angoscia, cocoricò e labrinto

Ricordo, tempo fa, le polemiche per la morte di qualche giovanotto americano, deceduto a causa degli effetti collaterali dell’alcol assunto in quantità industriali durante un tour etilico nel centro di Roma.

Ora si parla del Cocoricò, colpevolizzato per la morte del giovane assuntore, chiuso dal questore e subito difeso da quella parte del mondo della notte che … mi fermo qui.

Taccio dell’alcol perché non so se sia agevole o meno procurarselo anche se minorenni e/o già su di giri (è vietato somministrare bevande alcoliche a chi è in stato di ubriachezza).

Del locale riccionese ho già detto; è evidente che spesso e volentieri le sostanze stupefacenti vengono acquistate fuori ma lo è altrettanto che quel luogo rappresenta qualcosa.

Mi sembra che sia una sorta di tempio o di simulacro, un moderno o contemporaneo vitello d’oro.

Racconta, nel suo reportage di una notte nel locale, Fabrizio Roncone, sul Corriere della sera: “Arrivano da ogni città d’Italia. Arrivano al tramonto e ripartono all’alba. Spesso in treno. Non si sono mai visti prima e mai più si vedranno. Non hanno alcuna voglia di fare amicizia. Tutti sembrano solo desiderosi di partecipare a qualcosa di molto simile a un rito e tutti, per farlo, indipendentemente dalla loro estrazione sociale, sembra abbiano deciso sia necessario ubriacarsi, sballare.” … “Gli passano accanto due ragazzini che saltellano, strabuzzando gli occhi. A una biondina tedesca si piegano le gambe e non riesce più ad alzarsi. Un tipo basso, scalzo, viene avanti abbaiando, mentre gli amici ridono da matti e gli ordinano: «Dai, adesso invece fai il cavallo…». “

A quale rito partecipano questi sconvolti ragazzi?

Celebrano un’assenza o meglio una mancanza: qualcosa che manca e che deve essere sostituito da altro; non possono esserci buchi nella vita psichica e allora l’alcol, la droga, la musica (musica?) sostituiscono quel che manca, riempiendo il vuoto.

Si dice, in ambito funerario, lasciare un vuoto incolmabile: ecco cosa è il Cocoricò, un tempio funerario, come lo è il labirinto della Masone di Franco Maria Ricci; chiaramente uno è il tempio “de noantri”, l’altro una sua colta versione; espressioni di un narcisismo che non ne vuole sapere di avere vie di scampo.

Se il Labirinto è l’elaborazione intellettuale sofisticata di un percorso di vita che, da iniziati, conduce dal caos all’ordine simmetrico del nulla, dell’autocelebrazione di un io eternizzato in un’immobile solitudine, l’indistinta massa dei decerebrati che si sballano in discoteca ne sono l’ignorante e speculare versione.

Vuoto incolmabile riempito di alcolici e/o altre sostanze; cito da un contributo di Giacomo Contri al SEMINARIO DI SCUOLA PRATICA DI PSICOPATOLOGIA 1994-1995 VITA PSICHICA COME VITA GIURIDICA 11/11/1994 1° Seduta: “Andiamo sostenendo che la vita giuridica è di ciascuno e a ciò riserviamo la vecchia e ottusa espressione di “diritto naturale”. Questa facoltà di vita giuridica rimane intatta anche nella patologia, anzi addirittura è esaltata quantitativamente, sebbene diminuita quanto all’ambito. Così come recita l’antico adagio latino, Natura non facit saltus, possiamo ben dire: Lex non facit saltus. Si dice anche che natura aborret vacuo. Anche in caso di vuoto di legge, ve ne sarà un’altra che riempie il vuoto: lex aborret vacuo. Il vacuo di legge si chiama angoscia. E il nostro più o meno forsennato agitarci nell’angoscia è per riempire, in qualsiasi maniera, quel vuoto di legge, fino a massacrarne ventisette. In questo atto, dov’è la legge? È quella che arriva in forma di polizia a ammanettarmi. Il massacro è stato il mezzo per il fine di costituirsi in qualsiasi maniera una legge. La prigione non è altro che un pezzo di materia per una costruzione legale della mia esistenza. Un carcere è una legge con intorno i muri; non sono dei muri con gente dentro e poi una legge che cerca di tenerceli. È infatti impressionante notare quanto l’umanità si adatti al carcere. Il vacuo di legge si chiama angoscia. Chiunque abbia sofferto di insonnia, sa che riesce a addormentarsi nel momento in cui con il pensiero è riuscito in qualche modo a ritrovare un ordine. Sto parlando sempre e solo di vita quotidiana. Abbiamo un test di errore allorché in ciò che diciamo è omessa la vita quotidiana. L’uomo è quello delle ventiquattro ore perché le ventiquattro ore includono la notte e la notte include il sonno che non è “biologico e materialistico”, ma “corporale”.”

Si può sostituire il carcere con lo sballo cui si aggiunge la massa che si legittima reciprocamente e sostiene la teoria; all’inizio stava la scoperta, felix culpa, di un vuoto di legge, colmabile via lavoro con un altro, poi, attraverso le droghe si arriva al tempio funerario.

Il nove di agosto ha visto un altro ragazzo, morto in discoteca…

                                                                                                                                                                       Parma, 9 agosto, 2015

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