anzi una maschera di mummia, che rappresenta una defunta, dalla ricchezza della decorazione si può dire che era di alto lignaggio.

Interessante anche un frammento di stele che rappresenta donne deportate: consuetudine presso gli assiri che così ripopolavano le campagne e stroncavano le identità nazionali e culturali (il secolo breve non ha inventato nulla).

Mi hanno colpito anche le varie statue di Bes, un dio secondario del pantheon egizio, ma molto popolare: ha l’aspetto di un nano dalle forme poco carine per spaventare il male.

Si spazia poi con un carro da parata, colorato vivacemente e condotto da una donna con bambino, proveniente da Cipro; stessa provenienza per una testa probabilmente di sacerdote di Afrodite.

Notevole poi una testa di Marsia, varie teste di giovani e non solo; ecco che si può ammirare una cagna ferita, scultura in marmo, opera di tal Sopatros,  probabile copia in marmo dell’originale in bronzo creato da Lisippo e visto da Plinio che ne parla nella Naturalis Historia.

Testa di Priapo: non è un forbito insulto ma la descrizione di una bella testa, con acconciatura molto elaborata e barba complicata.

Un bel viso di fanciullo della famiglia giulio claudia, una terracotta policroma, prodotta in serie, con testa di Giove Ammone, un Giove con le corna di ariete, come vedete la raccolta di Giovanni Barracco è quanto mai ampia, come piace a me.

Chiudo con una curiosa, molto arcaica, statuetta votiva cicladica del III millennio a. C. e con un frammento di mosaico dell’antico abside della basilica vaticana.

Questo mosaico, che rappresenta la Ecclesia romana come donna con corona di regina in capo, risale ai tempi di Innocenzo III; altri due sono sopravvissuti e sono visibili presso il Museo di Roma (il Ritratto di Innocenzo III e la Fenice).

Spero di avervi suscitato il desiderio di andare a visitare questo piccolo gioiello di Museo perché ne vale la pena.

Roma, 15 ottobre 2020, memoria di santa Teresa d’Avila, di Santa Maddalena da Nagasaki martire e del Beato Narciso Basté Basté
Sacerdote gesuita, martire

 

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