invitati al pranzo di nozze

Il vangelo di oggi tratta di pranzo di nozze e di abito nuziale ed è straordinario.

Mt 22, 1-14

In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Abbiamo un re che ha un figlio che si sposa.

Da buon padre e sovrano sa bene che non c’è matrimonio senza festa: il matrimonio è un atto pubblico di rilevanza costituzionale poiché lo sposalizio del principe (presumibilmente ereditario) ha effetti sullo stato.

Questo primo passo spazza via tutte le idee intimistiche di riti riservati, coi soli sposi e testimoni: il matrimonio è un atto pubblico con valenza universale e costituzionale!

Anche se il paragone può apparire irriverente, non sbagliava il Re Sole, Luigi XIV, quando compiva pubblicamente ogni atto della vita quotidiana e basterebbe modificare leggermente il famoso “L’État, c’est moi!”, “lo Stato sono io” con un “la costituzione sono io”, poiché ogni individuo è una costituzione ambulante, per trasformarlo in un motto totalmente condivisibile.

Ma torniamo al nostro re: c’è dunque una festa e ci sono degli invitati che sono renitenti; se ne fanno un baffo dell’invito del re, per continuare quel che stavano facendo.

Senza troppa fantasia, si potrebbe dire che il re propone loro un supplemento imprevisto, impensato, un giorno festivo non da trascorrere nell’ozio ma nella corte, in compagnia del sovrano e di ospiti scelti.

Questa offerta viene rifiutata in favore delle ordinarie occupazioni ed immagino l’invitato timoroso che commenta “chi lascia la strada vecchia per quella nuova…” oppure penso a un indaffaratissimo Pietro Bernardone, padre di quello scandaloso Francesco, che invece si spoglia degli abiti, rinunciando alla professione del genitore e coltivando l’ambizione di partecipare alla festa nuziale. 

Il re giustamente se ne adonta e fa uccidere i violenti e distruggere col fuoco la loro città: ignorare il re come fonte del legame sociale comporta la dissoluzione di quest’ultimo.

A questo punto sarebbe logico aspettarsi l’epilogo e invece questo re rilancia e ordina ai servi di invitare chiunque; lasciando da parte la polemica anti farisea (e successivamente, temo, antiebraica) è interessante notare come il re non desideri assolutamente festeggiare da solo.

La sua proposta di assumere il ruolo di commensale si allarga a chiunque, non vi sono limiti o impedimenti per diventarlo è sufficiente … ecco la domanda interessante, cosa è sufficiente?

Innanzitutto accettare la proposta, ma non basta.

Il re, infatti, scopre uno che non indossava l’abito nuziale e lo esclude dal pranzo di nozze e dalla festa punendolo duramente, ecco cosa è necessario dopo l’accettazione: l’abito nuziale.

Se il Curato di campagna di Georges Bernanos conclude che “tutto è grazia”, qui si potrebbe dire che “tutto è forma”, l’abito nuziale è la forma che ogni invitato assume di fronte alla festa.

Abito nuziale significa cura; sono invitati buoni e cattivi, non c’è un criterio morale ma uno formale sì: non si partecipa alla festa senza abito nuziale.

Non si corrisponde immediatamente all’invito ma è necessario un intervallo, la sua durata poco importa adesso, in cui il pensiero sollecitato dall’iniziativa altrui elabora in proprio la forma di quel rapporto in vista di un profitto.

Non casualmente l’invitato senza abito nuziale ammutolisce di fronte al re: è una forma di mutismo nevrotico, la pretesa di essere accolti come si è, senza lavoro proprio.

L’ostilità al re è inimicizia al lavoro di cura del proprio abito, del proprio orto, è avversione al legame sociale frutto di un giudizio di gradimento.

Gli altri, in abiti di festa, diventeranno sagome per questo personaggio che il re tratta con una durezza apparentemente spropositata rispetto alla mancanza commessa.

Lo punisce duramente perchè sa che è in atto un attentato al legame sociale.

Mi viene improvvisamente in mente che l’abito della festa e l’invitato che ne è sprovvisto sono la rappresentazione plastica dell’alternativa passione emozione, con la seconda che è assenza di pensiero.

Parma, 15 ottobre 2017, memoria di santa Teresa d’Avila

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