Eroi dei tempi moderni?

Ho letto in questi giorni della morte di alcune persone: Giulio Regeni, ucciso ancora non è ben chiaro da chi, in Egitto, dopo essere stato torturato; Sara Gambaro, agente della polizia locale di Novara, deceduta  mentre svolgeva il nostro lavoro, Rosario Sanarico, poliziotto subacqueo di La Spezia, deceduto a causa di un incidente durante lo svolgimento del suo lavoro.

 

Tutti sono stati definiti eroi.

Mi chiedo cosa significhi eroe e quale valore abbia oggi parlare di eroe.

Nella Grecia antica, di cui tutti ci siamo nutriti, gli eroi erano personaggi fuori dell’ordinario per alcune virtù, il valore soprattutto: in un mondo dominato dalla guerra il coraggio, l’astuzia, il valore in guerra erano le caratteristiche degli eroi.

Non mi dilungo nell’analisi storica e cito dal vocabolario Treccani:

“1. Nella mitologia di varî popoli primitivi, essere semidivino al quale si attribuiscono gesta prodigiose e meriti eccezionali; presso gli antichi, gli eroi erano in genere o dèi decaduti alla condizione umana per il prevalere di altre divinità, o uomini ascesi a divinità in virtù di particolarissimi meriti.

  1. estens.a. Nel linguaggio com., chi, in imprese guerresche o di altro genere, dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie: comportarsicombatteremorire da e.; gli eomericigli edella Tavola Rotonda; un edel Risorgimentol’edei due mondi, titolo attribuito per antonomasia a G. Garibaldi; fig., fare l’e., esporsi ostentatamente e senza necessità a pericoli. Con uso antifrastico, di persona pavida: è proprio un vero e.; che e.!che bell’eroe!; e per litote, non essere un e., avere doti normali (o anche limitate) di coraggio e di abnegazione. Talora è usato come agg.: un popolo eroe.
  2. Chi dà prova di grande abnegazione e di spirito di sacrificio per un nobile ideale:edella fededella libertàdella scienzagli e. della carità. “

Non può mancare nemmeno il riferimento a Brecht del famosissimo «Sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi», dalla Vita di Galileo.

Chi è, dunque, l’eroe? Un uomo che rappresenta il meglio delle virtù che la società di quel momento ritiene fondamentali o che vorrebbe fossero alla base della civile convivenza.

L’eroe è colui che compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune (wikipedia).

Veniamo ai nostri tre casi, buoni ultimi di tanti altri che si sentono ogni tanto in tv: possiamo definire eroi le tre persone di cui ho parlato sopra?

La risposta è senza tentennamenti negativa: no, non sono eroi; sono persone che svolgevano il loro lavoro e che ne sono rimaste vittima a causa del caso (come i due colleghi) o di non si sa ancora bene cosa nell’ultimo degli esempi.

Non c’è nulla di eccezionale in quanto accaduto e credo che loro stessi si schernirebbero sentendosi chiamare eroi.

L’eroe finisce sull’altare laico o religioso poco importa, viene trasformato in santino e quindi sterilizzato: gli eroi sono delle eccezioni che, dopo il momento fugace dell’emozione, devono lasciare in pace.

L’eroe rientra a pieno titolo negli appellativi encomiastici come santo, genio, martire… un modo elegante per togliersi dai piedi qualcuno scomodo, un modo che Santa Madre Chiesa ha individuato da tempo: “promoveatur ut amoveatur”.

Per non dire che questa figura sembra essere molto frutto del superio, un condensato di ideali e dove questi appaiono, di solito, c’è da avere timore.

No! l’opera di Sara, Rosario, Giulio non è quella di eroi: è la stessa nostra, è a portata di mano di chiunque, è la quotidianità che non fa rumore ma che è anche quella che può cambiare la vita di ciascuno: lo studio, la sicurezza delle città, le indagini giudiziarie sono aspetti diversi del lavoro di civiltà che ognuno ha la possibilità di compiere ogni giorno.

Siamo un’intera civiltà su due gambe, quotidianamente: i nostri pensieri, parole, opere e omissioni dicono ogni giorno cosa intendiamo edificare, nel bene e nel male.

Perché la morte di queste tre persone non vada dispersa occorre diventarne eredi in quel che di buono hanno pensato, realizzato, proposto.

Alle famiglie e ai colleghi che con loro hanno condiviso le soddisfazioni del lavoro che stavano svolgendo, le mie condoglianze.

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