VIttoriale degli italiani a 50 anni

Termino la giornata come l’ho iniziata: mangiando ciliegie, un’attività tra le mie preferite, in assoluto.

Il resto è una gita che mi concedo in compagnia di Gabriele Trivelloni e Silvia Sangiorgi al Vittoriale degli italiani.

Ho scelto questo luogo ameno in ricordo di una gita che feci con mio padre e relativi nonni molti anni orsono (direi 43/44 anni fa).

Unica testimonianza di quell’evento alcune foto, nei miei ricordi nulla è rimasto se non una sosta per il pranzo.

L’auto di mio padre era verde scuro, dal baule uscirono, come si usava all’epoca, tavolino di plastica e sedie, un pollo arrosto… il resto è la solita nebbia; riemerge un frammento della visita alle cascate del Varone, una nebbiolina formata dalle gocce d’acqua in sospensione e null’altro.

Una sorta di recupero della memoria.

Partenza tranquilla, viaggio sereno; 16 euro di ingresso (non pochi a dire il vero).

La visita è stata interessantissima tanto da protrarsi (con pausa pranzo però) fino alle 18.30 circa.

Il Vittoriale è un luogo che di getto definirei molto strano; in realtà questa definizione non vuol dire nulla, è una di quelle (come “impressionante” o “interessante”) che sarà bene che impari a lasciar cadere.

Torniamo al Vittoriale, luogo di proiezione della personalità di Gabriele D’Annunzio; è un sito neobarocco dove tutto è ridondante, eccessivo, esasperato, dove non è vero niente, secondo l’azzeccatissima definizione di Giacomo Contri.

Horror vacui: tutto accumulato e posizionato in modo da offrire al visitatore uno spettacolo unico ed irripetibile come, credo, ritenesse di essere D’annunzio.

Fare della vita arte: il Vittoriale mi fa pensare a questo, un teatro sul quale rappresentare la scena del capolavoro che è la vita del poeta eroe.

Un teatro che diventa anche una prigione e per motivi contrastanti: per un verso il regime fascista ce lo teneva in dorato esilio (la guida ci riferiva di una splendida definizione di Mussolini: “D’Annunzio è come un dente cariato o lo strappi o lo ricopri d’oro”), dall’altro credo che anche a lui facesse comodo mantenersi in un ambiente dove non aveva da temere “smentite”, cioè dove ogni cosa rimandava al suo mito e lo confermava in quello nonostante il decadere fisico che tanto lo angustiava.

Uomo angosciatissimo, melanconico, narcisista, D’Annunzio doveva essere una persona insopportabile anche se, in realtà ha avuto un gran seguito.

Gabriele ha citato Marx: “Hegel osserva da qualche parte che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.

L’ideale dell’eroe dannunziano è la farsa ell’eroe greco.

Ne ho tratto un piccolo video che ho pubblicato qui http://youtu.be/wNN4VhQO9jU

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