dalla tragedia al mito dei caduti, IV capitolo

La seconda parte del bellissimo libro  “Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti”, si occupa della prima guerra mondiale; nel capitolo quarto si parla di giovani ed esperienza di guerra, un tema delicato e quantomai d’attualità se si pensa  ai foreign fighters che dall’Europa se ne vanno a combattere nelle fila dell’integralismo islamista.

Dunque vediamo quel che dice Mosse.

Nel 1914 il brodo di coltura che aveva alimentato patriottismo, ricerca di uno scopo della vita, amore dell’avventura,  e ideale della virilità produsse l’esperienza delle cosiddette “giornate d’agosto”, in cui moltissimi giovani, seppur coscritti, si erano precedentemente arruolati come volontari.

Varie le cause considerate, comunque insufficienti: l’idea che il conflitto sarebbe stato breve, condiviso da ogni parte dello schieramento e l’oblio dell’esperienza della guerra (l’ultima era stata quella franco prussiana peraltro di breve durata).

Le idee della generazione del ’14 vennero, come al solito, espresse dai volontari colti che erano, a loro volta, lo specchio delle idee allora in circolazione.

Di rilievo il nuovo ruolo assunto dalla coscienza di sé della gioventù e delle masse popolari: la guerra produsse il mito dell’uomo comune anche se fu visto più come uno stereotipo e non in ottica di impegno sociale.

Le nuove tecnologie, telefono, telegrafo, cinematografo, automobile, sembrarono rivoluzionare il concetto di tempo: la velocità sembra minacciare l’ordine stesso della natura, quella natura che era stata da molti considerata come il luogo di difesa dalla sconvolgente e disumanizzante rivoluzione industriale.

Il caos portato dalla velocità è sposato entusiasticamente dai futuristi che esaltano anche un ideale di virilità guerresca; non diversamente faranno gli espressionisti tedeschi che vedevano nella velocità un modo per sfuggire alle ristrettezze borghesi.

Futurismo ed espressionismo furono movimenti di giovani che vedevano nello scontro con la  società un mezzo di realizzazione personale, usando tutte gli strumenti che gli si offrivano: esaltazione della violenza e del conflitto, esaltazione dell’inconsueto e dell’orrido.

Analoga sensibilità alla velocità ebbero i cubisti francesi.

Il gusto per la rivolta fece considerare, almeno per i futuristi, la guerra come una festa ed effettivamente “le giornate d’agosto” furono vissute da molti con questo spirito di esaltazione per la fine dei vincoli della banale vita quotidiana.

Negli espressionisti tedeschi, tuttavia, era assente la componente nazionalistica e, spesso, anche il rifiuto della tecnologia, in favore della lotta interiore; nemica dell’espressionismo era la borghesia di cui il movimento voleva la distruzione: la Grande Guerra per loro era, di conseguenza, una guerra sbagliata a cui alcuni esponenti aderirono comunque per il loro personale spirito di aggressività.

Interessante citazione di Georg Heym, uno dei padri dell’espressionismo tedesco: per quanto mi riguarda, posso dire che se solo ci fosse una guerra alla quale viene di nuovo. Ora ogni giorno è come il precedente; nessuna grande gioia e nessun grande dolore… Tutto è così noioso.  … Se soltanto accadesse qualcosa … Se soltanto s’innalzassero ancora una volta le barricate.”

Mentre per i futuristi la disciplina traeva origine dal razionalismo, per gli espressionisti fu il cameratismo che riempì il vuoto, uno scopo dominante che mancava.

Entrambi i movimenti condividevano l’idea di creare un “uomo nuovo” che avrebbe dovuto creare una nuova società; essi volevano inoltre portare il loro messaggio al popolo: gli espressionisti ci riuscirono attraverso il cameratismo.

Questi movimenti giovanili inducevano i giovani ad opporsi alla società di anziani che vedevano come opposta alla libertà di realizzazione di se stessi, come accadeva nel mondo scolastico. La giovinezza come sfida e futuro, dei futuristi e degli espressionisti, e quella legata alla natura, alla nazione e al passato del movimento giovanile seppur così diverse condividevano vocazione missionaria e volontà di troncare con la società esistente, condividevano un certo ideale nietzscheano dell’irrazionale, con la sua gioia dell’avventura, ma erano divisi in riguardo all’atteggiamento verso il caos della vita.
Essi condividevano inoltre l’ideale della bellezza antica, classica caratterizzata dalla forza tranquilla, il che mitigava l’ideale nietzscheano visto prima.
Altro tratto comune fu la tendenza ad estetizzare la politica (bellezza della natura, bellezza virile, teatro, danza); si ha un nuovo interesse per le arti visive.

Mentre per gli inglesi la guerra fu un’esperienza innanzitutto letteraria, che richiamava alla mente scrittori inglesi o dell’antichità classica, in Germania l’esperienza letteraria fu molto legata alla sua dimensione visiva; in ogni caso le nuove forme di comunicazione visiva influenzarono la comprensione della guerra: immagini e simboli quali i monumenti ai caduti e i cimiteri di guerra servirono a depurare e romanticizzare la guerra e a diffondere il mito dell’esperienza della guerra.

