Filippo Facci l’islam e l’ordine dei giornalisti

Filippo Facci è un giornalista che scrive su testate considerate di destra; nel luglio 2016 il quotidiano Libero ha pubblicato un suo articolo dedicato all’Islam. Un pezzo duro, poco simpatico, polemico.

Condivisibile oppure criticabile, come ogni espressione del pensiero umano; per quell’articolo è stato punito dall’ordine dei giornalisti a seguito di un esposto di una sua collega che scrive su Famiglia Cristiana (se non ho inteso male).

Insomma Facci islamofobo e razzista, macchie imperdonabili per l’ordine chiamato a tutelare chi? cosa?

Già, mi chiedo chi tutela l’ordine dei giornalisti: i cittadini lettori o fruitori della produzione giornalistica nazionale? i giornalisti eventualmente perseguitati dai famosi e famigerati poteri forti?

Dal sito dell’ordine dei giornalisti si scopre che la costituzione tutela la libertà di espressione ma, se la libertà di espressione è un bene di ogni e ciascun consociato, cioè cittadino (e anche non cittadino) non bastano (e avanzano) i tribunali per tutelare un tale bene, qualora venga messo in discussione, leso o coartato?

C’è bisogno di una corporazione che dia la patente di libertà di parola a qualcuno che la dovrebbe avere per il solo fatto di essere … un essere umano: ecco un caso riuscito di ius soli: se nasci sulla terra e appartieni al consesso umano hai, ipso facto, la facoltà di pensare e di esprimere liberamente il frutto di siffatta cogitazione.

Nessuna autorità dovrebbe rilasciare un permesso.

Ci ha insegnato Sigmund Freud che quando viene alla luce un pensiero esso non può più venir cancellato, a quel pensiero occorre dare soluzione; censura e inquisizione non servono che a creare la fissazione di due opposti professionismi (con anche eventuali indubbi ritorni economici per chi è abile a cavalcare l’onda montante).

Sono nati in tempi recenti i professionisti dell’antirazzismo che puzzano tanto di formazione reattiva, cioè odio ben mascherato da amore.

Veniamo a Filippo Facci; cosa dice nell’articolo che potrebbe costargli due mesi di stipendio? che odia l’islam.

Lo dice in termini a tratti sgradevoli, sicuramente poco concilianti ma non dice niente di così terribile; il linguaggio è per il giornalista come il bisturi per il chirurgo, uno strumento versatile da usare in modi e con misure diverse a seconda del risultato che si vuole ottenere (che sempre ci si riesca è altra questione che qui poco ci importa).

Con questo articolo Filippo Facci ha scelto un trinciaossa invece di un bisturi di precisione, ma la scelta non è, come dicevo, frutto di improvvisazione: sarebbe interessante sapere, scremate le volute esasperazioni, cosa di così razzista sostiene il giornalista; nel suo articolo a commento della sanzione lo stesso giornalista, acutamente (ma non serve poi tanta acutezza, basta qualche buona lettura) fa notare che il termine razzismo è usato a sproposito e, aggiungo io, sembra assurgere al ruolo di pannicello caldo che va bene in ogni occasione.

Sono condivisibili le parole di Facci? personalmente trovo sensate alcune affermazioni mentre altre proprio non le condivido, com’è normale che sia.

Non condivido l’idea di odiare perché l’odio non è mai interessante, è una forma di fissazione, un modo come un altro per restare a pensare alle “solite” questioni.

Il giudizio è pacifico, l’odio è guerresco ma detto questo e nutrendo una quasi totale disistima nei confronti della categoria dei giornalisti (che assimilo spesso ai politici il che non è un complimento per nessuna delle due categorie), debbo spezzare una lancia a favore di Facci.

Non spetta all’ordine dei giornalisti ma alla magistratura, se del caso, stabilire se il giornalista ha commesso un reato perché o c’è reato o il giornalista deve poter esprimere il suo pensiero.

Altrimenti si ricade in quello detto poco sopra: il professionismo dell’anti… e in questo caso (come, ad esempio, in quello della purezza di cui ho già parlato) si trova sempre il teorico di turno che pretende di epurare i pensieri in radice.

Oggi viviamo in una tale intolleranza che si vorrebbe che alcuni pensieri non vengano nemmeno pensati: può darsi che le religioni come sono conosciute storicamente siano in crisi ma la religione è più in auge che mai e intollerante da far impallidire quei dilettanti del Sant’Uffizio. 

 

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