Denkmal für die ermordeten Juden Europas

Alte Museum, dicevamo, e Alte Nationalgalerie che mi accolgono dopo l’uscita dal Berliner Dom: anche in questo caso vi sono tali e tante meraviglie che sono rimasto abbagliato.

Le statue romane, copie di orginali greci ma non solo, poi le collezioni di quadri sono la mia compagnia per buona parte della giornata fino a quando, ormai esausto mi dirigo al famosissimo Denkmal für die ermordeten Juden Europas, ovvero il Memoriale della Shoah, progetto dell’architetto Peter Eisenman e dell’ingegnere Buro Happold.

Traggo da Wikipedia alcune interessanti informazioni: “Il monumento è stato edificato nell’area originariamente occupata dal palazzo e dalle proprietà di Goebbels … consiste in una superficie di 19.000 m² occupata da 2.711 stele in calcestruzzo colorate di grigio scuro, organizzate secondo una griglia ortogonale, totalmente percorribile al suo interno dai visitatori. Le stele sono tutte larghe 2,375 m e lunghe 95 cm, mentre l’altezza varia da 0,2 a 4 m. … In base al testo di progetto di Eisenman, infatti, le stele sono realizzate per disorientare e l’intero complesso intende rappresentare un sistema teoricamente ordinato, che fa perdere il contatto con la ragione umana in un’angosciante solitudine.”

Debbo confessare che nel mio caso non c’è stata angoscia nè senso di straniamento; vi sono entrato e l’ho percorso a tratti, tra bambini che correvano giocando a nascondino e gente che parlava a voce alta.

Non mi è sembrato un memoriale adeguato anche se condivido l’idea dell’architetto Einsenman di un sistema teoricamente ordinato che fa perdere il contatto con la ragione.

L’ordine di queste costruzioni mi ricordava quello che ho trovato nella visita ad Auschwitz-Birkenau: ordinata ed aggiungerei organizzata successione di blocchi: ciò che prevale e si percepisce è l’uguaglianza al ribasso di tutti, trasformati da persone a numeri, “numerizzati”, in maniera assolutamente ordinata e razionale. Si potrebbe dire che nei lager si era realizzato l’ideale dell’uguaglianza, anche se leggendo Levi si capiva che non era così; comunque tutti uguali perchè tutti anonimi, tutti numeri, in attesa di essere azzerati.

Entro nel sottosuolo dove mi faccio aiutare da un’audioguida particolarmente tecnologica (avuta con lo sconto del 50%, 2 € anzichè 4, grazie alla solita welcome…): la visita al centro di documentazione si rivela alquanto deludente, anche se l’idea non è male.

Mi accade, verso il tramonto, mentre scende un’acquerugiola che non disturba, anzi sembra conferire atmosfera alla sera berlinese, di trovarmi in Potsdamer platz. Niente di strano se non fosse che mi trovo quasi al centro di un evento che sembra di enorme portata: verso le 18.30 sento un concerto di sirene; nel volgere di pochi istanti arrivano nei pressi almeno 4 auto della polizia e vedo non meno di 6 ambulanze: mi preoccupo pensando a quale catastrofe possa essere capitata, immaginando chissà quale incidente stradale di cui non percepisco, però, traccia alcuna; mentre dirigo il mio sguardo attorno, sento arrivare anche un elicottero; alzo la testa per vedere in che direzione si muove quando, all’improvviso, dopo un rapido roteare sulla piazza, mi scende letteralmente sopra la testa. Mi aggrappo ad un palo dell’illuminazione per non essere sballottato in strada mentre vento e rumore mi avvisano che l’elicottero sta scendendo a pochi metri da dove mi trovo ancorato.

Le ambulanze si sono nel frattempo allontanate tranne una, è rimasta la polizia con un paio di vetture; dal ventre giallo del velivolo adac è sceso personale sanitario che si reca sull’ambulanza; nel giro di mezzora se ne torna a bordo e riparte.

E qui noto un paio di curiosità: l’ambulanza non riesce a percorrere un breve tratto di strada, diciamo interno, nei pressi dell’ambasciata canadese  per cui è costretta a fare retromarcia per immettersi nel viale principale; per eseguire tale manovra serve qualcuno che fermi il traffico per qualche istante: a ciò provvede personale dell’ambulanza nonostante la presenza della polizia.

Mi accorgo allora che è arrivata anche una pattuglia in bicicletta: pattuglia mista che si mette a sanzionare tutti i veicoli parcheggiati a sinistra; esce un uomo da uno dei negozi, si avvicina alla poliziotta, scambia con lei alcune parole, con grande calma, poi si allontana mentre i due agenti continuano a sanzionare.

Debbo aggiungere che in tre giorni non ho mai visto un’auto della polizia sfrecciare ad alta velocità o con sirene attivate; si udivano solo quelle delle ambulanze e limitatamente ai tratti in cui serviva farsi sentire.

Se penso allo sfrecciare delle auto blu e di quelle di servizio delle varie forze di polizia a Roma, solo da questo ne traggo un segno evidentissimo di diversa civilizzazione.

Per cena decido di andare in un altro dei ristoranti consigliati dalla guida: stavolta scelgo un locale stile viennese. L’impresa è consistita nel trovare il civico giusto perchè sino ad un certo punto a sinistra avevo i pari e a destra i dispari; all’improvviso mi trovo i dispari, i pari sembrano spariti, quindi cambia pure il nome la via, insomma un’impresa che mi è costata almeno un’ora di scarpinata perchè i numeri tedeschi sono posizionati non so con quale criterio. Non demordendo, come al solito, ci arrivo, ma che sudata e che fame: il locale si chiama Friedrichs 106, nell’omonima via: qui sono compensato da una meravigliosa wiener schnitzel, bistecca impanata fritta nel burro che solo a scriverlo mi fa tornare l’acquolina, con marmellata di mirtilli ed un’altra salsa che … basta; con una birra da mezzo litro ho speso 17.75 €.

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