Prendiamo il concetto di virilità che fu un ideale insieme fisico, estetico e morale: forza e coraggio fisici, proporzioni armoniose del corpo, purezza dell’anima.

I giovani greci di Winckelmann sono stati il modello su cui è stato costruito l’ideale della virilità, poi declinato diversamente a seconda dei movimenti: per il movimento giovanile tedesco l’uomo, infatti “ha un corpo superbamente formato, e il pieno controllo di sè medesimo. È modesto, sobrio, gentile e giusto e cavalleresco con le donne”; i futuristi rigettano l’idea della cortesia e della cavalleria mentre gli espressionisti non se ne occupano ma sembrano darlo come modello scontato.

 La guerra diventa occasione per provare la virilità, ideale comuni ai tedeschi ed agli inglesi, questi ultimi meno sensibili al tema della bellezza e più attenti a cavalleria e fair play, non a caso l’educazione sportiva costituiva la corretta formazione in vita delle future lotte.

Altra importante suggestione veniva, ad entrambi i popoli, dallo studio dei classici e dei loro ideali di virilità.

La donna, invece, è vista sempre in posizione passiva, ai margini del combattimento, come soccorritrice amorevole.

Vigore ed energia, quindi, opposte alla passività femminile.

I giovani maschi temevano, quindi, di essere giudicati effeminati o decadenti.

Interessante la questione del termine “decadente”, di origine medica e rappresentativo di una deviazione dalla normalità destinata a condurre alla distruzione; in opposizione all’idea di mascolinità, la decadenza poteva derivare da varie cause: malattie ereditarie, crollo nervoso, intossicazione da alcol o indulgenza al vizio, essa era insieme maledizione e paura.

La decadenza è una caratteristica del nemico ma un pericolo anche per la nazione sconfitta che avrebbe potuto scivolarvi.

Il prototipo dell’uomo decadente è tratteggiato dal romanzo A Rebours, di J.K. Huysmans e trova in Oscar Wilde l’esempio più famoso, un uomo che non solo non si vergogna di essere omosessuale ma si vanta di definirsi decadente.

Anche in questo caso reazioni opposte: chi si avvicinò alle teorie decadenti per protesta contro il conformismo borghese e ci fu chi sottolineò l’ideale di mascolinità messo in crisi anche dai movimenti per il suffragio femminile sorti a inizio secolo.

Questo ideale di virilità caratterizzò in guerra il cameratismo e dopo la guerra divenne caratteristica dell’ideologia conservatrice di tutta Europa che esaltava la giovinezza come il luogo del vigore e dell’energia, segnando un passaggio importante dall’Ottocento legato al culto dell’età avanzata.

La guerra, quella in trincea, combattuta veramente, diventa un affare dei giovani, vissuta come possibilità di rigenerazione sia personale sia nazionale; la generazione del 1914 che visse le giornate d’agosto ebbe modo di sperimentare questo senso di collettività che, finalmente, eliminava il sentimento di solitudine che veniva attribuito alla società borghese.

Viene esaltato il soldato semplice, esempio di tranquilla virilità e rappresentante più vero del popolo, elemento utile al cameratismo che condizionò l’idea della guerra come esperienza comunitaria, di fronte alla quale le distinzioni di sociali arretravano per lasciare posto all’ideale di unità della nazione. In realtà queste si trasformarono in differenze funzionali (tra chi comandava e chi obbediva), proprio secondo l’idea nazionalista di un Volk di uguali, differenziati solo dalle funzioni e non dallo status; uguaglianza, ovviamente fasulla, ma componente importante del Mito dell’Esperienza della Guerra.

La guerra riuscì, comunque, a superare  il dissidio tra la modernità e i suoi nemici, grazie all’utilizzo di tutta la più recente tecnologia,  circonfusa di un’aura spirituale (cannoni tra le rose, aviatori come cavalieri del cielo…) di servizio alla causa della nazione; gli stessi soldati “personalizzano” gli strumenti a loro disposizione, quasi umanizzandoli, come nel caso della famosa Grande Berta il mega cannone tedesco.

La guerra rappresentò una fuga dal materialismo borghese che doveva portare alla nascita di una nuova  epoca in cui l’uomo guardava al futuro attraverso la fusione con la nazione come sosteneva  il sociologo tedesco Georg Simmel (per cui il culto del denaro aveva ceduto il passo a decisioni assunte nel profondo dell’anima).

Mai come per la generazione del 1914 ci fu un’entusiastica adesione a questa temperie di idee che, seppur messe in circolo da gruppi elitari di giovani colti, trascesero poi nel Mito.

Durante la guerra, inoltre, la speranza (che alcuni ancora coltivavano, nonostante la disillusione dei più), la consuetudine con la morte, l’enorme numero di persone coinvolto, fece sì che alcune tra le prime battaglie venissero mitologizzate e che i caduti, come la stessa morte, fossero assunti nel Mito.

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