Abbazia di Fontevivo

Inizia il mese più bello dell’anno e come festeggiarlo? in compagnia di ottimi amici, ospite a pranzo, da Gabriele e Silvia. Nel pomeriggio decidiamo di andare a visitare (per me è la seconda volta) l’abbazia di Fontevivo.

La troviamo occupata da un matrimonio per cui attendiamo all’esterno che la cerimonia abbia termine: sul sagrato un gruppo di amici degli sposi (se valesse, come vale, il detto “dimmi che amici hai e ti dirò chi sei” … beh mi fermo qui; a parte gli schiamazzi banali ed indecorosi di fronte ad una chiesa dove gli sposi stavano celebrando le nozze, il clou è stato raggiunto quando poco prima dell’uscita dei novelli coniugi una raffinata intelligenza tra gli astanti ha lanciato un non ricordo come si chiamano, comunque una sorta di fuoco artificiale che ha incendiato alcune piante che decoravano l’ingresso della chiesa. Fortunatamente non ci sono state conseguenze ma pensando ad esempio al velo della sposa, ai bambini presenti…

La massa arricchita o come dicono i riminesi i pidocchi rifatti, la freudiana psicologia di massa, non sa elaborare che divertimenti grossolani, banali, ripetitivi: l’apparente allegria, esagerata, nasconde e rivela insieme il vuoto di pensiero e l’angoscia di fronte all’idea di un rapporto di elezione e fonte di possibili impensati guadagni quale può essere il matrimonio.

Un gentile signore, entusiasta quanto noi delle gesta del genio incendiario, ci fa anche una breve storia dell’abbazia che risulta essere stata fondata da Chiaravalle della Colomba e a sua volta fondatrice di san Giusto.

Gabriele ci fa notare che l’esperienza monastica è una sorta di realizzazione delle due città di agostiniana memoria; la città celeste (il monastero) e quella terrena convivono, avendo in comune un orizzonte universalistico che sia la chiesa che l’impero garantiscono.

Una delle cause della fine di un’esperienza così straordinaria ed incisiva nella realtà sociale, culturale, economica, sempre secondo l’ottimo Gabriele, sarebbe la nascita degli stati nazionali con la conseguente caduta della sovranità delle abbazie che ripiegano nel provincialismo.

L’abate perde il suo riferimento al Papa (ovviamente non quello canonico) per avere a che fare col signore di turno, interessato a delimitare confini e a strappare il brandello di terra al vicino; le chiese diventano nazionali e questo non è stato certo un guadagno.

Abbiamo anche scoperto che sono i monaci cistercensi quelli che hanno inventato il parmigiano reggiano, cosa che testimonia la loro industriosità e la capacità di utilizzare al meglio le cose che incontravano nel territorio ove si stabilivano. Le ulteriori fondazioni di monasteri permettevano di trasmettere le conoscenze acquisite ed insieme di personalizzare le produzioni con le specificità del territorio.

Cito da “L’Europa a tavola” di Lèo Moulin: “Dissodatori, costruttori, architetti, giardinieri, vivaisti,  banchieri, piscicoltori, silvicoltori, apicoltori, coniglicoltori, allevatori (i cistercensi) di immensi greggi di pecore, proprietari di aziende agricole modello, unici coordinatori (efficaci!) dell’assistenza tecnica, e tutto questo per secoli: i monaci sono ovunque, se non all’origine di tutto.”

Formaggi, salumi, birre, liquori, vini, dolci, la gratitudine ai monaci non dovrebbe avere fine, proprio come la lista delle cose che hanno prodotto.

I frutti di un pensiero sovrano.

                                                                                                                                         Parma, 2 giugno 2014

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